Il virus rallenta il quotidiano, sospende il futuro e ci costringe alla (in)utile consapevolezza che niente sarà più come prima. C’è da augurarsi che le politiche europee, dei governi centrale e regionale correggano il tiro, al momento, condizionato da un microrganismo che ha colto tutti impreparati.
In attesa che si compia il “miracolo”, che la curva si abbassi e si esca dal lockdown, noi andremo avanti non alla cieca, ma nell’unica direzione che ci sembra sensata in questo momento kafkiano: continueremo a informare i calabresi, senza tacere nulla, sulla distribuzione dei contagi e sulle eventuali allerte diramate dagli organi competenti (nessuno escluso).
Una precisazione doverosa. Pensare di dare una stretta all’informazione (come per le misure individuali anti contagio) con l’obbligo di utilizzare una fonte unica, impedendoci di ascoltare voci diverse dalle verità rese “ufficiali” da una delibera, non solo non è realistico ma è assai pericoloso.
I giornalisti rispondono ai direttori di testata; sono possibili sanzioni, ma dal Consiglio di disciplina dell’Ordine.
Cosa meritano i calabresi. A queste latitudini è circolato un virus senza corona che ha risparmiato una sanità da codice rosso costretta a mendicare tamponi e reagenti, mascherine e ventilatori polmonari per fronteggiare un’epidemia, a conti fatti, contenuta.
Passata l’emergenza e ricordati i calabresi che non ce l’hanno fatta – perché sulla sanità pubblica non si continui con le commemorazioni funebri in onore del “caro estinto” – è lecito aspettarsi un’inversione di rotta che richiederà la riorganizzazione dell’intero sistema ed il coraggio di decisioni che impediscano sprechi, speculazioni e business in un settore in cui le risorse dovranno servire da subito a garantire tout court la salute di tutti entro i confini regionali e perché il diritto a non emigrare (non solo per motivi di salute) è quello che meritano i calabresi e non solo a parole e sui social.
La ripresa. Siamo consapevoli che il ritorno alla (a)normalità sarà lento e ci sarà da fare i conti con un inevitabile cambiamento nelle abitudini e con l’onda lunghissima delle misure di contenimento del contagio necessarie, ma come ripartire? In Veneto, dove la situazione non è certo paragonabile a quella calabrese, si sta già avviando la ripresa e anche in Liguria si pensa nei limiti della ragionevolezza alla stagione estiva, a misure che permettano di effettuare lavori di manutenzione negli stabilimenti balneari per essere pronti nel momento in cui si potrà riaprire.
In Calabria, questa è l’impressione, si aspettano e si adottano solo le decisioni del Consiglio dei Ministri e non si pensa da soli a un progetto chiaro di ripartenza, a nuove forme di intervento, a come incentivare la domanda interna nonostante da noi il distanziamento sia decisamente possibile rispetto a una qualsiasi riviera romagnola, ma vale anche per le aree protette e per i tanti centri storici e musei.
Se la decisione di riaprire attività non essenziali spetta al Governo intanto, come dimostrano le altre regioni, basterebbe fare tesoro dell’esperienza di tutte quelle attività che fornendo servizi essenziali non si sono mai fermate, nemmeno durante le settimane più critiche dell’emergenza sanitaria.
Alla fine non è detto che l’emergenza non diventi un’opportunità di cambiamento vero per i calabresi, eterni migranti e miserabili straccioni.
Il virus, per dirla con Manzoni, è una falce «che pareggia tutte le erbe del prato», ora sta a noi (ri)crescere e farlo nel modo giusto.
paola.militano@corrierecal.it
x
x