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Gli eroi abbandonati del Pronto soccorso di Lamezia. «Proteggeteci»

Procedure farraginose a causa della carenza di protezioni. Tende pre-triage così fredde da non consentire il funzionamento dei macchinari. I rischi di chi lotta ogni giorno in prima linea contro il…

Pubblicato il: 19/03/2020 – 20:10
Gli eroi abbandonati del Pronto soccorso di Lamezia. «Proteggeteci»

di Alessia Truzzolillo
LAMEZIA TERME Li chiamano eroi, li celebrano in tutto il Paese ma esistono ospedali nei quali lavorano in condizioni di estrema precarietà, in cui non vengono supportati e non ricevono né la gratificazione dei pazienti, né i presìdi di cui hanno estremo bisogno, ovvero mascherine, guanti, tute, sovrascarpe, caschi e visiere. E non tutti sono formati come dovrebbero. Perché per affrontare un virus estremamente contagioso come il Covid-19 devi imparare anche come indossare e poi svestire le protezioni. A Lamezia Terme i medici e gli infermieri del Pronto soccorso del “Giovanni Paolo II” stanno vivendo un momento di grande difficoltà e di serio rischio che sembra passare inosservato agli occhi dell’Asp di Catanzaro e dei vertici regionali. Il tanto decantato “modello Italia”, nelle conferenze dell’Istituto superiore di sanità, qui non esiste. L’appello che a queste latitudini lanciano ai vertici aziendali e regionali è: «Proteggeteci».
RESTO A CASA PER AMORE DEI MIEI FIGLI Ci sono medici che hanno deciso di non tornare a casa dai propri figli per non esporli al contagio. Chi può va a dormire a casa al mare o in altri locali. Perché i medici non hanno tute. Quelle sono in dotazione solo agli infermieri, fornite loro dall’Opi. Ma scarseggiano anche quelle perché ogni tuta va buttata al cambio turno e dopo essere stati a contatto con un paziente potenzialmente infetto. Da quando è stato chiuso il reparto di Microbiologia, e i tamponi devono essere inviati con una navetta al Pugliese-Ciaccio di Catanzaro, i tempi si sono dilatati in maniera insostenibile. Davanti al Pronto soccorso c’è una tenda montata dalla Protezione civile.  È questo il punto di riferimento per i 70mila abitanti di Lamezia e di tutto l’interland. È qui che sono arrivati i pazienti positivi da Lamezia e quello da Gizzeria. Nella tenda blu della Prociv  di notte fa un freddo tale che le apparecchiature, sensibili alla temperatura, non funzionano. Ci sarebbero anche i bocchettoni per insufflare l’aria calda ma mancano gli insufflatori.
LA STAFFETTA Da qui passano i casi sospetti. Le macchine si fermano vicino alla tenda dove c’è un solo infermiere perché le protezioni scarseggiano e allora bisogna fare economia: non ci si può permettere di restare in due. Le persone fanno qui le prime visite per capire se presentano sintomi tali da rientrare tra i casi da approfondire con tampone, secondo quanto previsto dalle direttive. Si chiama pre-triage, è l’anticamera dell’anticamera per gli interventi contro il Coronavirus. Se il caso è sospetto l’infermiere – che non è dotato di un telefono apposito né di un walkie talkie – suona una sorta di citofono che viene sentito dai colleghi del Pronto soccorso. Accorre un infermiere, si tiene a distanza di sicurezza, con i doppi guanti prende una busta nella quale il collega ha scritto i sintomi del paziente, si allontana e legge ad alta voce, a un altro collega, che sta ancora più distante, quello che c’è scritto, poi getta il foglio tra i rifiuti speciali. Il terzo infermiere riporta tutto al medico che decide come procedere. In caso ci si trovi in presenza di un possibile contagiato, questi deve poter fare un ecotorace o i raggi al torace. Tutto il percorso che questo paziente compirà dovrà essere disinfettato con un nebulizzatore, compresa la tenda. Dopo la sanificazione la tenda dovrà restare chiusa per 35 minuti perché il prodotto faccia effetto e in seguito dovrà essere arieggiata. Si perde tempo. Gli altri pazienti in fila perdono la pazienza, se la prendono con gli infermieri e i medici, li insultano. Spesso, per ottimizzare i tempi, l’infermiere di turno alla tenda si avvicina alle macchine per parlare con le persone in attesa. Un rischio. I medici vestono solo i propri camici e se vanno al pre-triage poi devono avere almeno un camice di riserva. Non c’è il materiale per vestire tutti. Le visiere e i caschi ognuno li ha comprati da sé. «La vita così è un inferno», dicono. Lo scenario è apocalittico, soprattutto di notte, quando arriva il buio e la tenda diventa una ghiacciaia. Tra 10 giorni, si spera, forse, dovrebbe scattare un nuovo piano con un nuovo percorso gestito dal reparto di Rianimazione. Fino ad allora, e forse anche allora, il personale del Pronto soccorso, questi “eroi” mai così abbandonati, continueranno a lavorare rischiando in prima persona, esponendo se stessi e tutti quelli con cui verranno in contatto al Codiv-19. Non a caso il presidente dell’ordine dei medici di Cosenza ha lanciato ieri un appello: «Fate tamponi a tutto il personale sanitario». Una cosa è certa: il Pronto soccorso di Lamezia Terme ha bisogno di aiuto. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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