A voler giocare testardamente d’anticipo, si rischia, talvolta, di non sortire gli effetti sperati. Del resto, a meno che tu non sia Prometeo, il titano della mitologia greca, con il dono di “vedere” le cose prima di ogni altro, non puoi confidare nella diffusa, differita audience della posterità. Ti toccano, hic et nunc, solo i telespettatori di Mattino 5.
Il caso di specie riguarda Jole Santelli, capintesta di Calabria, le cui strabilianti gesta stentano a lambire il Caucaso. Ma procediamo con ordine. Nella seconda metà di marzo, Nostra Signora muove guerra al virus e blinda i confini della sua terra, anticipando, di fatto, l’Ordinanza congiunta dei Ministeri degli Interni e della Salute. Dopo di che, avendo incassato il suffragio del governo centrale, Sant’Elle issa lungo le sommità della Cittadella il seguente vessillo propagandistico: Grande vittoria della Calabria!
Ora, nel frangente più tragico della vicenda repubblicana, una pacchianata lessicale così sublime non sarebbe venuta in mente neanche alla cantante solista del Trio Silano. Vittoria de che? Contro chi? A dispetto, forse, del dirimpettaio basilisco? Qui la “secessione” catastale del ballatoio sfiora vette mistiche; lo sbraco campanilistico si congeda definitivamente dalla clandestinità. Tramuta in evidenza. Si fa briosa mazurketta agreste dissonante. Mentre incombe la Morte Planetaria. Si tratta di un fanatismo “separatista”, che, lungi dal designare l’orgoglio delle origini, ne diventa parodia. Macchietta dolente.
Proclamarsi “calabresi” non significa dirsi patrioti del segmento, mezzadri della ringhiera o, peggio, spacconi decentrati.
Sin qui, la linea della fermezza. Di marca jolandesca. «Chiudo i confini. Proteggo i miei dal Covid19, 20 e 21!». Roba da far dire a Vincenzo De Luca: «Che cazzo fai, mi fotti il copyright?».
In men che non si dica, però, la scena si ribalta. Alle ordinanze censorie segue, nottetempo, quella del Casaccio delle Libertà: «Apro bar e ristoranti». Una figata pazzesca! Come d’incanto, si arrapano i tavolini di Cosenza, notoriamente sovversivi, indiani e metropolitani. Al grido di battaglia «Uno shakerato vi seppellirà».
Peccato che, di contro, si incazzino falcomàtamici, barellieri, benzinai, sergioabramici, meccanici tornitori, elettricisti e tutti gli impiegati di concetto della Sibaritide. Scende in campo pure la Madonna del Pilerio, che dichiara : «Impugno. Solo io posso apparire, dopo le 22.00, ai geometri di Rovito».
Tuona il New York Times: «Accà nisciun è fess, cazzarola!».
Incalza Boccia, a boccia ferma: «Jole, o ritiri o ti diffido!».
Gli risponde Pannella: «LEGALIZZALA, Francesco, è un micidiale trip, un magnifico sballo».
Jole, tosta e cazzuta, in piena sbornia prometeica, rilancia: «Non ritiro una beneamata cippa. Il governo farà, a breve, ciò che io ho anticipato».
Come se non bastasse, aggiunge: «Io sono la Regione, che, al momento opportuno, ha adottato le misure più rigide. Non mi rompete».
Sant’Elle declina la prima persona singolare, come farebbe la Tina Cipollari che è in ognuna di noi con la vicina di casco, dal parrucchiere: «Anch’io ho il problema delle doppie punte, signora mia».
Come dire, l’Etat c’est moi e, a pensarci bene, pure la doppia punta.
A questo punto, Luigi XIV, colto da improvvisa crisi di autostima, organizza meticolosamente il suicidio. Perché non passi inosservato. Convoca, infatti, a corte Raoul Casadei e gli commissiona la marcetta funebre. Una ballata struggente, un doppio giro rovesciato, dal titolo sinistro: Ciao, mare.
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