di Francesco Donnici
LAMEZIA TERME «La situazione, nei 12 penitenziari della regione, ad oggi può dirsi tranquilla. Non ci sono state rappresaglie se non una “battitura” nel carcere di Cosenza durante le rivolte del mese scorso ed una protesta pacifica dei detenuti di Crotone. Non va però dimenticato che un contagio all’interno del carcere potrebbe diventare un moltiplicatore di drammatica gestione».
A parlare è Agostino Siviglia, garante regionale dei diritti dei detenuti. Con lui abbiamo cercato di ricostruire il quadro della situazione nei luoghi di privazione della libertà personale in questo periodo delicato dove torna a far parlare di sé un problema che può dirsi quasi “atavico” nelle carceri del nostro paese: il sovraffollamento.
I NUMERI DEL SOVRAFFOLLAMENTO Gli ultimi numeri ufficiali risalgono allo scorso 31 marzo 2020, quando i detenuti dislocati nei 12 penitenziari calabresi erano 2.832 a fronte di una capienza regolamentare di 2.734 posti. Una sproporzione che rispecchia la situazione del resto del paese.
Al 31 dicembre 2019, i detenuti in tutta Italia erano 60.769. Il numero è progressivamente aumentato dal 31 dicembre 2015, quando erano calati a 52.164, ed è il più alto dal 2013, quando al 31 dicembre erano 62.356. Secondo i dati diffusi dallo United Nations Office on Drugs and Crime, nel 2017 il “tasso di detenzione” in Italia era di 100,5 detenuti ogni 100 mila abitanti. Fatta eccezione per la Germania, quasi tutti i paesi europei hanno numeri superiori al nostro: in Francia 106 detenuti ogni 100 mila abitanti, nel Regno Unito 143 detenuti ogni 100mila abitanti, in Spagna 127 detenuti ogni 100 mila abitanti, in Polonia 195 detenuti ogni 100 mila abitanti.
Il problema è ancora più visibile in questo periodo di pandemia, dove cresce la paura all’interno delle carceri, dove le celle non consentono un distanziamento sociale tra i reclusi e in alcune strutture mancano degli spazi di isolamento dove poter alloggiare i casi sospetti. Tema da non sottovalutare, a maggior ragione se letto nella chiave delle diverse pronunce con le quali l’Italia è stata sanzionata a più riprese dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo che, tra le altre, nella sentenza “Torreggiani” dello scorso 8 gennaio 2013 ha sottolineato come «in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato».
«UN SISTEMA ANCORA TROPPO BUROCRATIZZATO» Per far fronte alle rivolte, il Governo è intervenuto introducendo, nel Decreto “Cura Italia”, gli articoli 123 e 124 che permettono ad alcuni detenuti, alla presenza di determinate condizioni, l’accesso a misure alternative alla detenzione. Allo scorso 8 aprile – come riportato dal Corriere della sera – le presenze nelle carceri italiane sono scese da 61.235 a 57.137 detenuti, ma i posti rimangono 47.482. La ratio è proprio quella di sfoltire la popolazione carceraria, ma pare non bastare. «Ad oggi posso dire – continua Siviglia – che il numero delle persone detenute che riesce poi ad accedere a misure alternative, almeno in Calabria, si può contare sulle dita di una mano». Le problematiche sono molteplici: «L’apparato burocratico è rimasto invariato e questo non aiuta in un contesto di emergenza dove agire immediatamente è fondamentale». Non per tutti i detenuti è altrettanto facile accedere alle istanze per la richiesta di misure alternative. La regola dice che possono accedervi coloro i quali abbiano – alla data di entrata in vigore del decreto – un residuo pena non superiore ai 18 mesi. Tuttavia, se il residuo pena è inferiore ai 18 mesi ma superiore ai 6 lo si subordina alla concessione del braccialetto elettronico «che tra l’altro non è di facile reperimento», rimarca Siviglia, che aggiunge: «Se rimane vincolata la valutazione sugli eventuali motivi ostativi all’esame del Magistrato di sorveglianza, tutto l’apparato burocratico normativo resta invariato e si congestiona ancor più il lavoro degli uffici giudiziari».
LE PREOCCUPAZIONI ALL’INTERNO DEI PENITENZIARI Lo scorso 21 marzo è stata diramata una circolare dell’amministrazione penitenziaria con la quale venivano invitati i direttori dei penitenziari di tutto il paese «a comunicare all’autorità giudiziaria, per eventuali determinazioni di competenza il nominativo del detenuto, suggerendo la scarcerazione che potrebbe avere almeno una delle nove patologie elencate dal Dap», oltre che le superano i 70 anni. Un provvedimento che guarda in maniera indiscriminata alla popolazione carceraria e che, secondo alcuni, solo per fare un esempio, potrebbe riguardare anche 74 boss oggi al 41 bis. In questa chiave, ha fatto molto discutere, nei giorni scorsi, la scarcerazione del boss di Melicucco, Santo Rocco Filippone (qui la notizia). La Corte d’Assise di Reggio Calabria ha accolto la sua istanza per l’accesso alla misura degli arresti domiciliari proprio per evitare il rischio di contagi all’interno del carcere. La deputata in quota Fratelli d’Italia e membro della Commissione antimafia, Wanda Ferro, ha così commentato: «Come temevamo, con l’articolo 123 del decreto 18, il governo ha dato il “tana libera tutti” a boss e criminali d’ogni grado» aggiungendo «anziché liberarsi facendo tornare a casa i boss, il governo dovrebbe impegnarsi a garantire l’adeguamento degli istituti penitenziari all’emergenza in corso» (qui le dichiarazioni).
C’è però da fare un distinguo ed osservare nel concreto la situazione all’interno dei penitenziari. Che le misure del governo non abbiamo dato un «tana libera tutti» lo testimoniano le parole dei detenuti del carcere di “media sicurezza” di Crotone, che scontano condanne per reati meno gravi rispetto, ad esempio, ad un eventuale 416-bis. Nella lettera inviata al Capo dello Stato ed altre Istituzioni ed autorità si legge: «La capienza della struttura è di 90 posti e siamo circa 146. Viviamo in due sezioni e una emergenziale. Nelle stanze di pernottamento invece di 5 siamo in 8 e in quelle da 2 siamo in 4». La missiva risale allo scorso 4 aprile, giorno in cui i detenuti di Crotone hanno iniziato uno sciopero della fame per portare l’attenzione delle istituzioni sul problema del sovraffollamento e per chiedere eventuali cautele all’interno dei penitenziari: «Ai nuovi entrati viene effettuata solo una rilevazione di temperatura. Loro chiedono che a tutte le persone che gravitano intorno al carcere, da fuori, venga fatto il tampone. Questo, le normative attualmente in vigore, non lo prevedono», ci spiega il garante comunale di Crotone, Federico Ferraro che già giorni fa rafforzava un appello alla cittadinanza: «Non c’è materiale sanitario ed igienizzante per i detenuti, per questo chiediamo alle persone ed alle associazioni che possano guardare al carcere e darci una mano».
Lo sciopero è durato 5 giorni giorni, fino a che otto donne crotonesi, raccogliendo l’appello, hanno cucito a mano e consegnato in carcere 150 mascherine lo scorso 16 aprile. «Un gesto importante – rimarca Ferraro – ma l’attenzione deve rimanere alta sulla problematica: per maggior tutela di tutti coloro che gravitano nel mondo carcere servono ancora guanti protettivi, gel igienizzante, amuchina».
CARENZA DI MEDICI, PSICOLOGI E PSICHIATRI La situazione nel resto del paese è precipitata dopo la decisione di sospendere le visite in carcere di familiari e prossimi congiunti, oltre che gran parte delle attività ricreative che esporrebbero al rischio di assembramenti. A maggior ragione, in queste condizioni, fondamentale dovrebbe essere l’apporto di psicologi e psichiatri. Apporto divenuto cruciale a seguito delle rivolte e contestuale smistamento di 150 detenuti da altri penitenziari (Napoli, Foggia e Rieti su tutti), nei 12 Istituti della regione.
Ma nelle carceri calabresi, come denunciato proprio da Agostino Siviglia, ci sono gravi carenze: «Ci sono penitenziari, come quello di Arghillà a Reggio Calabria, dove il personale lavora con un monte orario molto basso rispetto a quello previsto per più di 300 detenuti. Gli psicologi, ad esempio, hanno a disposizione solo 8 ore rispetto alle 36 che sarebbero normalmente previste». Risale allo scorso 7 aprile l’ultima missiva urgente inviata alla governatrice Santelli e al generale Saverio Cotticelli «ai fini di un reclutamento di personale infermieristico e completamento orario di specialistica psichiatrica e psicologica ad Arghillà». La risposta è arrivata proprio dal commissario “ad acta” della sanità calabrese che ha dato l’autorizzazione all’assunzione di 8 infermieri «non lasciando – rimarca Siviglia – più scuse all’Asp».
Una situazione complessa e delicata dunque, che richiede una comune presa di coscienza ed un’azione preventiva: «Dall’Ufficio nazionale non trapelano indiscrezioni positive per il prossimo futuro. – dice ancora Siviglia – Stiamo spingendo per interventi che possano alleggerire la popolazione carceraria. Non stiamo parlando di atti di amnistia e indulto perché non ci sono le condizioni politiche in questo momento. Non possiamo illudere le persone private della libertà personale. E sia chiaro: non stiamo parlando nemmeno di scarcerazioni, perché continuerebbero a scontare la loro pena in condizioni più consone alla salute loro e a quella di tutti noi». (redazione@corrierecal.it)
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