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«I limiti costituzionali dei provvedimenti anti-Covid»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 23/03/2020 – 13:06
«I limiti costituzionali dei provvedimenti anti-Covid»

Un provvedimento da taluni riconosciuto come provvidenziale, quanto ad individuazione di sospensioni di attività e di divieti atti a migliorare il contenimento dell’epidemia in atto, da altri un po’ molto meno.
Di fatto, il provvedimento ha confermato le misure precedenti, incrementandole di nuove, intese queste ultime a restringere l’esercizio delle attività produttive e l’apertura degli uffici precedentemente consentiti, limitando così l’apertura e la frequenza di quelle iniziative (86) scandite nell’apposito allegato 1. Una decisione resasi necessaria per il diffondersi dell’epidemia e per rivendicazione di provvedimenti più restrittivi da parte dei Governatori delle regioni a più alta intensità epidemica e conseguenti danni alle persone.
La novità assoluta ribadita dal Dpcm – in linea con quanto previsto nell’art. 1 dell’anzidetta ordinanza del ministro della Salute del 20 marzo precedente che, sotto certi aspetti, lo stesso intende così sanare sotto il profilo della presunta indebita prescrizione dell’assunto sul profilo costituzionale – è il divieto assoluto, recato nel punto c) dell’art. 1, dei cittadini «di trasferirsi o spostarsi» comunque «in un Comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano».
Una previsione che, ancorché accettabile come generale tutela della non deambulazione del virus attraverso le gambe dei cittadini che ne sono esclusivamente portatori, più o meno sintomatici, concretizza una totale compressione dei diritti della persona. Una indebita limitazione di un diritto fondamentale, quello dell’esercizio della libera circolazione e di soggiorno, non propriamente praticabile attraverso un atto amministrativo (tale è un Dpcm), non affatto idoneo a sancire la condizione di particolare indifferibilità pretesa dall’art. 16 della Costituzione per porre il divieto di circolazione nel territorio nazionale. Un divieto (molto) eccezionale, quello contemplato dall’anzidetto precetto costituzionale, neppure preso in considerazione nelle fattispecie di misure rappresentate nel D.L. 6/2020, e in quanto tale non affatto delegabile, ex art. 3 del medesimo, ad altro provvedimento che non fosse di tipo legislativo, del tipo un ulteriore decreto legge. Un atto avente valore di legge, quest’ultimo, e in quanto tale suscettibile all’esame valutativo preventivo del rispetto della Carta da parte del Capo, una garanzia questa non necessaria per determinare l’efficacia dei Dpcm.
Relativamente al contenuto di quello in esame è da tenere conto che – al di là della anzidetta rilevata incongruenza costituzionale riferibile al divieto di circolazione tra un comune e un altro che ha, peraltro, messo taluni a sostenere come impedita anche la frequenza delle farmacie, da considerarsi di assoluta libera scelta dell’utenza – che esso afferisce, da una parte, alla esigenza di diminuire le occasioni di diffusione del contagio e, dall’altra, di non stressare sino all’inverosimile il sistema produttivo, oramai condannato alla diseconomia, e garantire alla comunità nazionale l’indispensabile. Non solo. Il Dpcm costituisce il tentativo – intervenendo tuttavia nella disciplina di dettaglio riservata alle Regioni dalla legislazione concorrente, suscitando con ciò quale giustificata riserva sul piano della costituzionalità dell’assunto – di compensare le diverse iniziative dei governatori regionali intese a regolare, nell’esercizio delle competenze affidate loro di soggetti attuatori di protezione civile, i limiti di esercizio delle attività presenti sui loro territori e imponendo divieti comportamentali, spesso nettamente al di sopra di quanto consentito dalla Costituzione, considerati indispensabile per contrastare il diffondersi ulteriore del Covid-19.
*docente Unical

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