di Francesco Donnici
LAMEZIA TERME Lo aveva preannunciato il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, lo ha confermato il direttore generale di Inps Calabria, Giuseppe Greco (qui l’approfondimento). «L’istituto è pronto ad erogare, anche in Calabria, gli interventi previsti dal “Cura Italia”». Ed infatti sul sito della Regione è ora disponibile almeno la modulistica necessaria per la presentazione delle istanze della “cassa integrazione in deroga” di cui all’articolo 22 del decreto. Ma questo potrebbe non bastare.
Ci sono intere fasce della popolazione che rimangono pressoché tagliate fuori: piccoli imprenditori, precari, invisibili o dimenticati dalla legge. Il rischio – come evidenziato da Federico Cafiero De Raho e dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri (qui la notizia) – è che nell’assenza dello Stato, la ‘ndrangheta si presenti come «benefattore» andando ad aumentare il suo potere in ambienti dove è già conclamato.
Nella filiera agricola lavora tutto un mondo “sommerso” che continua ad essere invisibile alla legge, anche nell’emergenza. Nessun aiuto per loro, nonostante le filiere produttive del settore non si siano mai fermate per poter garantire beni “essenziali” o “di prima necessità”.
“CURA ITALIA” E IMPRESE AGRICOLE L’articolo 78 del decreto n.18 del 17 marzo 2020 specifica che «per far fronte ai danni diretti e indiretti derivanti dall’emergenza Covid-19 e per assicurare la continuità aziendale delle imprese agricole, della pesca e dell’acquacoltura, nello stato di previsione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, è istituito un Fondo con una dotazione di 100 milioni di euro per l’anno 2020 per la copertura totale degli interessi passivi su finanziamenti bancari destinati al capitale circolante e alla ristrutturazione dei debiti, per la copertura dei costi sostenuti per interessi maturati negli ultimi due anni su mutui contratti dalle medesime imprese, nonché per l’arresto temporaneo dell’attività di pesca». A questo si aggiunge il prospettato aumento dal 50% al 70% degli anticipi dei contributi Pac a favore degli agricoltori, misura dal valore complessivo oltre un miliardo di euro» e l’aumento del “fondo indigenti” di 50 milioni di euro per assicurare la distribuzione delle derrate alimentari. Il ministro Teresa Bellanova ha però sottolineato che questa parte dovrà funzionare come una premessa rispetto agli «interventi strutturali che il governo sta incominciando a pensare per il settore». Ulteriori misure sono poi previste dall’articolo 30 per gli «operai agricoli a tempo determinato, non titolari di pensione, che nel 2019 abbiano effettuato almeno 50 giornate effettive di attività di lavoro agricolo, l’indennità di 600 euro per il mese di marzo prevista dal Governo. L’indennità – specifica la norma – non concorrerà alla formazione del reddito e non è cumulabile con il reddito di cittadinanza, sarà erogata dall’Inps, previa domanda, nel limite di spesa complessivo di 396 milioni di euro per l’anno 2020». Si aggiungono anche per i lavoratori agricoli i riferimenti alla cassa integrazione in deroga all’art.22 e le proroghe delle domande di disoccupazione agricola all’art.32.
NESSUNA TUTELA PER IL “SOMMERSO” Misure che in Calabria interessano migliaia di persone, come hanno constatato anche i neo assessori regionali Gallo e Orsomarso esternando le loro preoccupazioni focalizzate però sulle modalità – col rischio che si potessero creare file e assembramenti – di presentazione delle istanze (qui la notizia) e non tanto sul contenuto della legge. I sindacati, dal canto loro, si sono messi fin da subito a disposizione delle migliaia di braccianti impiegati nel settore agricolo calabrese: «Come Cgil abbiamo contattato telefonicamente tutti coloro che hanno già fatto presso le nostre sedi richiesta di disoccupazione agricola. Abbiamo inoltre fatto girare sui social e via sms le informazioni necessarie tradotte in più lingue e abbiamo diffuso locandine indicando gli indirizzi di posta elettronica e i recapiti delle varie sedi, dove riceviamo il pubblico, previo appuntamento per evitare ulteriori disagi e assembramenti nelle sale d’attesa e negli uffici. Insieme agli indirizzi di posta elettronica in modo che chiunque voglia contattarci possa farlo anche in questo modo». Così Celeste Logiacco, segretaria Cgil della Piana di Gioia Tauro, dove è presente un altissimo numero – se non il maggiore della regione – di braccianti agricoli. E proprio partendo dalla Piana, si può evidenziare che il vero problema è in realtà di quanti non potranno accedere a questi “aiuti”. Il “Rapporto sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del 2019” mostra come nel settore agricolo sia riscontrata la presenza del 50% di lavoratori in nero.
Dati evidenziati non soltanto dai sindacati, ma anche da una serie di associazioni e movimenti.
Tra tutte risuona la denuncia di Coldiretti secondo cui «la grande filiera agroalimentare italiana si regge sullo sfruttamento selvaggio dei lavoratori stranieri senza diritti, preda del capolarato e del ricatto del rinnovo del permesso di soggiorno». Ma è anche il caso, ad esempio, dell’associazione “NoCap” che attraverso il suo portavoce, Yvan Sagnet – con un passato da bracciante in nero alle spalle – ha rimarcato come gli interventi per questo settore debbano tenere conto dei lavoratori “in nero” (perché occupati in modo irregolare) o “in grigio” (cioè in modo parzialmente regolare). «Anzi – scrive Sagnet – è proprio il “Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022)” redatto assieme ai ministeri del Lavoro, degli Interni e delle Politiche Agricole che pone l’accento sull’annoso problema del lavoratore agricolo formalmente assunto, ma per il quale il datore di lavoro denuncia all’istituto previdenziale un numero di giornate lavorate inferiore a quelle realmente svolte».
«LA SOLUZIONE SONO LE REGOLARIZZAZIONI» Intervenire sul problema, come chiaro, non significa fornire incentivi al lavoro in nero, ma “sfruttare” la situazione di emergenza per far fronte ad un problema troppe volte taciuto e alimentato da alcune recenti legislazioni.
In una nota diffusa dall’Unione sindacale di base vengono fatte una serie di proposte tra cui vanno segnalate: «L’estensione dell’indennità di cui all’articolo 30 del decreto anche a coloro che ne sono rimasti esclusi per inadempienza da parte del datore di lavoro che ha dichiarato meno giornate lavorative di quelle effettivamente svolte» o «la regolarizzazione del lavoro dei braccianti divenuti invisibili per effetto della legge Bossi-Fini o dei Decreti sicurezza».
Non solo. Lo scorso novembre era stato accolto di buon grado, soprattutto dal prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, l’insediamento della sezione territoriale della “Rete del lavoro agricolo di qualità” (istituto previsto dall’articolo 6, comma 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge n.116 dell’11 agosto 2014). Un sistema “premiale” pensato per le aziende agricole “sane”, che si rivolge proprio a contrastare lo sfruttamento lavorativo e il “sommerso”. Istituto che non ha ancora sortito grandi effetti sul piano concreto anche per via della sua controversa applicazione: sebbene le aziende che entrano a far parte di questo sistema possano poi beneficiare di minori “attenzioni” da parte degli organi di controllo, le stesse devono sopperire ad una serie di stringenti oneri in fase dichiarativa al momento dell’iscrizione. E tuttavia in un momento delicato come questo, facilitare l’ingresso nella “rete” alle aziende sane potrebbe essere un’ulteriore ipotesi. Anche in chiave futura. Così “NoCap”: «Questa crisi poteva essere l’occasione per valorizzare e affermare la “Rete del lavoro agricolo di qualità”, incentivando regolarizzazioni e garantendo ammortizzatori sociali a una platea più comprensiva e con riferimenti attuali, date le grandi storture del sistema».(redazione@corrierecal.it)
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