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20.20 | Alboresi: «Ecco come sono guarita dal coronavirus» – VIDEO

La consigliera comunale di Corigliano Rossano ospite della puntata del talk: «I calabresi hanno diritto a una sanità di eccellenza come in Emilia Romagna». L’esperienza a Rogliano: «Funzionava solo…

Pubblicato il: 25/04/2020 – 12:53
20.20 | Alboresi: «Ecco come sono guarita dal coronavirus» – VIDEO

LAMEZIA TERME «È come cadere in un tunnel che diventa sempre più stretto e del quale non si vede la fine. Per quanto riguarda la mia esperienza, che fortunatamente posso raccontare, col senno di poi devo ritenermi molto fortunata, dal punto di vista emotivo e psicologico è stato come cadere in un abisso nel peggiore dei miei incubi». Così Alessia Alboresi, consigliere comunale di Corigliano-Rossano, ospite ieri sera della trasmissione “20.20”, condotta da Danilo Monteleone e Ugo Floro, in onda alle 21 su L’Altro Corriere Tv (canale 211) e in streaming sul Corriere della Calabria e laltrocorriere.it, ha raccontato il lungo percorso intrapreso sulla via della guarigione dal Covid-19.

AMMALARSI IN CALABRIA Ammalarsi di Sars-Cov-2 non è uguale a tutte le latitudini, in Italia. Oltre all’emergenza coronavirus, in Calabria scontiamo decenni di emergenza sanitaria mai terminata. Medici e infermieri in prima linea, che nella stragrande maggioranza dei casi sono preparati e motivati, mandati a combattere con gli stivali di cartone, in presidi ospedalieri che sempre più spesso ricordano, quanto a igiene e dotazione, le trincee del 15-18.
Anche per Alboresi la guarigione ha il sapore agrodolce di chi sa distinguere l’aspetto umano da quello delle infrastrutture. La consigliera comunale è stata curata e guarita in Calabria, e questo è un fatto. Che il livello qualitativo di certi nostri ospedali non sia degno di un paese europeo lo sappiamo tutti, ma sentirlo raccontare dalla viva voce di chi ci è passata in un momento così drammatico per la vita della Calabria, dell’Italia e del mondo intero, fa tutto un altro effetto. Il morale alto fa bene alla salute, ma è difficile tirarsi sù in certe stanze di ospedale: «Nel mio caso è stato questo l’aspetto molto difficile da gestire perché fortunatamente dopo i primi quattro giorni di terapia le mie condizioni fisiche sono migliorate e ho potuto un attimo riequilibrare anche la mente su quello che stava succedendo. perché ovviamente prima tutta la mia energia era concentrata nel sentirmi meglio fisicamente. Sono stata trasferita, dopo un giorno di pronto soccorso all’ospedale di Rossano, al reparto di malattie infettive di Cosenza e lì hanno iniziato a somministrarmi la terapia con l’antimalarico e l’antivirale ed ha funzionato, devo dire che dal punto di vista clinico hanno beccato subito la terapia giusta e quindi poi sono stata meglio. Dopodiché sono stata trasferita all’ospedale di Rogliano e lì diciamo che il contesto anche ospedaliero, non proprio secondo me degno di un paese del G7, ha fatto sì che gli aspetti psicologici della malattia fossero amplificati perché l’inadeguatezza del luogo ha fatto pesare in maniera esponenziale la difficoltà dell’isolamento, dell’incapacità di potere avere un minimo di intrattenimento per poter passare le giornate, insomma anche difficoltà oggettive».
COMMISSARIAMENTO E SANITÀ PRIVATA Alboresi è emiliana ma ormai calabrese di adozione, il paragone con la sanità dell’Emilia Romagna però è impietoso: «Non sono calabrese, da 16 anni vivo a Corigliano Rossano ma sono emiliana. Avevo già avuto l’opportunità di passare, purtroppo, per vicende pregresse attraverso il sistema sanitario calabrese e avevo vissuto tutta l’assoluta inadeguatezza rispetto alle esigenze e gli investimenti che vengono fatti da parte della regione in questo comparto. Mi pare che quasi il 60-70% del bilancio regionale venga speso per una sanità che non è degna di essere definita tale nelle sue strutture e nella sua organizzazione in Calabria. Da cittadina italiana, europea, vorrei dire che rivendico assolutamente la necessità che, così come in Emilia Romagna la sanità pubblica ha dato grandissimi risultati e anche oggi rispetto a quella tragedia che ci ha investito se ne vedono i frutti rispetto ad altre regioni che invece negli ultimi venti anni hanno investito su una sanità privata piuttosto che pubblica, io pretendo che, essendo fino a prova contraria la Calabria in Italia, anche la Calabria e i calabresi abbiano diritto ad avere una sanità di eccellenza tanto quanto quella emiliano-romagnola».
L’OSPEDALE DI ROGLIANO Sapere di dover finire in un certo ospedale anziché un altro, in Calabria, può provocare reazioni inimmaginabili nell’Emilia o nella Lombardia del pre-emergenza: «Quando ho ricevuto la notizia che mi avrebbero trasferita all’ospedale di Rogliano mi è preso un attacco di panico perché sapevo che è una struttura che era quasi dismessa, molto periferica, in questi ultimi quindici anni in cui la sanità calabrese è stata commissariata era stato cancellato come presidio ospedaliero verso il quale indirizzare dei finanziamenti e quindi degli ammodernamenti che sono almeno necessari nella manutenzione ordinaria delle attrezzature ospedaliere, per cui sono stata presa da un attacco di panico che una volta arrivata nella struttura si è consolidato». Le pessime aspettative, infatti, sono state confermate una volta ricoverata nel nosocomio: «Rogliano è un ospedale che è stato quasi abbandonato in alcuni reparti proprio dal punto di vista strutturale per cui io mi sono ritrovata in una camera in cui funzionava solo un termosifone, gli infissi erano anteguerra, in alcuni punti c’era addirittura dello scotch che cercava di chiudere gli spifferi, le tapparelle non scendevano, chiudevano solo fino a metà, e nel bagno non c’era né doccia né bidet. Ventisette giorni senza potersi lavare attentamente, anche dal punto di vista igienico, diventano duri da sopportare».
Proprio la bravura della maggior parte dei medici e degli infermieri calabresi, a confronto con le condizioni in cui sono costretti a operare, rende inaccettabile arrendersi alla sanità calabrese: «Uno dei pilastri fondativi del mio essere è la gratitudine, sono stata salvata da medici bravissimi e da persone attente e molto devote al loro lavoro, in condizioni molto precarie anche per loro, per cui è ovvio che questo discorso che sto facendo, strutturale, è a tutela in primis di chi ci lavora e di chi ci spende la vita lì dentro e ovviamente di chi è paziente in quelle condizioni».
LE POLEMICHE Oltre al coronavirus, Alboresi ha dovuto combattere anche contro le polemiche sul suo ricovero, le cui fasi ha voluto ricostruire per fare chiarezza ancora una volta su come siano andate davvero le cose: «La percezione di essermi ammalata l’ho avuta quasi subito. Stavo rientrando da una settimana bianca e mentre rientravo mi sentivo strana, mi sentivo diversa. Già durante il rientro ho avvisato il numero regionale, che stavo arrivando da una zona del Nord e avevo un forte mal di gola, era l’8 marzo, mi hanno chiesto se avevo febbre, se avevo tosse, se ero stata in una zona rossa, e ovviamente ho risposto di no perché tutto il mese anche di degenza non ho mai avuto la febbre né la tosse, avevo solo un mal di gola violentissimo e dolori articolari».
LA QUARANTENA VOLONTARIA Senza riuscire a ottenere altre indicazioni, Alboresi si è fatta guidare dal buon senso: «Una volta arrivata a Corigliano io e mio marito ci siamo messi in quarantena, e questa è l’intuizione di cui sono più contenta perché almeno in quello siamo sicurissimi di non avere avuto contatti con nessuno in quei primi dieci giorni dal nostro rientro. Il giovedì ho iniziato ad avere dolori veramente forti quindi ho chiamato il mio medico di base, il 118 e il numero verde, e ho litigato con mezza famiglia perché all’aumentare dei miei sintomi e all’immobilità da parte di chi deputato a darmi risposte rispetto a venire a fare un controllo o portarmi al pronto soccorso, perché la scrematura era “ha la febbre, ha la tosse, è stata in una zona rossa” e io non rientravo in nessuna di queste tre eventualità, i miei familiari continuavano a dirmi “vai al pronto soccorso” e io “ma siete pazzi? Non si può andare al pronto soccorso, non fanno altro che dire di non andare al pronto soccorso e quindi io non ci vado”».
IL RICOVERO Quando le condizioni si sono aggravate, si è reso necessario andare in ospedale, ma come? «Ho retto da giovedì fino al martedì successivo, fino a quando poi ho avuto delle crisi respiratorie fortissime. Ho chiamato il 118 più volte, l’ultima risposta, che credo sia stata registrata, il 118 di Cosenza ha detto a mio marito di portarmi lui con un proprio mezzo al pronto soccorso della città perché non avevano mezzi. Mi sono messa in macchina e mi hanno detto “la richiamiamo per dirle se andare a quello di Corigliano o di Rossano”, nel frattempo il mio sindaco mi ha detto vieni a quello di Rossano che c’è la tenda del triage e quindi sono andata verso Rossano e successivamente anche il 118 ha riportato questo suggerimento. E’ successa una gran polemica perché, essendo anche amministratrice, anche sui social si scatenano quelle situazioni anche molto deprimenti dal punto di vista umano, perché una volta arrivata al parcheggio dell’ospedale la tenda del triage era chiusa perché all’epoca era presidiata solo fino alle 20:30 dai volontari della protezione civile, per cui sono stata fatta entrare nel pronto soccorso facendo scatenare la polemica che non mi sarei mai dovuta recare al pronto soccorso, che ero la prima che avrebbe dovuto sapere che non si faceva così e quindi ero stata egoista e irresponsabile perché poi ovviamente hanno dovuto sanificare i luoghi attraverso i quali ero passata nel momento in cui sono risultata positiva. Però il giorno dopo il primario del pronto soccorso, Straface, ha spiegato che non avevo violato nessun tipo di comportamento, mi era stato suggerito di fare così ed era stata un’emergenza».
LA FASE 2 Alboresi non ha dubbi, la fase 2 non dovrà essere intesa come un “liberi tutti”, ma anzi si dovrà «seguire pedissequamente le cose che già stiamo facendo adesso, distanza di sicurezza, guanti e mascherina, e anche gli occhiali, credo che sia buono e doveroso quando si può avere protezione anche per gli occhi e non avere mai atteggiamenti che possano essere di rilassamento rispetto alla gravità della situazione, anche se i numeri sembrano dare la diffusione in diminuzione, occorre stare sempre allerta».

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