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Coronavirus, docenti calabresi: «Un algoritmo può aiutare a prevenire il contagio»

L’idea esposta in uno studio è quella di utilizzare Xlaw, già sperimentato per prevenire i crimini di carattere predatorio. «Permette di individuare le zone dove effettuare la prevenzione sulla dif…

Pubblicato il: 27/04/2020 – 11:59
Coronavirus, docenti calabresi: «Un algoritmo può aiutare a prevenire il contagio»

CATANZARO Utilizzando l’algoritmo Xlaw, già sperimentato in 11 comuni italiani per prevenire i crimini di carattere predatorio, si possono individuare le zone dove effettuare la prevenzione sulla diffusione della pandemia del coronavirus. È quanto emerge dallo studio “Link City: Oltre Lo Shock del Coronavirus. Un modello predittivo per fronteggiare le pandemie di oggi e prevenire quelle di domani” della Società italiana di Intelligence e del Laboratorio Predictive Intelligence dell’Università della Calabria per definire le aree a maggiore rischio di contagio all’interno delle città. La ricerca è stata realizzata da Mario Caligiuri, docente dell’Università della Calabria e Presidente della Socint, Elia Lombardo, coordinatore del Laboratorio Predictive Intelligence dell’Università della Calabria, e Donato Piccoli, urbanista. «Per verificare la validità della proposta – si legge in un comunicato – è stata effettuata una simulazione nel nucleo centrale della città di Napoli individuando le tredici zone a più alta probabilità di contatti tra individui. In questo modo si potrebbe disporre di un modello predittivo che permetta di limitare chirurgicamente sul territorio il contatto tra i cittadini per una più efficace gestione dell’emergenza in attesa che venga individuato il vaccino».
Secondo gli autori dello studio, nelle zone individuate dall’algoritmo come quelle a maggiore rischio di contagio, presente e futuro, si potrà intervenire con azioni mirate. Tra queste: la chiusura totale o parziale di questi luoghi, l’incremento degli sforzi sanitari come l’uso di tamponi specificamente per la popolazione delle zone interessate, il perfezionamento dei controlli di polizia.
«Inoltre – spiegano gli autori dello studio – considerando la “Fase 2” e la probabile “Fase 3” del dopo Coronavirus, questo approccio potrebbe permettere di valutare con sufficiente attendibilità il rischio del contagio in funzione di una graduale e consapevole riapertura delle città, quartiere per quartiere e strada per strada. In definitiva, l’idea che si propone nella ricerca è un’originale integrazione tra ambiti differenti e che attualmente operano in modo scollegato. Partendo dall’esperienza concreta del progetto Xlaw, potrebbe risultare utile una collaborazione tra istituzioni pubbliche (dai Comuni all’Istituito Superiore della Sanità), mondo assicurativo (che dispone di competenze specifiche ma affatto non utilizzate nelle politiche pubbliche) e aziende tecnologiche (sempre più strategiche per i dati crescenti di cui dispongono e per le soluzioni digitali che creano). La condizione indispensabile – si sostiene nello studio – è che questa possibile cabina di regia debba essere guidata dal settore pubblico, che è il responsabile dell’interesse generale per evitare che le esigenze del settore privato possano prevalere. A cominciare da quelle delle multinazionali tecnologiche».

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