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«Qualcuno (finora) l'ha protetta. Ma la Calabria è impreparata»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 21/03/2020 – 7:25
«Qualcuno (finora) l'ha protetta. Ma la Calabria è impreparata»

In Calabria poteva sino ad ora andare peggio. Ciò anche in considerazione dell’irresponsabile rientro, dovuto alla fuga di notizie sul contenuto del primo D.L. che impediva di uscire dalla zone rosse del nord, che ha fatto sì che si catapultassero decine di migliaia di meridionali nelle loro terre di origine. Una folla cui non si è potuto effettuare la totalità dei dovuti accertamenti diagnostici per difetto della responsabile autodenuncia dei singoli. E’ andata bene solo perché qualcuno, da lassù o da qua giù non saprei dirlo, l’ha protetta.
Questo è quanto si registra oggi, con quattro decessi di colpiti da coronavirus in condizioni di salute già di per sé compromessa ovvero malandata.
Il rischio è comunque grosso, dal momento che qui non c’è nulla, quanto a strutture idonee, e nessuno capace di prendere «il toro per le corna». Manca chi sappia affrontare energicamente l’epidemia che avanza, pretendendo di acquisire quanto minimamente necessario agli operatori sanitari, per fare il loro dovere in sicurezza, e ai cittadini per proteggere i loro cari. Tutto questo avviene perché, dalle nostre parti, si è venuta a formare, strutturalmente, una irragionevole complicità tra: il Governo, il Capo del Dipartimento della Protezione Civile, il Dipartimento regionale alla tutela della salute, il Commissariamento ad acta e le aziende della salute.
Il risultato è la concretizzazione di una macabra farsa, con il Covid-19 accomodato «in salotto», nella quale fissìano tutti!

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Lo fa l’Esecutivo nazionale non rimediando alle brutture che ha prodotto l’indifendibile D.L. 35/2019, costretto ad evitarlo, nonostante i guai che ha combinato al servizio sanitario regionale, solo perché deve coprire le gravi responsabilità politiche che ha assunto, a suo tempo, la già ministra Grillo nel perorarlo. Un provvedimento che ha inguaiato, più di quanto già lo fosse per suo conto, il sistema della salute calabrese. Prima di tutto imponendo una governance straordinaria alle aziende territoriali e ospedaliere che sta dimostrando la sua incapacità e la sua inadeguatezza ad affrontare persino i problemi del quotidiano e distruggendo anche ciò che c’era. Una opzione che, in questo nefasto periodo per la salute pubblica, sta arrecando danni enormi, con nominati inconsapevoli di cosa sia la Calabria e i calabresi nonché impegnati nell’esercizio del relativo management a tempo settimanale molto parziale, con il verosimile pericolo di rendersi anche «untori» di Covid-19, attesi i loro ricorrenti viaggi di andata/ritorno dalle zone bollenti.
Tanta è l’inadeguatezza del Governo che ci costringe ad «ospitare» in terapia intensiva due ammalati provenienti dalla Lombardia. Forse perché qualcuno ha irresponsabilmente vantato una disponibilità di posti-letto di rianimazione inesistente?

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Lo fa il Capo del Dipartimento della Protezione Civile che dimentica che la Calabria, come del resto anche il Molise, ha la sanità commissariata ex art. 120, comma 2, della Costituzione, tollerando così una palese distorsione nell’esecuzione delle competenze delegate.
Lo stesso infatti – prescindendo dalla particolare disciplina della formazione dei provvedimenti di protezione civile (d.lgs. n.1/2018), in presenza dell’esigenza di nominare ivi un soggetto attuatore delle proprie ordinanze (così come ha fatto con Ocdpc n. 630 del 3 febbraio 2020) – non può fare altro che individuarlo nella figura del nominato commissario ad acta. Ciò indipendentemente dalla dovuta indicazione nell’atto di designazione, quale istituzione destinataria, del Presidente della Regione. Una conclusione, questa, che non lascia spazio ad alcun’altra interpretazione, dal momento che in una Regione commissariata tutti i compiti istituzionali riferibili alla salute appartengono esclusivamente al sostituto e non già all’organo sostituito, a mente di uno specifico precetto costituzionale.
Quindi, ancorché nominalisticamente indicato quale destinatario nei provvedimenti di attribuzione dell’incarico la Presidente della Regione commissariata, le relative funzioni sono – Costituzione alla mano e non perché si possa minimamente ritenere la stessa non idonea ad esercitarle, tutt’altro – da intendersi attribuite al commissario ad acta, incaricato in sua vece (ma pure della Giunta così come del Consiglio, salvo la sua residuale funzione legislativa) della gestione della sanità e, di conseguenza, arricchito delle competenze straordinarie sopravvenute di protezione civile. Non farlo, meglio non considerare ciò come naturalmente avvenuto sul piano dell’efficacia giuridica, risulterebbe generativo di un corto circuito (così come sta avvenendo) grave per la salute pubblica, atteso che verrebbero a determinarsi conflittualità di attribuzioni tali da incentivare più pericoli che soluzioni.
Lo fa ancora fornendo mascherine farlocche, così come avvenuto in Lombardia, per proteggere gli operatori sanitari dei presidi ospedalieri calabresi, buone solo per essere utilizzate a tutela dei gas di scarico in un garage pubblico.

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Lo fa la il Dipartimento regionale per la tutela della salute con ingiustificate dichiarazioni tranquillizzanti. Non elaborando – trattenendo peraltro indebitamente competenze attratte costituzionalmente dal commissariamento ad acta – programmi accettabili e non disponendo tutele efficienti a garantire il servizio pubblico. Si limita a scandire interventi appena accennati, senza la necessaria preventiva rilevazione del fabbisogno epidemiologico e, peggio che peggio, senza avere bene inventariato, a mezzo del personale adeguato allo scopo, e avviato all’uso le disponibilità strutturali ospedaliere utili ad essere trasformate in presidi erogatori di prestazioni di rianimazione e terapia intensiva, di sub terapia intensiva e cura delle patologie infettive. Un patrimonio strutturale che è nelle disponibilità regionali e che potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nella lotta contro un tale temibile avversario. Un inadempimento che mette a rischio di illegittimità tutti i provvedimenti regionali e aziendali indispensabili per effettuare il reclutamento straordinario di personale, a mente del D.L. 14/2020.
Non solo. Trascura di rimediare all’inesistenza dell’assistenza territoriale senza la quale non si riuscirà a fare nulla, ribaltando così tutto il da farsi, come al solito, sulla rete dell’emergenza impossibilitata a garantire le prestazioni necessarie, considerato anche il limitato impegno della medicina convenzionata portata a tutelare la moltitudine salutare della propria utenza in via telefonica/telematica.
Il tutto, facendo salvo il compito di richiamare ai propri doveri e, quindi, collaborare lealmente a che le dette funzioni vengano svolte dall’organo commissariale cui è stata rimessa dal Governo la gestione della salute calabrese.

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Lo fa il Commissariamento ad acta garantendo il nulla assoluto, trascurando di pretendere nel particolare momento l’esercizio del proprio ruolo fortemente potenziato – come detto – dall’incremento dei poteri straordinari concessi loro dall’Ocdpc di Protezione Civile n. 630 del 3 febbraio 2020 e dal Decreto del Capo di Dipartimento della Protezione civile del 27 febbraio successivo. Un atteggiamento riprovevole in un particolare momento come questo nel quale la Calabria ha bisogno di attenzioni speciali e comportamenti essenziali per non facilitare l’esasperato diffondersi del virus, con conseguente «strage degli innocenti», colpevoli solo di non avere voluto abbandonare, per amore, la loro terra.
E dire che il D.L. 14/2020 – anch’esso meritevole di qualche critica relativamente all’aver considerato l’Italia della salute come se fosse egualitariamente attrezzata della medesima competenza tecnica ed esperienza necessarie ad adempiere a quanto in esso prescritto – pone degli adempimenti fondamentali e non di poco conto a carico delle Regioni che, per come precisato, sono sostituite nei loro organi di governo regionale dall’istituito commissariamento ad acta. Una conclusione cui la Costituzione ha attribuito una ineludibile certezza, che avrebbe dovuto determinare, in capo agli incaricati che hanno vicendevolmente svolto il ruolo di commissario ad acta (fatta eccezione per quello immediatamente precedente all’attuale), il dovere di assumere le decisioni indispensabili a riportare, quanto all’ordinario, a normalità una sanità riconosciuta inesistente, tanto da richiedere al Governo in carica del 2009 il ricorso alla procedura di sostituzione di cui all’art. 120, comma 2, della Carta. Un compito che, in un particolare momento come questo, andava massimizzato a tal punto da imporre tutte le misure precauzionali al diffondersi dell’epidemia in atto e quelle ad assicurare un’efficace terapia ai soggetti affetti da coronavirus. Una attività istituzionale che non ha registrato alcuna operosità, rendendo il servizio sanitario regionale in una condizione di precarietà assoluta, collaborato in questo dagli esiti del D.L. 35/2019 e dalle scelte manageriali da ritenersi la diretta conseguenza delle anzidette errate previsioni normative.

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Lo fanno le aziende della salute che in Calabria hanno raggiunto il massimo del peggio. Un sistema di cinque aziende territoriali e di quattro ospedaliere reso inefficiente come non mai, tanto da generare più pericoli alla salute collettiva che soluzioni ad essi.
Questa è la sintesi di una combine di opzioni legislative e di scelte improprie, nell’individuazione delle figure manageriali necessarie, che hanno reso il servizio sanitario calabrese inefficiente nell’ordinario figuriamoci nella straordinarietà dettata dalla epidemia in atto, che mette a rischio la vita dei calabresi, tantissimi dei quali in età anziana.

*docente Unical

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