di Francesco Donnici
LAMEZIA TERME Negli ultimi anni i linguaggi e la comunicazione politica sono radicalmente mutati, complice anche l’ascesa dei social a discapito dei mezzi tradizionali. Da qui l’assunto, secondo molti, rispondente ad una inversione prospettica: non sono più le persone che seguono la politica, ma l’esatto contrario. In principio erano solo i “populisti”, poi sono arrivati i “sovranisti” e infine tutti si sono adeguati ad una comunicazione sempre meno intermediata e istituzionale. Il Partito Democratico, in tal senso, è stato “duro a morire”, ma nel frattempo ha pagato le conseguenze della “caduta” del renzismo. I molteplici attacchi subiti, nel passare dal “partito delle banche” al “partito di Bibbiano”, hanno portato a profonde riflessioni interne.
Il mutamento della linea comunicativa del PD è legato al rinnovo del team di comunicazione di cui, dalla scorsa estate, responsabile è Marco Furfaro. Un investimento che ha fatto registrare un incremento della copertura dei post (calcolata nei 28 giorni), in termini di pubblico raggiunto, da 1 a 10 milioni.
Ma nell’ultimo periodo non si può prescindere da un’analisi dell’impatto social(e) del così detto “male comune”. Il coronavirus ha stravolto i numeri e le interazioni tra la politica, l’informazione e il pubblico.
Ne abbiamo voluto discutere con Leonardo Cecchi, storico di formazione e rubricista de L’Espresso e HuffPost Italia, che dallo scorso dicembre fa parte del team di comunicazione del Partito Democratico in veste di “consulente strategico”.
Qual è esattamente il ruolo di un “consulente strategico”?
«Un consulente strategico dà opinioni e pareri riguardo le uscite che si hanno attraverso gli strumenti comunicativi del partito. Un tempo erano gli organi di stampa, oggi invece fanno fede i social: un post su Facebook o Twitter viene ormai ripreso come dichiarazione. In tal senso, diamo consigli al partito su come posizionarsi sugli argomenti più in voga nel dibattito».
Anche il Partito Democratico pare essersi “adeguato” ai nuovi schemi della comunicazione politica. A quali scelte è corrisposto l’incremento della copertura social in termini di “organic reach” e interazioni?
«È un risultato ottenuto grazie ad un cambio di strategia adottato come partito. Prima la comunicazione era prettamente istituzionale mentre oggi puntiamo parecchio sull’empatia. Però non lo definirei adeguamento perché – a differenza d’altri – non scadiamo nel sensazionalismo dei linguaggi. Nostro obiettivo è instaurare un rapporto di fiducia col lettore o il “fan” che sceglie di condividere il contenuto perché gli piace, perché è una bella notizia o anche una denuncia delle attività di disinformazione perpetrate degli oppositori politici».
Quando parli di “denuncia” ti riferisci ad un’attività orientata al contrasto delle “fake news” o anche altro?
«Fin da quando si è insediato, il nuovo team di comunicazione ha lavorato per smontare con accuratezza qualsiasi “fake news”, sia quelle che riguardavano direttamente il partito che non, partendo dal caso di Bibbiano fino ad arrivare ai 35 euro al giorno dati ai migranti. Abbiamo cercato di differenziarci dai nostri avversari politici – soprattutto Lega e Fratelli d’Italia – evitando di rilanciare senza attaccare a nostra volta, ma sempre solo difendendoci».
Lega e FdI, da te citati, spesso aggrediscono i contenuti con una comunicazione più sensazionalistica che istituzionale. Hanno numeri molto elevati per via anche dell’impiego della “Bestia”, software in mano a Luca Morisi, capo della comunicazione di Salvini. In cosa vi sentite accomunati e in cosa, diversi?
«Non abbiamo nulla che ci accomuna al team di Salvini e alla “Bestia”. Noi facciamo una comunicazione che è empatica, ma anche istituzionale. Sentiamo molto la responsabilità verso il pubblico nel dare un’informazione corretta. Dall’altra parte tutto è molto meccanizzato come dimostrato durante l’ultima campagna elettorale per le regionali in Emilia Romagna e Calabria quando al post sulla morte di Kobe Bryant associarono l’hashtag #votaBorgonzoni. Come loro, facciamo ad esempio uso di cartelli o dirette social, seppure in maniera molto più sobria e moderata. Esempio: in questi giorni, per la primissima volta, abbiamo utilizzato la parola “Importante” in un post rivolto a smentire la cattiva interpretazione da parte della stampa delle misure previste dal Governo per le Partite Iva. Loro invece ne fanno un uso inflazionato».
Alcune inchieste hanno parlato di un massiccio utilizzo di “bot” – aumentato in questo periodo – che agiscono dietro a veri e propri eserciti di falsi account automatizzati. Inoltre, in relazione al “Vinci Salvini”, a Morisi venne contestato l’utilizzo di questo “concorso” al fine di profilare i dati dei partecipanti. Quando dici “più meccanizzato” ti riferisci a questo?
«Nella loro comunicazione c’è sicuramente una parte meccanizzata che noi non abbiamo e non vogliamo avere. Non so quali strumenti in effetti utilizzino, ma posso dire che da loro è tutto molto studiato e corrisponde ad una ricerca ossessiva del “sentiment”. Seguono i “trend” ed hanno strumenti atti a creare il maggior numero di interazioni possibile, a prescindere dalla qualità del contenuto. Noi siamo più naturali».
La comunicazione (non solo) politica risente dell’emergenza in atto. Il pubblico sente un crescente bisogno di buone notizie perché influenzato principalmente da sentimenti di incertezza e speranza. Voi, quali scelte comunicative state prendendo?
«La nostra scelta, in questo periodo, è di trasmettere, attraverso i nostri post, molta positività, ma anche molta informazione. Stiamo cercando di entrare pochissimo nel dibattito politico evitando di scadere nelle provocazioni che puntualmente arrivano. Facciamo un servizio alle persone decodificando il contenuto dei Dpcm e cerchiamo di evitare la disinformazione che in questi giorni si sta diffondendo più del solito. Raccontiamo le belle storie, soprattutto degli anziani, individuati come i più colpiti da questa epidemia. La gente ha bisogno di speranza».
Negli utlimi tempi si stanno moltiplicando le “fake news”, che spesso vengono rilanciate anche dalle forze politiche con una certa retorica “complottista”. Uno degli esempi recenti che più “fa scuola” è stato quello del servizio del “TG3 Leonardo” sul virus creato nei laboratori cinesi. Come si spiega?
«Credo che alla base di questo caso da te citato ci sia stata un’azione coordinata tra Salvini e Meloni perché sono usciti a distanza di pochissimo l’uno dall’altra. Un’azione che rispondeva essenzialmente a esigenze di “engagement”. Ma anche ad una necessità, da parte loro, di tornare al centro dell’attenzione perché è risaputo come puntino alla pancia di un certo elettorato. Ma gli esempi si sprecano. C’è stata la bufala dei fondi stanziati per l’emergenza dal Governo, che metteva a paragone quattro paesi facendo per loro riferimento al circuito generale dei capitali e per noi al solo investimento specifico. Ne risultava, ad esempio, un investimento di circa 400 miliardi da parte della Germania contro i 20 dell’Italia. Altra è la storia dei 7 euro a persona rispetto ai 400 milioni destinati ai Comuni, tra l’altro rilanciata e aggravata anche dal Tg2. Loro cercano solo l’“engagement”. Bisogna fare un minuzioso lavoro, caso per caso, per smontare queste false verità».
Alle recenti elezioni regionali, il Partito Democratico si presentava in maniera un po’ frastagliata e controversa. Quale strategia comunicativa avete utilizzato?
«Anche in questo caso, elemento principale è stato l’empatia. Ad esempio abbiamo pubblicato storie e foto degli elettori più anziani che sostenevano Pippo Callipo, figura molto apprezzata proprio in termini empatici. Non ci siamo abbassati al livello degli avversari altrimenti, ad esempio, avremmo potuto rilanciare il tema di Jole Santelli, candidata di centrodestra, residente a Roma e non in Calabria».
Tuttavia, sia dalle regionali in Emilia Romagna sia in quelle in Calabria, sembrava come se il Partito Democratico, in quanto tale, fosse scomparso. Tant’è vero che il tema principale dell’opposizione politica è stato: “Ricordatevi che loro (Bonaccini e Callipo) sono i candidati del Pd”…
«Di certo parliamo di due realtà diverse. In Emilia Romagna, Stefano Bonaccini era proprio del PD. Callipo invece era il candidato di coalizione. Inoltre, in questi casi, bisogna tenere conto della comunicazione a livello locale, dei circoli e dei vari candidati, quindi avere rispetto delle intere coalizioni in gioco. Ricordo di aver scritto io stesso un post sulla storia di Callipo, che fu molto apprezzato. Bonaccini sui social tirava di più, ma credo per ragioni storiche e perché poteva contare su un pubblico fidelizzato nel tempo. Su Callipo ci sono arrivati invece molti feedback da fuori regione, da molte persone che si dicevano felici che un imprenditore con la sua storia ci potesse rappresentare in Calabria».
In Emilia la lotta è stata serrata. In Calabria, invece, secondo molti l’esito era scontato per via dei recenti trascorsi del PD locale e del “trend” dell’elettorato calabrese che ad ogni elezione alterna il colore politico del proprio Governo. Avete notato cambiamenti tra il prima e il dopo le elezioni?
«Sulla storia politica del PD in Calabria non posso esprimermi. Sono state fatte delle scelte politiche e per quanto posso dire personalmente, continuo a ritenere che non ci fosse scelta migliore di Callipo. Dopo le ultime elezioni, sui social del Partito Democratico, abbiamo notato una crescita di interazioni da parte del pubblico calabrese rispetto a quello di molte altre regioni. Non una crescita anomala, certo, ma il pubblico calabrese sta decisamente aumentando. Gli ultimi dati, risalenti a un mesetto fa, ci parlano di una crescita soprattutto nelle grandi città come Reggio Calabria o Crotone. Può essere d’auspicio per le prossime amministrative».
Può esserlo?
«Vediamo intanto quando ci saranno». (redazione@corrierecal.it)
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