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Marco Negri, a "light blue" story

di Fabio Benincasa «Aldo Spinelli ha il difetto di innamorarsi calcisticamente dei suoi giocatori e gli capitava spesso di acquistare doppioni». Luciano Moggi parlava così, nel suo libro, del vul…

Pubblicato il: 09/04/2020 – 20:08
Marco Negri, a "light blue" story
di Fabio Benincasa
«
Aldo Spinelli ha il difetto di innamorarsi calcisticamente dei suoi giocatori e gli capitava spesso di acquistare doppioni». Luciano Moggi parlava così, nel suo libro, del vulcanico patron del Livorno, troppo morbido con i calciatori che riuscivano a conquistarlo (non è che ci volesse molto) e (fin troppo) duro con chi invece proprio non gli andava giù. Ma innamorarsi calcisticamente è un sacrosanto diritto, quasi un dovere. Come condannare Spinelli. Talentuosi, mascalzoni, esagerati, sono questi i calciatori che fanno perdere la testa, capaci di giocate di classe, ma che puntualmente si “assentano” salvo poi trovare la forza per risollevarsi, ancora una volta. Una vita ed una carriera vissuta facendo su e giù come il Nasdaq, fino a raggiungere la maturità quando ormai è troppo tardi, quando la carta d’identità ed il fisico ti dicono che è tempo di appendere gli scarpini al chiodo. Qualche volta però non sei tu a scegliere, ma è il destino che decide di chiuderti le porte in faccia, fregandosene del talento, dei gol, della fama e dei sogni. Lo sa bene Marco Negri, attaccante simbolo degli anni 90′. Uno spietato killer davanti la porta, che correva poco e segnava gol a grappoli. Introverso e allergico alla mix zone perché «un calciatore deve far parlare solo il campo», confessa in una lunga intervista concessa (guarda l’intervista).
Ma come, non era allergico a telecamere e microfoni? La risposta è si, ma oggi Marco è un uomo di 50 anni, preparatore degli attaccanti, che vive di calcio e dell’amore della sua famiglia. Oggi, Negri scherza su Instagram con le sue virali stories sui “giochi da quarantena”. Buffe pillole video per intrattenere il figlio 15enne ed i fan che continuano ad amarlo incondizionatamente. Sembra aver dimenticato quando era ad un passo dalla convocazione per il mondiale in Francia, nel 98′, quando l’allora Ct Cesare Maldini stravedeva per quel ragazzone con i capelli lunghi. «Il commissario tecnico era rimasto impressionato dal mio campionato – racconta Marco – giocavo ai Rangers e segnavo tantissimo. Poi una partita a squash ha rovinato tutto «stavo giocando con Porrini, la pallina è finita dritta come un proiettile sul mio occhio causandomi il distacco parziale della retina e costringendomi a due mesi di stop forzato». Quell’episodio ha cambiato la storia, quella maledetta pallina ha trasformato Negri in un giocatore “normale”. «Ci ripenso, come potrei non farlo. E’ uno di quei momenti che ti porterai dietro fino alla morte. Prima di quel 5 gennaio ero capocannoniere in Scozia, ad un passo dai Mondiali e sicuro vincitore della Scarpa d’oro. Poi nulla è stato come prima. Non ho più sentito Porrini».
La Scozia ha regalato tante gioie a Marco. La possibilità di giocare con due fenomeni come Gascoigne e Laudrup. Gemelli diversi, talenti puri ma completamente agli antipodi. Cosa li teneva insieme? «Semplice – risponde Marco – il calcio. Gazza era un genio, folle per alcuni aspetti ma con un cuore d’oro. E’ stato il centrocampista più forte con cui abbia mai giocato. Laudrup era pura classe, a fine gara la sua maglia profumava, non sudava mai». In quella squadra giocava anche un giovanissimo Gattuso «le sue squadre scendono in campo con la stessa grinta con cui lui affrontava le partite».
Prima dei campionati in Scozia, Marco ha vissuto alcune stagioni da protagonista in Italia. A Cosenza, ancora oggi, lo adorano. Sarà perché erano anni d’oro con Marulla e De Rosa in campo, sarà perché il club riusciva spesso a lanciare calciatori ed allenatori sconosciuti raggiungendo ottimi risultati. Marco fu pagato molto, arrivò al San Vito con la fama di goleador e si candidava a diventare simbolo della squadra. Ma le star stonano in una squadra operaia ed il primo anno nella città dei bruzi fu un autentico flop. «Ero giovanissimo, a Cosenza c’era un gruppo unito. Quando arrivi devi essere bravo ad entrare in sintonia con i tuoi compagni». Il primo impatto fu devastante e Marco non riuscì a ritagliarsi un ruolo da protagonista nonostante la stima e l’affetto di un altro grande bomber, Gigi Marulla «oggi giocherebbe nelle prime quattro squadre di Serie A». Dopo la parentesi (lunga un anno) a Bologna, Negri ritorna a Cosenza convinto di esser solo di passaggio. Ed invece, sulla panchina rossoblù siede un giovane Zaccheroni che vede in lui l’attaccante perfetto per il suo calcio offensivo. Da quella stagione (94/95), Negri andrà sempre in doppia cifra.
E pensare che ad inizio carriera veniva schierato sulla fascia. «Giocavo ala destra nell’Udinese. Feci il mio esordio con Nedo Sonetti. Poi, dopo un prestito in C, tornai ad Udine e mister Adriano Buffoni capì che amavo attaccare e non difendere. Grazie a lui ho iniziato a giocare da punta, davanti a me avevo un mito: Abel Balbo».
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