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«Così Arpacal può dare la caccia al Covid ("vivo o morto") in acqua o nell'aria»

L’idea di due esperti in valutazioni ambientali. «La rete di monitoraggio è uno dei fiori all’occhiello dell’Agenzia. Potrebbe essere utilizzata per mappare le tracce genomiche del virus e comprend…

Pubblicato il: 02/05/2020 – 8:55
«Così Arpacal può dare la caccia al Covid ("vivo o morto") in acqua o nell'aria»

di Vincenzo Barone e Antonino Votano*
Studio di correlazioni tra smog, risorse idriche e diffusione del Coronavirus, ai fini della sicurezza e della tutela della salute della popolazione calabrese. Un’iniziativa che potrebbe essere portata avanti anche in Calabria, terra che, dai dati della distribuzione comparati rispetto al resto delle regioni italiane, ancora è considerata poco contaminata dal SARS-CoV2. In tal senso, il contributo che potrebbe offrire l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente della Calabria non è trascurabile. Nelle ultime ore Enea, Istituto superiore di sanità (Iss) e il Sistema nazionale di Protezione dell’Ambiente (Snpa) hanno annunciato l’avvio di un progetto di ricerca congiunto su scala nazionale denominato “Pulvirus”, finalizzato all’acquisizione di dati, competenze ed esperienze per la verifica delle policy ambientali e sanitarie attivate. Si è quindi dato il via ad un approfondimento scientifico sul legame tra inquinamento atmosferico e propagazione del Covid-19, attraverso l’investigazione delle interazioni esistenti fra polveri sottili e Coronavirus, nonché sullo studio degli effetti del lockdown. La ricerca “Pulvirus”, in via preliminare, si concentra sulla riduzione di concentrazione di alcuni inquinanti atmosferici riscontrata dai dati delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria, dovuta per gran parte alla limitazione del traffico veicolare dovuti al lockdown. In Calabria cosa si potrebbe fare? Il patrimonio in termini di competenze, professionalità e strumentazioni di cui Arpacal è detentrice, potrebbe essere un apripista per tutte le agenzie italiane. La proposta è quella di attivare una procedura operativa “integrata” che estenda l’analisi microbiologica/genetica ai filtri dei campionatori PM10 e PM2,5 eventualmente commisurata ai tempi di sopravvivenza della carica virale, nonché dei campioni di acque di balneazione, degli scarichi e degli approvvigionamenti idrici.
L’idea nasce da un’esperienza condotta circa dieci anni fa nel territorio crotonese, effettuata sempre da Arpacal per conto della Procura della Repubblica, finalizzata in quel caso alla ricerca di radionuclidi dispersi in atmosfera mediante analisi di laboratorio con spettrometria gamma eseguita sui filtri dei campionatori del particolato atmosferico. La rete regionale per il monitoraggio della qualità dell’aria è un fiore all’occhiello dell’Agenzia e tutti i dipartimenti provinciali Arpacal monitorano in modo capillare gli scarichi anche con il supporto dei tecnici delle Asp per il prelievo dei campioni. Alla rete di monitoraggio dell’aria è possibile associare un numero discreto di stazioni mobili che possono essere posizionate, in questo periodo di emergenza, nei luoghi dove in base ai dati statistici, densità di popolazione ed incidenze, risulta necessario approfondire maggiormente lo spettro delle indagini.
Un progetto di ricerca “integrato” vero e proprio, quindi, dalla duplice finalità: la prima è attivare una procedura operativa che consenta di dare un contributo in termini scientifici allo studio della diffusione del virus in atmosfera e nelle acque, la seconda è implementare la dotazione strumentale per l’individuazione di tracce genomiche del virus e le funzioni della rete di monitoraggio regionale, per renderla più dinamica rispetto a fenomeni che in maniera improvvisa possono registrarsi sul territorio. La problematica è da approfondire perché su molti aspetti le evidenze sono ancora incerte. È noto che il virus può utilizzare le polveri sottili come carrier e che potenzialmente possono essere trovate le sue tracce genetiche sui filtri utilizzati per il campionamento del PM10 e del PM2,5, in quanto è plausibile che in ambiente secco esso si disattivi e “muoia”. È altrettanto noto che il virus si trovi nelle acque di scarico e, con buone probabilità, nelle acque potabili: questo motivo ha indotto alcuni Comuni ad avviare screening delle matrici acquose dove può sopravvivere, essere disattivato e “morire” a valle dei processi di disinfezione. Per tale ragione sarebbe più che mai opportuno, in questa fase, improntare un piano di indagini che tenga conto di livelli di priorità dettati dalle analisi statistiche ed associati alla presenza di strutture sanitarie con pazienti Covid-19 accertati, Rsa e territori già identificati quali “focolai”. La presenza del Sars-CoV2 può essere, quindi, ricercata sia in condizioni di carica virale attiva oppure mediante semplici tracce genetiche rinvenibili su matrici secche. Queste procedure possono essere implementate sulle stesse matrici ambientali che vengono controllate e monitorate da Arpacal per scopi istituzionali. In tal modo si avrebbe una base di dati (geo-referenziata) interessante e nuovi spunti per attivare studi e validare metodologie a supporto delle politiche di salvaguardia della salute umana.

*esperti in valutazioni ambientali

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