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«Dopo il Covid non saremo più gli stessi»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 14/04/2020 – 12:37
«Dopo il Covid non saremo più gli stessi»

Abbiamo per vicino di casa un coronavirus che per sconfiggerlo occorre un vaccino. Prima del suo arrivo non rimane altro che fare catenaccio, il difendersi ad oltranza. Una tecnica impostata con una severa «marcatura a virus» che solo l’assistenza territoriale può fare da interdizione come i vecchi stopper d’epoca Bernardini. Dunque, ci tocca un percorso difensivo tosto che dovrà durare almeno sino alla fine dell’anno, nel quale la prevenzione dovrà esercitare il ruolo di regina per evitare ulteriori contagi e le unità speciali di continuità assistenziale (le Usca) che dovranno porsi come rimedio alla spedalizzazione degli infetti. Due elementi di fondo che tuttavia, rispettivamente, non brillano per efficienza, ovunque sino ad essere inesistente nel sud, e per tempestiva istituzione e messa a regime.
Non saremo più quelli di prima
Prescindendo da tutto questo, indispensabile però per assicurare le giuste tutele organizzative, il Covid-19 ha determinato e determinerà un chiaro cambiamento delle abitudini quo ante, diverse per territorio, per età, per i diversi ceti impegnati nel Paese che produce e per classi di consumo. Finanche i giovani cominciano a trovare insopportabile lo stravolgimento della scuola sospesa, tanto da sognare la sua ripresa in considerazione dei divieti di libera uscita che, in altri tempi, avrebbero fatto sognare. Sono in tanti a patire la lontananza dei nonni e di questi ultimi dei nipoti. Molti a soffrire quella dei familiari ammalati gravi, sottratti agli affetti comuni perché costretti in un letto di terapia intensiva, semi intensiva ovvero di malattia infettiva. Diversissimi i cittadini a patire persino l’impossibilità di assicurare ai propri cari un degno funerale, dei quali hanno dovuto sopportare finanche l’esproprio dei loro corpi senza vita, cui non garantire l’abituale rito della sepoltura.
In una Nazione siffatta, costretta a sopportare la quotidiana violazione dei suoi canoni di convivenza civile sino a vedersi violentare le tradizioni destinate a chi l’abbandona per sempre, è difficile persino comprendere una acritica accettazione delle regole comportamentali imposte a tutela comune. Eppure nella massima parte ci si riesce con non pochi sacrifici, consci della necessità di cambiare le regole e le abitudini di vita.
Dall’altra, c’è il Paese, intendendolo quale insieme delle componenti istituzionali che costituiscono la Repubblica, tutte tenute a garantire una rete sinergica di difesa al diffondersi della terribile epidemia. Quell’aggressione da coronavirus che ci ha visti (ahinoi!) detentori dell’atroce primato dei morti sino al recente sorpasso da parte dell’Usa.
Al riguardo, l’assenza che più si è avvertita riguardava l’organizzazione necessaria ad affrontare il nemico, per molti versi annunciato qualche mese prima della sua comparsa in Italia. Un ulteriore esempio della lentezza che caratterizza l’azione pubblica nostrana sia nei confronti della previsione dei temuti sconvolgenti pericoli, di quelli che mettono in crisi l’umanità, che nella ricerca delle soluzioni utili ad accelerare il ritorno alla normalità. Ma si sa questo è il male italico, responsabile della inadeguatezza nell’affrontare e risolvere tempestivamente i problemi che affliggono la nazione.
Domani un altro giorno ci sarà
Per ritornare al cambiamento che è oramai nei fatti. Una gran parte dei nostri riferimenti tradizionali vanno messi in discussione. Alcuni messi da parte. Altri da rivedere profondamente. Stessa cosa riguarderà le abitudini di vita e ciò che ne determina lo svolgimento, a partire dalle tutele che le sono necessarie.
In una tale ottica va rivista l’organizzazione comune, specie quella erogatrice del welfare assistenziale, che rintraccia il suo core business negli ambiti sociosanitario, socio-assistenziale e previdenziale non contributivo. In tal senso, nella parte che riguarda la tutela della salute quando essa è minacciata, costituisce un obiettivo primario far tornare gli ospedali, tutti, a regimi apprezzabili, recuperando in proposito tutto l’arretrato di insufficienza determinato dalla corsa non già limitata alla sostenibilità dei bilanci bensì alla generazione degli utili occorrenti al sostegno dell’aziendalismo pubblico. Sul tema della tutela della salute, occorrerà pertanto rintracciare risorse nuove per determinare il cambiamento nell’assistenza di vicinato, intendendo per tale il territorio vissuto dai cittadini, ove questi nascono, vivono e muoiono.
Gli horror da dimenticare e gli auspici
Le bare messe in fila nelle palestre, caricate anonimamente su camion militari, quali addendi di un calcolo dei morti scandito giornalmente nella disperazione di tutti devono restare un ricordo irripetibile, un incubo da dimenticare, una catastrofe da evitare ad ogni costo.
Ovviamente per fare tutto questo, non sarà sufficiente lavorare sulla leva dell’assistenza. Occorrerà andare oltre. La disciplina dell’intrattenimento, dell’integrazione, del lavoro, del tempo libero dovranno essere funzionali a che quanto accaduto oggi in Lombardia non accada più ovunque. Limiti non di libertà ma agli abusi comportamentali e ai soprusi del business cercansi.

*docente Unical

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