di Demetrio Naccari Carlizzi*
Le politiche di contenimento curano il sistema sanitario nella sua insufficienza a fronteggiare la pandemia ma non risolvono il problema della malattia né del pericolo nel Mezzogiorno. Infatti, all’apertura delle attività potremmo ritrovare un Sud ancora impreparato al rischio ripartenza del Virus, più fragile economicamente e socialmente e con lo Stato con meno risorse per intervenire. Invece di abbaiare alla luna e pensare ad affermazioni ad effetto, serve quindi un piano sanitario ed economico immediato che moduli interventi diversi tra le aree del Paese a seconda delle differenze, sociali, infrastrutturali e di contagio.
Nella prima fase che ormai sta terminando, il lockdown del Paese è riuscito a rendere le politiche di distanziamento efficaci per bloccare l’avanzamento dei contagi. Quella che funziona è una cura per il Sistema Sanitario che era ed è ancora impreparato a fronteggiare i numeri di una Pandemia. Il problema permane per la malattia che non è certamente scomparsa con il crollo dei contagi, ma rimarrà pericolosamente in circolo a minare il nostro sistema di convivenza se le autorità nazionali e regionali non predisporranno misure adeguate alla nuova fase.
I tempi per un vaccino, infatti, al di là dei desiderata di tutto il mondo, non sono per nulla brevissimi, per le necessarie procedure di sicurezza senza le quali avrebbero ragione ex post i no-vax con le loro bislacche teorie ascientifiche.
La seconda fase della lotta al Covid-19 rischia di non essere una galoppata verso l’azzeramento dei contagi, ma, come nel caso di diverse Paesi asiatici (Hong Kong, Singapore, Corea del Sud, Taiwan), un periodo a rischio per il cosiddetto contagio di ritorno alla riapertura delle attività con la probabilità di dovere riattivare misure restrittive.
Secondo autorevoli studi e simulazioni, a fronte della diffusione differenziata geotemporalmente nel mondo e in Europa ci troveremo a fronteggiare un periodo di due anni dove le misure potranno essere alternate e riattivate al ripresentarsi della crescita dei contagi.
La necessità per un Paese duale come l’Italia è quella di sapere modulare le misure anche territorialmente e di coordinare in maniera seria e responsabile la risposta organizzativa, visto che le competenze sanitarie sono attribuite in una governance multilivello (Stato, Regioni e persino Comuni).
D’altra parte a Milano, a Bergamo, a Torino sono quasi pronti nuovi ospedali Covid non solo per fare fronte alle esigenze immediate ma anche a quelle di medio periodo.
È chiaro allora il rischio per il Mezzogiorno alla riapertura delle attività. Infatti, in questa porzione del Paese i contagi sinora sono soltanto il 7,5% del totale dei positivi dall’inizio dell’epidemia.
Fonte: Dati Sole24ore del 31.03.2020
Il lockdown ha, grazie soprattutto a Dio e alle scarse relazioni di mobilità, preservato il Sud dal contagio ma lo ha mantenuto in una bolla di pericolo per il numero bassissimo di persone immunizzate. Alla riapertura delle attività i nuovi contagi potrebbero fare ripartire una diffusione esponenziale del virus su un territorio ancora fragilissimo come infrastrutture sanitarie, dove non si è sviluppata alcuna immunità di gregge.
Nel frattempo il Mezzogiorno sta pagando un prezzo altissimo sociale ed economico, dovuto al blocco delle attività economiche ufficiali e a quelle della economia non osservata che come è noto ha un peso rilevante e cui si aggiungono gli allarmi per lo spazio che l’economia criminale potrebbe guadagnare. Come ha sapientemente scritto Isaia Sales, in un articolo su Il Mattino di Napoli del 19 marzo, nell’attuale congiuntura l’economia sommersa nel Mezzogiorno è un’autentica bomba sociale non intercettata dalle misure dei governi e da non confondere con il problema dell’economia criminale.
A fronte di tale prezzo economico, non risulta speso bene il tempo concesso da tale sacrificio per consentire un potenziamento adeguato delle infrastrutture sanitarie del Mezzogiorno né un focus del livello nazionale, che nel Mezzogiorno come in Calabria ha la responsabilità da 10 anni della mancata programmazione, riqualificazione e inadeguata gestione della sanità regionale. Il tutto segnato dalla beffa dei servizi dei media che partendo da uno stereotipo ormai comodo imputano al livello locale ogni responsabilità, mettendo nello stesso calderone errori degli anni ’70 con insufficienze attualissime.
Nei prossimi mesi purtroppo rischiamo ancora problemi di approvvigionamento di materiali ed apparecchiature medicali vista la diffusione mondiale del contagio.
La strategia del Servizio Sanitario Nazionale quale sarà? Decidere di intervenire con misure diverse per le varie aree del Paese o continuare soltanto ad affidarsi alla benevolenza trascendente?
Autorità regionali e nazionali (nelle diverse declinazioni della Salute e degli Interni delle ASP e della Protezione Civile) dovrebbero scegliere lo schema di intervento per creare un’organizzazione territoriale minima e anti Covid-19 ad oggi assolutamente inadeguata o inesistente per potere intervenire selettivamente, facendo tesoro delle esperienze fatte sul campo dalle Regioni che hanno già fronteggiato un numero elevato di contagi. Decidere per esempio come scremare con i tamponi i nuovi casi e la loro potenziale moltiplicazione, adottare misure di apertura totale per i soggetti immunizzati (e verificati con gli esami del sangue appena disponibili), scegliere gli strumenti digitali per tracciare (non solo i Regimi non democratici ma anche la Germania li utilizzano) ed autorizzare (persino l’Albania lo fa) gli spostamenti, mappare i servizi sensibili e i settori produttivi da riaprire e predisporre una pianificazione dei rischi per intervenire preventivamente ed essere pronti nella risposta.
L’alternativa non esiste, perché sarebbe quella di un Mezzogiorno, con la Calabria in prima linea, vittima della assenza dei servizi sanitari territoriali, poveri di uomini, mezzi e di un modello per fronteggiare il Covid-19. Non ce la potremo prendere più con l’Ing. Pallaria. In assenza del capro espiatorio, tanto caro nel processo di rimozione dei problemi, dovremo fare i conti con ciò che ognuno, nei rispettivi ruoli avrà fatto. Senza distinguere colori, poteri, interessi prevalenti e di missione e fini che hanno determinato la diversificata governance del sistema sanitario ed invocare tale diversità come scusa per non collaborare o non rispondere dei risultati.
Allo stato in Calabria il cambio di strategia in corso d’opera della Presidente Santelli, che ha deciso di concentrare l’attenzione sugli Hub Ospedalieri vista la drammatica situazione delle Asp, è solo una mossa obbligata dalla rapidità degli eventi.
In attesa di una riforma del sistema è bene mutuare alcune delle scelte delle Regioni Emilia e Veneto che più di tutte hanno realizzato, pur nella emergenza, schemi di servizio efficaci per contrastare e contenere la diffusione del virus. La differente capacità organizzativa con la Calabria andrebbe colmata attraverso una precisa valutazione e pianificazione, anche applicando quei modelli proposti dalle suddette Regioni ma cucendoli sulla nostra realtà attraverso percorsi di change management.
Appare chiara, dunque, la necessità di creare un servizio straordinario ANTI COVID19 che si avvalga di una task Force operativa composta da medici, esperti di Igiene e Sanità pubblica, Infettivologi, esperti di Organizzazione dei servizi sanitari e sociali ed informatici. L’obiettivo di individuare soluzioni, anche con il digitale, per la mappatura territoriale dei contagi con la tracciabilità dei contatti (contact tracing), la creazione di reti a sostegno dell’assistenza domiciliare anche in telemedicina, per il monitoraggio e la gestione del rischio e la sorveglianza sanitaria.
È ineludibile l’allestimento rapido di un programma per organizzare, potenziare e testare una rete territoriale di emergenza per reggere in sicurezza le fasi che ci attendono e svolgere le funzioni di controllo e selezione che possono impedire nuove chiusure orizzontali economicamente insostenibili.
L’alternativa a questa o altre decisioni può essere fatale senza nemmeno immaginare un possibile ricovero negli ospedali Covid che a tempo di record a Milano, a Bergamo come a Torino sono sorti, con imponenti donazioni private e forniture pubbliche.
Se il Mezzogiorno non riqualificherà rapidamente i suoi sistemi regionali il sistema nazionale non troverà una sostenibilità nel medio periodo e neanche la deprecata e costosa Mobilità Sanitaria si presenterà come una soluzione ai tempi della Pandemia. Il risultato sarà pesante in termini di vite e di tenuta economica.
*Management of Health Care Organizations-UCM
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