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«Fateci tornare a casa», storie di calabresi emigrati

Si moltiplicano gli appelli dei tanti che hanno resistito alla tentazione di rientrare all’inizio del lockdown. «Siamo precari, costretti a pagare affitti troppo cari e bloccati dalla burocrazia». …

Pubblicato il: 20/04/2020 – 10:57
«Fateci tornare a casa», storie di calabresi emigrati

CATANZARO Lontani dalla loro terra d’origine, senza lavoro o con le università chiuse per il lockdown e soprattutto senza più la possibilità di mantenersi. È la disperazione di tanti calabresi al Nord, lavoratori ma anche studenti universitari, che in queste ore stanno inondando il web e le redazioni dei giornali di accorati appelli affinché le istituzioni, soprattutto la Regione, si attivino per farli tornare a casa, ovviamente «con le dovute e necessarie precauzioni».
È quasi una seconda Calabria che chiede un segnale di attenzione ma anche un segnale di riconoscenza perché si tratta di corregionali che hanno avuto la forza di resistere alla tentazione di prendere treni, aerei e macchine quel fatidico 5 marzo che vide il controesodo di massa dal Nord in Calabria, un controesodo che – denunciò in quei giorni più di un tecnico della Regione – avrebbe agevolato la diffusione del contagio anche in Calabria. Hanno “resistito” alla tentazione, ma adesso non ce la fanno più, perché non hanno più i soldi per pagare affitti costosi e spese comunque gravose. E le loro storie si stanno moltiplicando sul web, un tam tam inarrestabile. È la storia di Maria Laura Spizzirri, studentessa fuori sede a Milano: «A differenza di altri – dice la ragazza – abbiamo compreso fin da subito l’eventuale difficoltà che il sistema sanitario calabrese avrebbe riscontrato nel caso in cui l’epidemia si fosse manifestata nello stesso modo in cui è successo al Nord. Siamo stati visti come ‘eroi’, ma come in ogni favola che si rispetti le azioni dell’’eroe’ vengono elogiate e dimenticate. Ci sentiamo dimenticati dallo Stato poiché pensa a tutti fuorché alla situazione economica, sociale e psicologica dei propri studenti/lavoratori in un contesto non normale e da una Regione che pur sollecitata più volte si rifiuta di rispondere e di tendere una mano a quei ragazzi e a quei genitori che la mano alla propria terra non l’hanno mai negata». Claudia Greco, 28 anni, lavora come insegnante part time senza fissa retribuzione e con un compagno musicista quindi «precario, come tutti i lavoratori dello spettacolo, e con un blocco totale a livello lavorativo da quando è iniziato il lockdown»: i due – scrive Claudia – vivono «chiusi in un monolocale di 40 mq scarsi da 54 giorni, con un ‘letto’ soppalcato, cioè un materasso a terra ed una cucina ad induzione da campeggio per la modica cifra di 900 euro al mese».
Claudia ha scritto al presidente della Regione, Jole Santelli, chiedendole di «dare la possibilità di rientrare a tutte le persone che vivono in queste condizioni, a tutti quei fuorisede che hanno perso il lavoro, a tutti gli studenti e lavoratori precari che hanno famiglie che non riescono più a far fronte alle spese di sostentamento e di affitto, a tutti i ragazzi che sono chiusi in topaie e stanze di 20 mq soli e lontani da ogni affetto. La quarantena non è uguale per tutti e ha effetti devastanti su ognuno di noi, soprattutto le persone più fragili, a livello psicologico e sociale». E poi Mirko Spanò, 31enne di Cetraro, che fa l’autista a Milano: ha provato più volte a prendere un treno, ma è sempre stato bloccato da quella che definisce «la fredda burocrazia». Il 5 marzo, racconta Mirko, «non siamo scesi per salvaguardare chi ci sta intorno, per senso di responsabilità, ma di noi chi se ne occupa? In tanti sono rimasti mentre i loro compagni di stanza sono andati via e adesso su di loro pesa ancora di più una fragilità psicologica. Io non voglio violare nessuna norma, ma ci hanno abbandonati. Ci appelliamo alla governatrice Jole Santelli. E speriamo che ci ascoltino a livello nazionale».
Anche alcuni genitori si sono mobilitati, come Betty De Paola, dipendente regionale con due figli a Bologna, uno dei quali «spesso di salute cagionevole»: la donna ha chiesto a Santelli «di non dimenticarsi dei nostri figli, di queste persone che rispettano le norme e di non disporre la chiusura per il rientro di questi ragazzi ma anzi di disporre una corsia preferenziale, con tutte le opportune tutele che la situazione generale richiede, per il rientro presso la loro sede di residenza».
Come Laura, Claudia e Mirko, poi, ci sono anti altri calabresi, che inoltre si sono aggrappati alla petizione on line al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, lanciata da docente cosentino, e genitore di ragazzi al Nord, Antonio Iaconianni. Nella petizione, che reca il titolo “Il diritto di tornare a casa propria” e che in poche ore ha superato le 1000 adesioni, si chiede che «vengano disposte misure urgenti ed indifferibili per consentire il rientro immediato a casa di tutti gli studenti e di tutti i lavoratori, realizzando dei corridoi di sicurezza, con tutte le misure che le attuali norme prevedono, a salvaguardia della tutela di tutti. La richiesta ha carattere di urgenza ed indifferibilità in quanto la tenuta psicologia di questi ragazzi inizia a dare segnali di preoccupazione anche a causa di vere emergenze economiche». E anche esponenti politici si sono in queste ore mobilitati a chiedere al presidente della Regione, Santelli, di farsi carico di questi appelli: dal gruppo regionale del Pd guidato da Mimmo Bevacqua, che hanno proposto «treni dedicati ai calabresi al Nord e la loro quarantena obbligatoria», al senatore di Italia Viva Ernesto Magorno, a Rifondazione comunista per arrivare al leader del movimento “Diritti Civili”, Franco Corbelli. (AGI)

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