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Cosenza, il pronto soccorso non è più preso d'assalto. «Servono professionisti preparati»

«Giù gli accessi del 60% nel mese di marzo» dice il direttore Michele Mitaritonno. «Ma in Calabria, con i numeri che abbiamo non possiamo parlare di emergenza Coronavirus». Il nuovo ospedale? «Lo d…

Pubblicato il: 19/04/2020 – 11:41
Cosenza, il pronto soccorso non è più preso d'assalto. «Servono professionisti preparati»

di Michele Presta
COSENZA
Nella sala d’attesa del pronto soccorso di Cosenza la luce bianca dei neon illumina le cartelle cliniche messe in fila sulla scrivania. Scordatevi le immagini delle telecamere nascoste che riprendevano le barelle ammassate, infermieri divisi tra una dozzina di pazienti e le rimostranze di chi si lamentava del ritmo lento delle visite. Il Coronavirus ha svuotato le stanze dei codici verdi e gialli, arrivano solo le urgenze. Gli accessi nel solo mese di marzo, periodo clou della pandemia, sono ridotti drasticamente. «Posso dire che la flessione media nell’ultimo mese è stata circa del 62%. C’è stato il picco meno acuto in cui abbiamo raggiunto l’82%». Il dottore Michele Mitaritonno dirige l’Unità operativa complessa di medicina e chirurgia d’accettazione d’emergenza, quella che tutti conosciamo come pronto soccorso. «Sono numeri che per noi che facciamo interventi d’emergenza non sono una novità – ci spiega – sono stati praticamente azzerati gli accessi di comodo. La paura di essere infettati da Covid-19 è maggiore rispetto al farsi curare un banale mal di pancia con un clistere in ospedale». Ma se i dolori, poco preoccupanti, di fitte toraciche passano a casa con una dormita rigenerante, il Coronavirus provoca delle vittime indirette. «Non lo possiamo nascondere che le urla, le aggressioni, le lamentele, spesso provenivano da persone che avevano patologie lievi, oggi questo non succede ma è preoccupante che chi si reca in pronto soccorso spesso arriva sfinito – continua il direttore Mitaritonno -. Ho assistito un paziente con 1110 di glicemia, significa che il sangue ormai si era liofilizzato. Ma non c’è solo questo, abbiamo assistito un ragazzo di 40 anni con una peritonite acuta per aver tentato di curare autonomamente un appendicite».
FOCUS CORONAVIRUS  Sono due anni, tre mesi e ventuno giorni. Michele Mitaritonno tiene il conto da quanto tempo è in servizio a Cosenza perché ripete più volte: «Questa sanità non mi appartiene, ma qui ho la possibilità di lavorare e ho il dovere di farlo per il meglio». Con questo spirito insieme ad altri medici ha lavorato per allestire il percorso Covid-19 e adottato una serie di misure affinché i pazienti sospetti possano essere trattati nel migliore dei modi e con tutte le cautele del caso. Dalla tenda pre-triage, fino alle tac ed all’eventuale ricovero ospedaliero. «Tutto sommato siamo ben organizzati», ma guai a parlare di emergenza in Calabria. «Non possiamo definirla così in questa regione– spiega – e lo dico perché dal confronto diretto con i miei colleghi che prestano servizio in ospedali dove ho lavorato come Parma e Cremona. Ho testimonianza diretta di medici che hanno lavorato con la media di un morto ogni 20 minuti, altri come a Cremona, che nel solo pronto soccorso avevano l’80% di persone infette da Coronavirus. Proprio a Cremona l’ospedale ha le dimensioni uguali  a quelle di Cosenza, 655 posti letto, tutti erano occupati da pazienti infettati da Coronavirus». Ma rimanendo aggrappato alla sua professione, Mitaritonno aggiunge: «Oggi ci chiamano eroi, domani ritorneremo ad essere gli incapaci che non hanno offerto le migliori cure mediche. È la natura dell’uomo, è così. Ma mi auguro che i tanti colleghi che hanno davvero fronteggiato questa emergenza vengano assistiti in un percorso psicologico perché lo stress al quale sono sottoposti è qualcosa di inimmaginabile».
POLITICA (SANITARIA E NON) E RISORSE UMANE Le dichiarazioni si rincorrono, le strutture sono carenti, il personale è carente, la sanità calabrese commissariata da 10 anni e per mezzo secolo è stata gallina dalle uova d’oro con il fatturato più alto in regione, adesso si riscopre fragile e impotente più di quanto si credeva. «Ci sono unità mediche che soffrono una certa carenza, ma in generale se guardiamo il numero di persone dipendenti delle aziende sanitarie, non sono convinto molto delle carenze numeriche – spiega il direttore del pronto soccorso di Cosenza -. Guardiamo ad altri dati: sono stati fatti spazi, governatorati, aziende nelle aziende, in cui il personale è inserito e gestito in un modo che numeri alla mano può essere contestato. Ho lavorato 15 anni in Emilia- Romagna e le  inabilità lavorative trovate in questa azienda, non le ho mai viste. O i calabresi sono penalizzati geneticamente o non si può spiegare. In termini assoluti qualche carenza c’è ma proprio guardando i numeri qualche dubbio me lo sono posto». Non c’è stato mese dell’anno, prima dello scoppio della pandemia, che a Cosenza qualcuno non promuovesse iniziative per discutere della possibilità di costruire il nuovo ospedale. «Ben venga, si costruisca, lo si faccia anche come il più bello del mondo è una cosa di cui la città ha bisogno, io dico di lavorare in uno scantinato adattato a pronto soccorso. Un ospedale nuovo va riempito di contenuti, non di persone con una storia politica, questa emergenza ha messo in evidenza valori e disvalori a livello tecnico e umano – puntualizza il dottor Mitaritonno -. Se nel nuovo ospedale arriverà a lavorare gente che non ha mai letto una rivista scientifica negli ultimi 20 anni. La politica non vuole capire che deve investire sulle persone, non sul numero, ma sulla qualità. Questa è la verità, nell’emergenza lavorano professionisti che non hanno mai fatto emergenza, che non hanno fatto corsi di aggiornamento. Nessuno lo dice perché questa è una terra autoreferenziale e ma forse dovremmo smetterla di essere politicamente corretti». Oggi i cosentini guardano con distacco quel luogo spesso intasato e al centro di tante denunce e interrogazioni. Una struttura ereditata da scelte manageriali, politiche, strutturali. Alcune completamente sbagliate, altre sulle quali è stato corretto il tiro. «Il principale strumento per preservare il personale sanitario in pronto soccorso è il lavandino – conclude Mitaritonno -. Non li avevamo fino a 3 anni fa. Prima che tutto ritorni normale e che le persone continuino a prendersela con i medici, magari sarebbe corretto chiedersi, quelle autorizzazioni da chi sono state fornite?». (m.presta@corrierecal.it)

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