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Caso Chiaravalle, cronistorie (discordanti) di una bomba batteriologica

Così è esploso il contagio nella casa di cura a partire dal primo evento del 23 marzo. La versione della Regione parla di un sopralluogo dei Nas e di condizioni poco rassicuranti. Ma la proprietà d…

Pubblicato il: 01/04/2020 – 20:36
Caso Chiaravalle, cronistorie (discordanti) di una bomba batteriologica

di Alessia Truzzolillo

CATANZARO I pazienti ricoverati nella residenza sanitaria assistenziale “La Ginestra Hospital” e la casa protetta per anziani “Domus Aurea”, gestite dalla Salus MC srl, saranno trasferiti nel presidio ospedaliero di Germaneto, nella struttura universitaria “Mater Domini”. Allo stesso tempo, il dipartimento “Tutela della Salute e Politiche sanitarie” della Regione Calabria ha disposto che l’Asp di Catanzaro sospenda il contratto con la Salus MC srl e diffida la stessa a effettuare nuovi ricoveri, anche in regime privatistico. La Salus, da parte sua, attraverso il proprio avvocato, grida all’emergenza e all’abbandono di 42 pazienti anziani a una atroce fine. Queste sono le due versioni di una vicenda drammatica (come abbiamo raccontato qui) intorno alla quale qualcosa, decisamente, non quadra.
CRONISTORIA DI UNA BOMBA BATTERIOLOGICA Secondo quanto risulta al Corriere della Calabria la cronistoria del contagio – versione dipartimento “Tutela della Salute” – che ha investito le due case per anziani parte il 23 marzo. In quella data una paziente della “Ginestra Hospital” manifestava febbre e il giorno dopo anche insufficienza respiratoria. Il 25 marzo viene effettuato il tampone per riscontrare la presenza del coronavirus. Il risultato è positivo e a questo punto Antonio Belcastro dirigente generale del dipartimento “Tutela della Salute” avverte il sindaco di Chiaravalle e invia quattro operatori sanitari a effettuare lo screening di pazienti e personale. Centodiciannove tamponi rino-faringei che il 27 marzo danno un esito nefasto: 48 anziani e 19 operatori erano positivi: il 74% degli esami era positivo. Inviato sul posto un infettivologo, membro della task force contro il coronavirus, Benedetto Caroleo, questi rileva che otto pazienti sono in condizioni più critiche a causa di carenza di ossigeno e hanno bisogno di essere portati in ospedale. Gli altri sono asintomatici o presentano sintomi lievi. In tutto sono stati ricoverati 14 pazienti: 9 a Germaneto e 5 al Pugliese.
Gli ospiti della casa di cura che non presentano sintomi vengono trasferiti in due piani della struttura isolandoli dai degenti negativi per i quali è previsto che venga ripetuto il tampone.
Gli operatori sanitari positivi vengono posti in isolamento in una struttura apposita, assistiti dalla Croce Rossa. Chi non è stato infettato è stato fornito dalla Protezione Civile di dispositivi di protezione e invitato a continuare a prestare servizio.
NUOVI POSITIVI Il 29 marzo vengono effettuati, come da programma, nuovi tamponi sui pazienti che erano risultati negativi al primo controllo. Nella stessa giornata arriva una nuova doccia fredda: 11 pazienti su 16 sono positivi. Ricevuta la notizia da parte del dipartimento, vengono contattati il commissario dell’Asp di Catanzaro Luisa Latella, e quello di Vibo, Giuseppe Giuliano, per proporre di trasferire tutti i pazienti negli ospedali di Lamezia Terme e di Tropea, mentre i 4 anziani negativi si propone di portarli a Soverato.
SITUAZIONE POCO RASSICURANTE Nel frattempo viene inviato nella struttura il comandante del Nas dei Carabinieri e il responsabile del pronto soccorso di Soverato per verificare le condizioni della casa di cura. Il verdetto è: una condizione poco rassicurante per i pazienti.
DA LAMEZIA: «NON POSSIAMO ACCETTARLI, NON ABBIAMO SUFFICIENTI PROTEZIONI» Il 30 marzo la task force dell’ospedale di Lamezia Terme invia il proprio “niet” al ricovero degli anziani positivi. Le ragioni risiedono nel fatto che il personale non è sufficientemente fornito di dispositivi di protezione individuale (tute, mascherine, guanti, sovrascarpe) per assistere gli anziani contagiati. Il 31 marzo si inviava il professore Carlo Torti nella casa di cura per verificare le condizioni dei pazienti e dare le indicazioni al 118 circa le priorità di trasferimento dei pazienti a Germaneto.
IL SOPRALLUOGO Il 27marzo viene effettuato un sopralluogo nella struttura per anziani di Chiaravalle. Tre piani più pianoterra, la casa di cura ospita 65 persone, per la maggior parte sopra gli 80 anni, per lo più con patologie di carattere psichiatrico (demenza, psicosi) associate ad altre patologie croniche. Dalla ispezione effettuata vengono messi in evidenza due eventi: un funerale che si celebra il 25 febbraio a Serra San Bruno al quale partecipano la cittadinanza e i parenti del defunto provenienti da Bologna e una festa per l’otto marzo, sempre a Serra San Bruno, alla quale partecipano cittadini serresi, alcuni provenienti da Bologna, e una operatrice della casa di cura che in seguito presterà servizio regolarmente fino al 22 marzo, quando comunica alla struttura di non poter tornare al lavoro perché risultata positiva la Covid-19.
LA VERSIONE DELLA SALUS MC SRL Quella riportata sopra è la versione ufficiale dei fatti che il dipartimento Tutela della Salute avrebbe ricostruito nelle scorse ore. Ben diversa è la versione presente in una nota divulgata dall’avvocato della società Salus MC srl che gestiva la struttura. Secondo quanto riporta il legale Antonello Talerico, il 22 marzo i carabinieri notificano un provvedimento di quarantena domiciliare obbligatoria a una dipendente (c’è da dire che le iniziali della dipendente riportate dal dipartimento e quelle riportate dall’avvocato non combaciano). «In data 23 marzo, a seguito di ciò, la direzione della struttura Domus Aurea invia formale richiesta di tamponi alle varie autorità competenti, rappresentando che la propria dipendente, era stata raggiunta da disposizione di quarantena domiciliare obbligatoria. Tale richiesta rimane inevasa». «In data 24 marzo – prosegue la nota – si chiede l’intervento del Suem 118 per una degente della struttura, affetta da stati febbrili, poi risultata positiva al Covid-19 in data 25 marzo». Per tale ragione, si procede immediatamente all’isolamento della struttura, allertando tutte le autorità competenti che intervengono (in data 25 marzo) presso la struttura “Domus Aurea” ed eseguono i tamponi a tutti i dipendenti ed a tutti i pazienti. In data 27 marzo, si viene a conoscenza dei primi (seppur parziali) risultati dei test: in particolare, emergeva il contagio per Covid di ben 52 persone tra pazienti e dipendenti; l’esito (giunto soltanto in data 28 marzo) degli ulteriori tamponi eseguiti in data 25 marzo, evidenzia la quasi capillare diffusione del virus tra gli anziani; le autorità dispongono il trasferimento di 11 dipendenti risultati positivi al Covid-19, mentre non adottano alcuna misura a tutela dei pazienti risultati negativi al test, che vengono lasciati all’interno della residenza. Ciò determina la ingestibilità della situazione, poiché su 67 anziani totali, ben 60 erano rimasti presso la “Domus Aurea”. E dei 48 dipendenti, soltanto in 13 si ripresentano a lavoro (taluni in quarantena e altri adducendo varie motivazioni). Stanti tali circostanze, che conclamano un focolaio Covid-19 che aveva colpito quasi tutti tra pazienti e dipendenti, nella mattinata del 28 marzo si provvede a chiamare tutte le autorità sanitarie e amministrative competenti, anche al fine di chiedere supporto e assistenza mediante l’invio di personale sanitario per assistere tutti i degenti affetti da coronavirus, trattandosi di anziani ultra 85enni e con patologie più o meno gravi, tali da renderli, parzialmente o integralmente, non in grado di assolvere ai propri bisogni primari e di svolgere le attività più elementari. In data 30 marzo 2020, non seguiva l’invio di personale a supporto, né di dispositivi di protezione sufficienti ed adeguati alla gestione di pazienti covid-19 conclamati. In particolare, alle ore 14.30, si presenta solo uno degli infermieri designati dagli organi amministrativi competenti. Quest’ultimo, finito il turno, non ha fatto ritorno ritorno il giorno seguente.
L’allarme è che a sette giorni dagli eventi «nessuna autorità sanitaria ha inteso intervenire per procedere agli accertamenti sanitari sugli anziani affetti da Covid, né somministrare alcun farmaco, né le autorità competenti hanno inteso trasferire in strutture idonee i malati Covid».
«Rimangono a tutt’oggi all’interno della struttura altri 42 pazienti affetti da covid abbandonati dalle istituzioni sanitarie e amministrative competenti, nonostante i plurimi formali ed informali solleciti», scrive l’avvocato.
«È altresì evidente che le condizioni generali di partenza degli anziani ammalati rende ogni ritardo non solo inaccettabile ma anche concretamente letale. Si aggiunga che allo stato anche il numero dei dipendenti è stato decimato, risultando soltanto soli 6 dipendenti insufficienti per gestire la grave emergenza sanitaria su ben 42 pazienti. Neanche l’ospedale Pugliese-Ciaccio ed il policlinico arrivano assieme a 42 contagiati ricoverati (né può gestirli una rsa). Allo stato altre 42 persone rischiano di morire, poiché le loro condizioni cliniche si sono aggravate richiedendo con urgenza ricovero in struttura sanitaria attrezzata (Hub)». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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