di Mariateresa Russo*
L’Autorità europea per la sicurezza alimentare che – dopo le rassicurazioni dell’Istituto Superiore di Sanità e l’Organizzazione Mondiale di Sanità – mette un punto fermo sul tema, confermando che attualmente non ci sono prove scientifiche che il cibo sia fonte o via di trasmissione probabile del virus Covid-19.
L’Autorità giunge a tali conclusioni basandosi su precedenti osservazioni condotte in occasione dei focolai epidemici riconducibili ai coronavirus della sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV) e della sindrome respiratoria mediorientale (MERS-CoV), che non hanno mai evidenziato trasmissioni tramite il consumo di cibi.
Ulteriori conferme al riguardo provengono dalle osservazioni del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), istituto che mette in evidenza come – seppure in Cina la probabile fonte iniziale dell’infezione sia stato l’animale – il virus si è comunque diffuso da persona a persona tramite droplet respiratorie.
Le osservazioni condotte da scienziati di tutto il mondo impegnati nel monitoraggio della diffusione del virus, quindi, non hanno registrato e segnalato trasmissione tramite il cibo: il dato è – al momento – confermato anche dalla letteratura scientifica.
Ovviamente, l’esortazione in tema di sicurezza alimentare è quella di seguire le raccomandazioni precauzionali emanate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che includono consigli sulle buone pratiche igieniche da osservare durante la manipolazione e la preparazione dei cibi che, peraltro, dovrebbero essere sempre osservate anche per evitare contaminazioni ascrivibili a batteri (es. Salmonella, Staphylococcus aureus, Campylobacter, Escherichia coli) o calicivirus, virus a RNA ecc.
Nel caso di specie, per il CODIV_19, ancora una volta appare strategica la buona abitudine di lavarsi accuratamente le mani prima e dopo la preparazione del cibo.
Per precauzione, l’OMS consiglia di evitare il consumo di alimenti di origine animale crudi o poco cotti: la raccomandazione, quindi, è quella di cuocere bene i prodotti di origine animale – e, in particolare, carne, pesce, uova – poiché la cottura assicura la completa distruzione del virus.
L’Oms conferma, infatti, che i coronavirus sono sensibili alle normali condizioni di cottura e sono inattivati a 70°C.
Lavare le carni non è, invece, una buona idea, perché non serve a rimuovere tutti gli eventuali microorganismi: con tale pratica, inoltre, di certo si contaminano le superfici della cucina.
La cottura fatta bene, quindi, è la soluzione migliore per eliminare eventuali batteri e/o virus presenti.
La stessa regola vale per le uova: lavarle significa rimuovere il sottile strato protettivo di cui l’uovo è naturalmente fornito e che, isolando i pori presenti sul guscio, lo protegge dalle contaminazioni.
In cucina, quindi, è fortemente consigliato manipolare gli alimenti con la massima attenzione al fine d’evitare il fenomeno noto come “contaminazione crociata” tra alimenti diversi e tra quelli già cotti e quelli crudi: dopo la cottura gli alimenti vanno manipolati con utensili diversi da quelli impiegati per l’alimento crudo.
La raccomandazione ulteriore è quella di tenere separati gli alimenti cotti e crudi durante la conservazione in frigorifero: in verità, tali raccomandazioni non si discostano dalle normali regole di igiene e sicurezza che già da tempo sono in uso e che sono volte alla prevenzione delle infezioni trasmissibili con gli alimenti.
Nessun problema si rileva per gli alimenti industriali, poiché è ampiamente dimostrato che le procedure di pastorizzazione e/o sanificazione adottate dalle aziende sono in grado d’eliminare il coronavirus della Sars che presenta evidenti similitudini con il COVID 19.
Nel caso della frutta e verdura cruda, diversi scienziati hanno messo in evidenza che – diversamente dagli alimenti di origine animale – queste presentano strutture superficiali che rendono più difficile la persistenza dei microrganismi, ciononostante, si raccomanda un lavaggio accurato (anche con l’uso di sanificanti), tenendo in conto che l’eventuale rischio di trasmissione di questo virus tramite gli alimenti è molto basso e ciò, anche se si considera che raramente il cibo crudo viene consumato subito dopo la raccolta e che il tempo che intercorre tra la raccolta e la distribuzione favorisce la perdita di vitalità dei virus.
È chiaro che la buona prassi – a prescindere dal Covid19 ed a maggior ragione per il Covid-19 – è quella di lavare sempre accuratamente gli alimenti destinati al consumo crudo, come frutta e verdura.
Vogliamo evidenziare che nel caso di verdure della quarta gamma, ovvero le prelavate, non è buona abitudine rilavarla se sulla confezione vi è la dicitura “prelavata e pronta da consumare” (dicitura che c’informa che l’alimento è stato sottoposto a cicli di pulizia e sanificazione): infatti – sebbene i metodi utilizzati presentino piccole varanti da azienda ad azienda – di norma, le verdure sono selezionate, lavate una prima volta in grandi vasche di acqua clorata o ozonizzata e/o elettrolizzate e quindi tagliate, risciacquate, asciugate e imbustate spesso in atmosfera protettiva.
Un altro elemento da non sottovalutare in questo contesto emergenziale – peraltro confermato dall’Istituto superiore di sanità e dagli enti di ricerca più autorevoli – è che l’acqua del rubinetto non è pericolosa.
L’acqua di rete è sicura e – a parte il gusto dei singoli – non vi sono motivazioni sanitarie che possano giustificare la scelta delle acque minerali: difatti, le correnti pratiche di depurazione normalmente adottate sono efficaci nell’abbattimento dei microrganismi e, tra questi, dei virus che sono totalmente abbattuti prima che l’acqua venga immessa nelle condutture per raggiungere i nostri rubinetti.
Possiamo concludere, quindi, che il coronavirus non si trasmette attraverso l’acqua del rubinetto.
Di certo, ancora, non sono le bevande calde che ci proteggeranno dal coronavirus: tè e tisane, però, possono piacevolmente accompagnare parte della nostra giornata.
Detto ciò, in questi giorni di “isolamento sociale” l’atto del mangiare è diventato quasi un doveroso rito di appagamento; lo sappiamo: mangiare è un atto fortemente edonistico, perché traiamo piacere dal cibo ed a volte ne abusiamo, cercando in esso consolazione e così ci ritroviamo ad assumere cibo non solo per soddisfare il senso della fame, ma per golosità, per occupare il tempo davanti a un film o durante lo studio o semplicemente per socializzare e, in questo frangente Covid per superare l’ansia da isolamento sociale e la paura.
Anche in questo momento di crisi, quindi, non dimentichiamo che la linea guida è nutrirsi e, quindi, fornire al nostro organismo i macronutrienti (proteine, carboidrati e lipidi) e micronutrienti (vitamine, minerali ed altri elementi) di cui ha bisogno – nelle giuste quantità e proporzioni – affinché possa svolgere correttamente tutte le funzioni fisiologiche e mantenere lo stato di benessere.
Allora, con l’obiettivo superiore di garantirci il massimo benessere, per fronteggiare eventuali crisi riserviamo pure all’atto del mangiare un valore edonistico che sia, però, equilibrato e coerente con l’atto nutrizionale.
In questo obiettivo può di certo ispirarci – e venire in soccorso – il modello nutrizionale noto come “Dieta Mediterranea”, un modello il cui regime alimentare si fonda su alimenti tradizionali dell’area mediterranea che privilegia cereali, frutta, verdura, semi, olio di oliva, l’uso limitato di carni rosse e grassi animali, dolci ed un consumo moderato di pesce, carne bianca, legumi, uova, latticini.
Un paradigma dinamico quello della “Dieta Mediterranea” che – al di fuori delle semplicistiche mitizzazioni – si concretizza nella moltitudine delle diete mediterranee dei diversi territori.
E con una punta di orgoglio possiamo dire che, in questo, la Calabria la fa da padrona, essendo la nostra regione il luogo della “Dieta Mediterranea di riferimento”: quella dei cittadini di Nicotera del 1960, ed uno dei luoghi in cui i cibi del modello mediterraneo assumono connotati gastronomici di strabiliante bontà.
E se è vero che numerosi studi hanno dimostrato il progressivo allontanamento delle nostre abitudini alimentari dai valori di riferimento (con conseguente aumento di numerose patologie), oggi l’invito è quello di sfruttare questo tempo di crisi per riscoprire i valori di una sana alimentazione, quelli di un modello preso ad esempio per la dieta universale, sostenibile per l’ambiente, per la salute e, soprattutto, per la popolazione globale presentata della Commissione Eat-Lancet, pubblicata sulla rivista scientifica Lancet.
La forza della Dieta Mediterranea discende dall’abbondante presenza di frutta, verdura, olio vergine di oliva, vino rosso, erbe aromatiche, aglio, cipolla, (senza dimenticare il) peperoncino, paniere che offre una quantità di composti bioattivi difficilmente rintracciabili in altri tipi di diete e che sono dotati di spiccate attività quale quella antitrombotica, anticancerogena, antiossidante e stimolante della cosiddetta immunità aspecifica.
In tempi d’isolamento, allora, riappropriamoci della nostra identità; riorganizziamo la cucina con abbondanti quantità di alimenti di origine vegetale, cereali, pane e pasta, verdura, patate, fagioli ed altri legumi, noci, nocciole, semi; valorizziamo i prodotti di stagione e locali.
La Calabria è terra di pane: il pane di Alli o quello di Cutro, di Cerchiara, di Cuti, la pitta catanzarese, il pane ai semi di finocchio, il pane di jermanu e quello di castagne, a volte farciti con olive o cipolla e questi solo per citarne alcuni dalla lunga lista.
Sfruttiamo l’occasione per invitare i nostri giovani figli e nipoti a sperimentare il sapore della tradizione. Proponiamo la pasta artigianale e l’ampia scelta dei legumi locali (dai fagioli zicca Janca di Arena a quelli di Cortale, al Fagiolo Poverello Bianco del Pollino al Monachella dell’alto Lametino, la Sujaca di Caria di Drapia) magari accompagnati con cipolla rossa di Tropea (dolce e ricca di composti bioattivi), il tutto condito con quel filo d’olio di oliva extra vergine, principale fonte di grassi, ma anche di edonistica esaltazione.
La Calabria produce oli di grandissima qualità e variegate caratteristiche organolettiche in grado d’esaltare sia piatti che i nostri recettori e, nel contempo, capaci di proteggerci da numerose malattie.
Non facciamo mancare pesce, carne e uova che ci garantiscono la scorta di minerali quali rame, zinco, selenio e tutto il complesso di vitamine B, B1, B6 e di vitamina D, quotidiane porzioni di frutta fresca per completare il quadro vitaminico e di sali minali e scegliamo come snack porzioni di frutta secca: noci e noccioline ricche di zinco e rame, semi di zucca, ecc.
E se il nostro circuito della ricompensa reclama dolci allora riscopriamo il mostacciolo, un cibo slow per la particolare texture, fatto solo con miele e farina poco raffinata e, in alcune ricette, con piccole quantità di farina di castagna. Riscopriamo il nostro miele, disponibile in un’ampia gamma di flavour, da quello di agrumi a quello di sulla, castagno, eucaliptus, acacia. La nostra regione è una delle regioni regine nella produzione di questo prodotto con altissimi standards qualitativi.
E se il nostro circuito della ricompensa reclama dolci, allora riscopriamo il mostacciolo, un cibo slow per la particolare texture, fatto solo con miele e farina poco raffinata e, in alcune ricette, con piccole quantità di farina di castagna; riscopriamo, inoltre, come dolcificante, il nostro miele, disponibile in un’ampia gamma di flavour, da quello di agrumi a quello di sulla, castagno, eucaliptus, acacia : la nostra regione è una tra le regine nella produzione di questo prodotto con altissimi standards qualitativi.
In conclusione, vi raccomando: restate a casa, così salvate voi stessi e la vostra comunità e riscoprite la mediterraneità del vivere slow.
*Professore di Chimica degli Alimenti
Università Mediterranea di Reggio Calabria
Vicepresidente della Società Italiana di Chimica degli Alimenti
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