di Antonio Viscomi*
Essere curati è un diritto fondamentale di cittadinanza che deve essere assicurato a tutti in modo eguale e non può certo dipendere da dove hai la fortuna o la sfortuna di vivere. Oggi ce ne stiamo tutti rendendo terribilmente conto. E la prova è data proprio dalla vicenda della residenza Domus Aurea di Chiaravalle, in provincia di Catanzaro, divenuta ormai oggetto di indagine giudiziaria.
Una bomba epidemiologica per gli ospiti, per i lavoratori, per il territorio, già costata un prezzo troppo alto in vite umane spezzate. In questi giorni, pur non avendo alcune competenza formale per poter intervenire dal punto di vista delle decisioni organizzative, ho avuto una interlocuzione ampia, e talvolta anche tesa, con i protagonisti, in modo diretto ed indiretto, in questa vicenda – dal Prefetto Ferrandino al Rettore dell’Università, dalla dott.ssa De Filippo al Prefetto Latella, al sindaco Donato, al consigliere regionale Notarangelo, agli amici ed alle amiche del Partito Democratico di Chiaravalle – tenendo sempre fermo come criterio di azione quello di cercare di dare una mano, possibilmente senza clamore. D’altronde mi pare che una soluzione sia stia finalmente delineando: svuotare la residenza e trasferire tutti gli ospiti con un impegno significativo e immediato delle strutture e delle risorse del Policlinico Universitario. A questo punto c’è solo da augurarsi che questa soluzione sia confermata e portata velocemente in esecuzione.
Detto questo, però, intervenire e interloquire con tutti i soggetti interessati sulla vicenda Domus Aurea mi ha confermato almeno un paio di cose che vorrei qui condividere. La prima e più importante è che in generale, ma soprattutto in emergenza, è necessario che ci sia un decisore di ultima istanza in grado di mettere insieme tutte le amministrazioni che hanno competenza in una determinata materia. E quando parlo di decisore di ultima istanza non intendo tanto una singola autorità sovraordinata alle altre, ma anche e più banalmente dei tavoli operativi sul modello delle conferenze di servizio o degli sportelli unici, capaci di assumere decisioni condivise e di portarle a compimento senza esitazione. E invece abbiamo letto di pazienti indirizzati in strutture e poi dirottate in altre, di rimpallo di competenze, di tentativi di massimizzare i propri interessi di bottega, in alcuni casi del più classico “scaricabarile”, di informazioni diverse e difficili da mettere insieme.
Il punto è che un tavolo decisionale di questo genere non può che essere creato dalla Regione e deve essere operativo a tempo pieno con la presenza di persone in grado di impegnare direttamente o indirettamente l’amministrazione che rappresentano. Si può discutere su quale sia la migliore decisione, ma una volta presa da tutti, questa decisione deve essere portata a compimento, tranne che fatti nuovi non impongano di modificarla. Fatti, sia chiaro, e fatti nuovi, cioè non conosciuti. Perché la logica dell’emergenza è proprio questa: fare presto ciò che è necessario e possibile. E ogni decisione deve essere comunicata con chiarezza, perché i cittadini hanno il diritto di sapere chi fa cosa, come, quando e perché. La comunicazione è parte della gestione dell’emergenza: per questo non servono gli spot, ma i fatti.
Task force, in fondo, significa proprio questo: unità di pronto intervento, capace di tradurre i più completi flussi informativi in azioni operative concrete. Se c’è urgentissimo bisogno dei tamponi a Chiaravalle, una unità di pronto intervento sa o dovrebbe sapere dove andare a reecuperarli in una qualsiasi delle aziende sanitarie od ospedaliere presente sul territorio regionale, e li indirizza dove l’emergenza impone. Il fatto è semplice: il virus non conosce i confini delle singole amministrazioni e la geografia delle loro competenze. Per questo è necessario un approccio che non ripeta le vecchie logiche delle burocrazie pubbliche.
Pronto intervento operativo, dunque, perché di fronte all’emergenza pandemica abbiano due strade: possiamo decidere di subirla, o possiamo decidere di gestirla al meglio, riducendo al minimo le possibilità di diffusione ma portando al massimo le possibilità di risposta del sistema sanitario. Per questo, abbiamo bisogno di meno approssimazione e di più organizzazione di sistema. Iniziando dalla verifica e dal controllo sistematico delle condizioni di salute in tutte le residenze che ospitino defedati e deboli. Per evitare che i casi come quello di Domus Aurea possano ripetersi ancora.
*deputato del Partito democratico
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