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«Mancano anestesisti, posti letto e infermieri. E il tempo è quasi scaduto»

L’allarme «sulla carenza di 80-100 unità» lanciato quando del Coronavirus non si sapeva nulla. I dubbi sulla possibilità di trovare medici a sufficienza. Il nodo delle protezioni (che non ci sono) …

Pubblicato il: 19/03/2020 – 16:03
«Mancano anestesisti, posti letto e infermieri. E il tempo è quasi scaduto»

di Pablo Petrasso
LAMEZIA TERME
«In Calabria, in questo momento, sono necessari circa ottanta medici anestesisti rianimatori». Era il 4 gennaio 2019. «Il calcolo, pur se empirico, è presto fatto: mancano, in atto, 80-100 Medici Anestesisti Rianimatori. A dicembre di quest’anno se ne specializzeranno sette. Undici l’anno prossimo: saranno sufficienti a colmare il gap prodotto dai pensionamenti?». Domenico Minniti lo ripeteva il 23 marzo 2019. Quel numero già impressionante potrebbe drammaticamente aumentare nel caso di un’esplosione dei contagi gravi da Covid-19 in regione. Più ricoveri, Terapie intensive più sollecitate e pochi medici: uno scenario che nessuno si augura.

Domenico Minniti

La Calabria, tanto per essere chiari, era già in emergenza prima che la parola Coronavirus diventasse un’ossessione. Mesi prima che, alle 18 di ogni giorno, la Protezione civile diramasse quello che ormai è diventato un bollettino di guerra. Minniti, presidente dell’associazione Anestesisti rianimatori ospedalieri Italiani per la Calabria, da tempo tiene alto l’allarme. Negli ultimi giorni, da quando le notizie dalla trincea lombarda sono peggiorate, si spende come può per chiamare i cittadini a osservare le regole. Da settimane, ogni conversazione con un medico che abbia contezza delle difficoltà del sistema sanitario regionale inizia con la stessa frase. «State a casa». Anche la seconda riflessione è uguale (quasi) per tutti: «Ora non è il momento di fare polemiche, ma quando la bufera passerà le responsabilità dovranno emergere».
Il dato che lei ha evidenziato più di un anno fa, un buco di 80-100 anestesisti nella pianta organica, non può lasciare tranquilli. Com’è la situazione in Calabria?
«I numeri non mentono. La riduzione delle attività chirurgiche aiuterà a recuperare risorse umane che potranno aiutare le terapie intensive in caso di emergenza, ma le carenze rimangono pesanti».
Dove lo sono di più?
«Negli ospedali Spoke. Gli Hub, che fanno tutto, sono riusciti a mantenere una dotazione in qualche modo meno deficitaria».
Intanto si aspetta che l’avviso disposto dalla Regione produca effetti. Si potrà ovviare alle carenze?
«Bisognerebbe piuttosto chiedersi quanti anestesisti si riuscirà a trovare. Non è scontato che molti scommettano sulla chiamata dalla Calabria. Probabilmente si farà affidamento sugli specializzandi, ma anche in questo caso bisognerà confrontarsi con numeri che potrebbero essere insufficienti. Si tratta di vedere quanti se la sentiranno di andare in trincea. Senza dimenticare che, oltre agli anestesisti, mancano anche gli infermieri di area critica».
È partita la corsa per allestire nuovi letti di terapia intensiva.
«È un’altra delle questioni chiave. E anche in questo caso c’è una certa confusione che arriva dal “copia e incolla” di dati inesatti. Le prescrizioni vogliono che vi siano 8 posti letto di Terapia intensiva ogni 100 mila abitanti e, secondo alcune fonti, in Calabria ve ne sarebbero 7. Non è così: il totale dei posti è 107, fa 5 letti ogni 100mila abitanti».
Anche in questo caso ci si è attivati per aumentarli.
«Ed è indispensabile. Ma abbiano sentito la presidente Santelli, in un’intervista con Lucia Annunziata, che i nuovi posti potrebbero arrivare tra 45 giorni. I tempi sono incompatibili con quelli del contagio. Nessuno si augura un’esplosione degli infetti, ma di questo passo rischiamo di non farci trovare pronti. E non oso immaginare cosa accadrebbe in Calabria con numeri pari anche a un quarto di quelli registrati in Lombardia, che è stata travolta pur avendo il miglior sistema sanitario in Italia. Qui abbiamo poco tempo per attrezzarci. E c’è un altro nodo da sciogliere».
Quale?
«Abbiamo un’altra arma contro il Coronavirus: proteggere le persone che lavorano a contatto con i pazienti. È necessario acquistare dispositivi di protezione individuale per dotarne i sanitari. Dai feedback che ci arrivano, rischia il contagio circa il 12% del personale sanitario. Che può diventare vettore della malattia, facendo salire ulteriormente i numeri. Per non parlare del fatto che ogni medico e infermiere, se contagiato, va in quarantena riducendo le risorse umane a disposizione per combattere questa battaglia». (p.petrasso@corrierecal.it)

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