Alla dovuta concitata attività del Governo e delle Regioni per contrastare l’inarrestabilità dell’epidemia si sono aggiunti quattro provvedimenti, emanati due il 20 marzo 2020 e due il 22 successivo, da altrettante meritevoli autorità facenti parte della governance posta a salvaguardia, ordinaria e straordinaria, della salute.
Il primo riguarda l’OCDPC n. 654, per l’appunto del 20 marzo scorso, che ha disposto «Ulteriori interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili». Dalla conclusione delle siffatte relative procedure selettive verranno immessi nel circuito assistenziale straordinario trecento e forse più medici volontari, che andranno a costituire l’istituita «Unità medico specialistica». Uno strumento destinato a rafforzare, nelle regioni più esposte al moltiplicarsi del contagio in atto, l’attivazione delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza da Covid-19.
Tali professionisti – che dovranno essere tutti già dipendenti e/o convenzionati con il Servizio sanitario nazionale ovvero alle dipendenze di strutture private sociosanitarie autorizzate dallo stesso – saranno pertanto, di qui a poco, selezionati dalla Protezione civile nazionale a supporto delle emergenze organizzative ed erogative del sistema della salute, altrimenti messo in ginocchio dal coronavirus.
Il secondo è stato perfezionato sotto la forma di una ordinanza emessa dal Ministro della Salute, a mente dell’art. 32, 117 (comma 2, lett. q) e 118 della Costituzione, con la quale lo stesso ha cautelativamente imposto misure, ulteriori a quelle esistenti, di contenimento del contagio da Covid-19 da rendersi attive su tutto il territorio nazionale. Una opzione, quella dell’ordinanza ministeriale, che è sostituiva, sul piano della forma giuridica prescelta, degli atti amministrativi sino ad oggi adottati attraverso il ricorso ai Dpcm. Una scelta che imporrà, comunque, una qualche attenzione sul piano del coordinamento della formazione degli atti dei singoli ministri posti a tutela dell’emergenza medesima per evitare ogni genere di confusione e disorganicità, del tipo quello prodotta dal coevo provvedimento emesso dalla titolare delle Infrastrutture sul corretto e tutelato trasporto in taxi dei passeggeri che ben si sarebbe fatto ad includere in quello a firma di Roberto Speranza.
Ritornando all’anzidetta ordinanza, al di là dell’apparente eccessiva compressione delle libertà individuali, sono in essa da apprezzare:
– l’intenzione del Ministro di volere imporre, ovunque, gli stessi limiti comportamentali, soprattutto allo scopo di evitare libere interpretazioni da parte delle Regioni troppo spesso introduttive di discipline dettate dall’emotività e finanche dall’umore dei governatori e, in quanto tali, non propriamente rispettose dei principi costituzionali;
– l’obiettivo perseguimento dell’ineludibile fine di vietare ogni inutile circolazione delle persone, prioritariamente di quella precedentemente resa possibile dalle contraddizioni, dalle genericità e dalla larghezza delle maglie dei divieti posti in essere dalla precedente normativa prodotta dalle autorità, nazionali e territoriali, nella confusa straordinarietà dell’evolversi dell’evento epidemico.
A tutto questo si è pervenuto attraverso la previsione di divieti specifici (tra gli altri, chiusura dei parchi e dei luoghi di svago all’aperto nonché degli esercizi di somministrazione funzionanti nei siti di arrivo e partenza; divieti di spostamento ingiustificato dalle abitazioni abituali e per le seconde case) e di ridotte libertà per il procacciamento di cibi e bevande necessarie alla vita quotidiana dei cittadini e di quelli costretti a frequentare luoghi di cura.
Il terzo è il provvedimento adottato dal Governo nella seduta di ieri sera (sotto quale forma non lo si comprende ancora! Si suppone, sotto quella di un decreto legge) che, di fatto, ha confermato le misure precedenti e incrementandole di nuove, intese queste ultime finalizzate a restringere l’esercizio delle attività produttive e l’apertura degli uffici sino ad oggi consentite. Una decisione necessaria che ha reso tuttavia sempre meno psicologicamente vivibile, nella solitudine familiare, la residuale permanenza dell’emigrazione dal sud divenuta stabile nelle zone a rischio assoluto.
Il quarto è l’ordinanza n. 15/2020 a firma della Presidente della Regione Calabria, perfezionata nella prima mattinata di oggi, e proprio per questo vittima di qualche contraddizione tra quanto deciso e quanto contenuto nei riferimenti normativi (Dpcm). Essa costituisce comunque la naturale e diretta conseguenza dei contenuti della decisione del Governo e della coeva ordinanza prodotta dall’omologo Attilio Fontana, presidente della Lombardia.
E’ stato ritenuto logico e temibile, a fronte di ulteriori chiusure di attività lavorative nelle aree calde del Paese e alla recrudescenza dei colpiti dal coronavirus, il concretizzarsi di una ulteriore ondata di ritorno dei calabresi, meglio dei loro figli e nipoti, verso la nostra regione. Di conseguenza, considerata l’incapacità di affrontare i verosimili esiti di un tale pericoloso fenomeno, è da condividersi la misura assunta dalla Governatrice, quantomeno produttiva (si spera) di un non aggravarsi della situazione che la Calabria vive, con le precarietà assolute del proprio sistema sanitario, cui tutti hanno lanciato irresponsabilmente contro i loro dardi della noncuranza, della speculazione e della incapacità di fare altrimenti.
*docente Unical
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