Di fronte al disorientamento che viviamo come cittadini calabresi che non sanno più a chi e a cosa devono uniformare i propri comportamenti, cosa è lecito fare e cosa no, ci sembra doveroso, da studiosi del diritto costituzionale che prestano la propria attività in questa Regione, rassegnare alcune brevi riflessioni che, in questo momento di grave apprensione, possono servire ad orientarci.
Come ha avuto occasione di affermare il Presidente della Repubblica e ribadire il Presidente della Corte costituzionale, il momento che attraversiamo richiede coinvolgimento, condivisione, concordia, unità di intenti nell’impegno di sconfiggere il virus: nelle istituzioni, nella politica, nella vita quotidiana della società, nei mezzi di informazione.
La situazione eccezionale, qual è quella che stiamo vivendo a causa della pandemia di Covid, è tale da richiedere, infatti, a tutte le componenti della nostra comunità di collaborare con lealtà adottando atti e comportamenti diretti a tutelarne la sopravvivenza rispetto ad una minaccia reale.
Allo Stato si chiede di assumere con tempestività scelte politiche bilanciando le necessità che la scienza individua e indica come necessarie al contenimento del virus con il minor sacrificio per le libertà fondamentali. Con la precisazione che in un ordinamento democratico e parlamentare l’onere di bilanciare i valori costituzionali è affidato in via esclusiva alla legge e, in casi straordinari di necessità e urgenza, al decreto legge. Fonti, queste, che, notoriamente, maturano in seno all’organo rappresentativo. Con la conseguenza che più di un dubbio, sul piano della legittimità costituzionale, è lecito nutrire nei confronti di provvedimenti, quali i DPCM che si sono susseguiti in questi giorni, assunti da un organo privo di tale legittimazione, che, di fatto, comprimono le libertà fondamentali garantite dalla Carta costituzionale. Dubbi evidenziati anche oggi in una lettera aperta di avvocati e presidenti di Tribunale trasmessa al Presidente del Consiglio.
In un ordinamento decentrato, poi, così come delineato dall’art. 5 della Costituzione, in cui oltre allo Stato le decisioni politiche vengono demandate ad Enti territoriali dotati di autonomia si chiede loro di concorrere alla salvaguardia della salute collettiva adottando per la propria competenza decisioni improntate allo stesso criterio, attenendosi al massimo rispetto del principio costituzionale cardine che è quello di leale collaborazione. I diversi livelli di governo devono cooperare fra loro, in quanto, nonostante le diversità di funzione e struttura, essi fanno pur sempre parte del medesimo ordinamento.
Ai politici si richiede di mettere momentaneamente da parte le armi della competizione politica e della ricerca del consenso per affrontare la situazione con la serietà che il momento richiede. Il che non vuol dire rinunziare alle differenze ideologiche, spesso profonde, o al diritto di critica, ma di astenersi dalla sterile polemica politica.
A tutti i decisori si chiede, poi, il massimo rispetto per i cittadini che, a causa di una minaccia concreta, si trovano in una situazione di difficoltà ed ai quali si richiede una partecipazione attiva, mediante sacrifici personali e comportamenti specifici, in nome della salute collettiva. E questo rispetto si manifesta in primo luogo improntando alla massima chiarezza i propri provvedimenti. Quel dovere di chiarezza che, nel rispetto del principio cardine della certezza del diritto, dovrebbe essere connotato di qualunque provvedimento dell’Autorità in tempi normali, diventa imprescindibile in situazioni eccezionali. D’altra parte, qualunque provvedimento, come ci ha ricordato proprio oggi Gustavo Zagrebelsky, incontra limiti di efficacia se non può contare sulla partecipazione responsabile di ciascuno che è strettamente correlata alla comprensione del sacrificio richiesto a ciascuno di noi e della sua indispensabilità per un tempo limitato.
Se la chiarezza costituisce un dovere inderogabile per chi ci governa, e uno speculare diritto di chi è governato, non può non osservarsi come la realtà ci mostri tutt’altro. A fronte di decisioni assunte dallo Stato, frutto di una costante consultazione con il Comitato tecnico-scientifico, si rinviene un profluvio di disposizioni contrastanti con quelle decisioni assunte da chi ci governa a livello locale. Ordinanze assunte da Presidenti di Regioni e Sindaci che sembrano avere ingaggiato una competizione tra loro tra chi impone restrizioni sempre più intense delle libertà individuali dei cittadini sottoposti al loro governo e chi, invece, annulla divieti imposti dallo Stato, consentendo, spesso senza il conforto di nessuna evidenza scientifica, attività che negli altri territori non sono consentite.
Ciò premesso, è necessario sgombrare il campo da un equivoco. La problematica dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria n. 37 del 29 aprile 2020, meglio nota come “ordinanza della fiducia”, non riguarda il riparto delle competenze legislative tra lo Stato e le Regioni disciplinato dall’art. 117 della Costituzione, come richiamo in premessa dalla stessa ordinanza, bensì, semmai, attiene al diverso ambito delle attribuzioni delle funzioni amministrative di cui all’art. 118 Cost., retto dai principi di sussidiarietà (verticale), differenziazione e adeguatezza. Con l’avvertenza che, come chiarito dalla Corte costituzionale, l’esercizio della funzione legislativa ad un livello superiore produce una “chiamata in sussidiarietà” della materia da parte dello Stato. Il che nel nostro caso è avvenuto con l’emanazione della normativa emergenziale adottata dallo Stato.
Ebbene, l’ordinanza regionale è stata emanata ai sensi della normativa nazionale che concede ai Presidenti delle Regioni, così come ai Sindaci, il potere di emanare ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica, con efficacia limitata ai territori di propria competenza. Ma tale potere deve essere letto e interpretato alla luce dei recenti interventi normativi previsti dal decreto legge n. 19/2020, che hanno drasticamente limitato la facoltà di adottare ordinanze regionali in materia di igiene e sanità pubblica.
In particolare, stabilendo che, nelle more dell’adozione dei DPCM, spetta al Ministro della salute e non più al Presidente della Regione o al Sindaco la competenza di adottare gli atti in casi di estrema necessità e urgenza per situazioni sopravvenute. Con la precisazione che sono ammessi solo interventi diretti a introdurre misure ulteriormente restrittive in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso ed esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza.
Non si vuole qui entrare nel merito della legittimità dell’ordinanza del Presidente Santelli, che comunque allo stato è pienamente efficace, ancorché depotenziata dalle ordinanze dei Sindaci di contenuto restrittivo. D’altra parte, non è difficile immaginare che di tale questione saranno investiti i competenti organi giurisdizionali. Le presenti brevi osservazioni vogliono, piuttosto, semplicemente costituire una sollecitazione agli organi decisori ad un più responsabile esercizio delle funzioni loro delegate, specialmente in un momento in cui l’idem sentire de republica imporrebbe il massimo rispetto dei doveri di osservanza della Costituzione e di fedeltà alla Repubblica. Solo la coesione che responsabilmente sollecita il Capo dello Stato, perseguita attraverso comportamenti improntati ad un principio di leale collaborazione tra enti e organi di governo, può costituire una via d’uscita alla grave situazione emergenziale che tutti stiamo vivendo.
*Professore di Diritto Costituzionale presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro
** Professore di Giustizia Costituzionale presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro
*** Cultore della materia in Diritto Costituzionale presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro
x
x