di Romano Pitaro
CATANZARO Tutti “dentro” al tempo del coronavirus e, dopo quindici giorni, già gonfi d’impazienza e facili all’ira che i più frenano appellandosi al senso del dovere. Se è dura “stare dentro” a breve termine che, tutto sommato, implica limitazioni non urtanti, immaginate come deve essere trascorrere anni ed anni in una cella. Perciò, l’appello dei detenuti a non uscire di casa in queste giornate per fermare la spirale infettiva, suona tutt’altro che retorico. Se addirittura viene da lì dentro vuol dire che, insomma, possiamo farcela anche noi.
I DATI DI “ANTIGONE” Il carcere al tempo del coronavirus è una realtà ancora più difficile, specie dopo la protesta dei detenuti in una cinquantina di penitenziari italiani e la morte di 14 persone. Per “Antigone” i dati sono i seguenti: i posti attualmente disponibili meno di 48.000 e i detenuti 57.000. Secondo Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione che si interessa della tutela dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario: «Bisogna intervenire con urgenza per riportare il carcere ad una situazione di legalità e permettere di difendere la popolazione detenuta e gli operatori dal diffondersi del contagio. Bisogna farlo urgentemente ancor più ora, dopo che un detenuto è morto per il Covid-19 e che circa 120 poliziotti penitenziari sono risultati positivi al coronavirus, senza contare medici, infermieri e ovviamente detenuti. Il carcere non può diventare un focolaio».
IL PENITENZIARIO Non meno complessa è la situazione nell’istituto penitenziario Ugo Caridi di Catanzaro, dove ci sono più di 700 reclusi e dove sono stati trasferiti una ventina di detenuti coinvolti nelle recenti proteste. La direttrice del carcere, Angela Paravati, è consapevole della complessità provocata dal Covid-19, a causa del quale le attività di formazione all’insegna dell’articolo 27 della Costituzione, come le scuole, il Laboratorio di scrittura e lettura o il lavoro di gruppo nel Laboratorio di pasticceria che piace molto al maestro pasticcere di fama internazionale Luca Montersino, sono stati sospesi. «L’agente patogeno nel carcere – dice la direttrice – è doppiamente insidioso, perché il rispetto rigoroso delle precauzioni necessarie preclude i colloqui fra detenuti e mondo esterno con tutti i disagi che ne derivano. E in più, specie in un carcere come il nostro in cui si fanno molte iniziative, azzera gli spazi di socializzazione». Per stemperare la tensione, la direttrice, in questi giorni, ha coinvolto i detenuti nella realizzazione (nell’apposito laboratorio di cucito e nelle sale hobby dei vari reparti) di singolari pupazzi di stoffa con tanto di mascherina anti Covid-19 e di striscioni variopinti (alcuni visibili dall’esterno del carcere) con slogan che invitano a restare a casa ed all’insegna dell’ottimismo: “Andrà tutto bene”; ed altri, segnati dall’ironia e da giochi di parole, tipo: “Un grido dal carcere: arrestate il coronavirus” e “Voi come noi tutti ‘dentro’ e tutto andrà bene”. (redazione@corrierecal.it)
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