di Pablo Petrasso
CATANZARO Com’è la vita di un assenteista? Scorrere le pagine dell’inchiesta confezionata dalla Procura di Catanzaro sui “furbetti” dell’Asp e dell’ospedale “Pugliese Ciaccio” è un viaggio illuminante. Il bollino di «assente seriale» spetta, secondo l’accusa, soltanto a uno degli indagati, «che mai – appuntano i pm – ha in concreto effettivamente prestato il proprio pubblico servizio alle dipendenze dell’Amministrazione sanitaria di appartenenza».
Il dipendente «non è mai presente all’inizio della giornata lavorativa»; striscia il badge in un altro plesso ospedaliero, resta per qualche ora «e poi si allontana definitivamente all’incirca all’orario di pranzo». Altro aspetto sottolineato dagli inquirenti: l’uomo ha «rilevanti precedenti penali e di polizia, che coprono l’arco temporale corrente dal 1986 al 2018».
PRECEDENTI E MINACCE AI SUPERIORI L’elenco è sterminato: denunce per furti e rapine, condanna per emissione di assegni a vuoto, una denuncia per omicidio volontario tentato, per rapina e porto abusivo di armi, revoca della patente, provvedimenti eseguiti per estorsione e danneggiamento, una querela per minacce.
Il «profilo di pericolosità» del dipendente, per i pm, emerge anche dal racconto di uno dei suoi superiori. Il manager avrebbe ricevuto, in passato, «molteplici minacce» prima del trasferimento dell’«assente seriale» a un altro incarico. «Faccio riferimento a episodi violenti – racconta –. Lui pretendeva, nel nostro ufficio, di ricoprire un ruolo che non gli spettava: trattandosi di un terzo livello di categoria A (vale a dire operaio generico, neanche specializzato) non avrebbe potuto rivestire ruoli superiori. Pretendeva viceversa di vedere attribuito il ruolo di geometra dichiarando di possederne il titolo, ma tuttavia io coerentemente con le norme vigenti lo impiegavo in coerenza con l’inquadramento posseduto (…). L’episodio più violento fu quando lui venne presso l’ufficio minacciandomi con delle frasi precise e molto violente, per le quali io ho proceduto non soltanto con la denuncia ai carabinieri ma anche attivando un procedimento della cosiddetta “Legge Brunetta”. Lui è stato convocato da me, unitamente al suo legale, a presenziare per fornire delle giustificazioni. Non avendo ritenuto opportunamente giustificato il suo comportamento, abbiamo applicato una misura di 10 giorni senza retribuzione».
«STRAORDINARIO NUMERO DI TRUFFE» Non è che il provvedimento abbia mutato l’atteggiamento del dipendente. «Le minacce – spiega il dirigente – sono proseguite costantemente nel tempo sino all’avvio del processo. Tutte le volte in cui mi vedeva (quasi ogni giorno), partivano gli episodi di minaccia». Le parole del superiore contribuiscono a costruire il profilo di un personaggio «insofferente rispetto alle norme e alla gerarchia», una «risorsa umana di fatto resasi inutile per i fini dell’unità operativa da me gestita, tant’è che su mia iniziativa è stato per l’appunto messo a disposizione dell’amministrazione». Gli episodi che gli vengono contestati sono 82, per un totale di quasi 237 ore di «indebita assenza». Per il gip si tratta di uno «straordinario numero di truffe». Ci sono giornate memorabili, come il 3 dicembre 2016, quando il “lavoratore” risulta in servizio dalle 8,11 ma in effetti arriva all’ospedale Pugliese alle 12,29. E, annotano gli inquirenti, «alle 12,55 si allontana definitivamente dal servizio senza effettuare la prevista rilevazione in uscita». Ci pensa un collega a passare il badge alle 17,27. L’«assente seriale», però, in ufficio è rimasto solo per 26 minuti. E sono pure tanti rispetto al 7 gennaio 2017. Ingresso alle 8,38; uscita alle 12,21. Ma in realtà in ufficio quel giorno non lo ha visto nessuno. Perché non c’era. (p.petrasso@corrierecal.it)
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