di Francesco Donnici
LAUREANA DI BORRELLO Sono passati quattro anni dal giorno della scomparsa di Maria Chindamo. Qualcuno, distrattamente, potrebbe definirlo “un caso” quando invece continua ad essere un racconto di vita. Una storia di ricerca della verità e della giustizia. Una ricerca dei perché, trasposta nell’abbraccio quotidiano, di quella parte buona di popolazione, ai familiari.
Un abbraccio particolare quest’anno. Il distanziamento fisico legato alle misure in atto, non permette – almeno per ora – un ricordo bello almeno al pari di quello dell’anno passato, quando i ragazzi delle scuole, i giornali, le associazioni erano diventate la “scorta affettiva” dei familiari nel percorso verso Limbadi, davanti al cancello dell’azienda dove, quattro anni fa, Maria Chindamo scomparse. Rimase qualche traccia di sangue, capelli e il motore acceso di un’auto che ancora oggi attende.
Il tempo intanto scorre, si cresce. Vincenzino, il figlio più grande, a luglio compirà 24 anni. Letizia, la più piccola, ne ha invece 14. Federica Punturiero è la «figlia di mezzo», all’epoca aveva solo 15 anni e con lei abbiamo voluto rivivere quel giorno e quanto ne è seguito.
6 MAGGIO 2016, UN GIORNO QUALUNQUE «Quel giorno era iniziato come un giorno qualunque», racconta Federica al Corriere della Calabria. «Avevo avuto l’influenza e non ero andata a scuola. Mi ero svegliata da poco, verso le 7.10. Mia mamma sentì i miei passi quando si fermò sulla porta, si girò verso di me e mi mandò un bacio prima di uscire».
Maria Chindamo, imprenditrice 44enne di Laureana di Borrello, quel giorno stava uscendo per recarsi alla sua azienda, a Limbadi, dove se ne persero le tracce. «Verso le 7.30 circa mi chiamarono prima mia nonna Pina, la mamma di mia mamma, poi zio Vincenzo, per chiedermi se sapessi dov’era. Ma poi – ricorda ancora Federica – verso le 9 sono arrivati i carabinieri a casa e solo allora mio zio mi raccontò della macchina e del sangue. Lì mi è crollato il mondo addosso. Volevo aiutare anch’io in qualche modo, ma non sapevo come».
«UN’ETERNA QUARANTENA AFFETTIVA» Da allora sono state tante le voci susseguitesi sulla scomparsa di Maria Chindamo, ma ancora oggi i familiari non cessano la loro ricerca «dei perché».
Il fratello, Vincenzo Chindamo, in mattinata ha scritto sui social: «Condannati eternamente alla quarantena affettiva, lontani da Maria, dai suoi sorrisi e dalla sua forza». Un’immagine perfetta per descrivere quello stato di incertezza a volte più logorante del male stesso perché scandito dai molteplici sentimenti che in questi anni si sono susseguiti, spesso in contrasto tra loro.
«Tanto dolore e tanta rabbia. – dice Federica – Mi sono trovata a chiedermi ed immaginare tantissime volte cosa davvero possa essere successo quel giorno. Non sapere il perché è veramente straziante. Sono stati anni molto difficili, avendo perso anche papà prima di mamma. Senza zio Vincenzo e nonna Pina non so dove saremmo oggi. Ma c’è sempre anche tanta speranza. Sappiamo che i carabinieri e i magistrati se ne stanno occupando». Risale infatti allo scorso marzo una delle ultime dichiarazioni del nuovo Procuratore di Vibo Valentia, Camillo Falvo, che ai microfoni di Rai3 ha sottolineato come «non si possa smettere di cercare Maria Chindamo. Lo dobbiamo prima di tutto alla famiglia». E Federica esprime così la sua gratitudine: «Stanno di certo facendo il loro lavoro al meglio. Si potrebbe fare sempre di più. La speranza è tanta: avere risposte potrebbe permetterci di chiudere il cerchio e aiutarci ad andare avanti, ma non ad alleviare il dolore perché quello non sparirà mai».
UNA DONNA LIBERA Circa un anno prima della scomparsa della Chindamo, l’ex marito, Ferdinando Punturiero si era tolto la vita. Per questo, alcuni avevano avanzato anche l’ipotesi che la scomparsa dell’imprenditrice vibonese potesse essere l’ennesimo caso di “lupara rosa” in terra di Calabria.
«Mia mamma nella vita ha fatto scelte libere. Non si è mai preoccupata di quello che pensava la gente. Pari bruttu poi “la gente pensa male” si dice da queste parti. Mia mamma è stata sempre molto libera, ha fatto le sue scelte in modo consapevole, sereno, tranquillo e probabilmente nella terra del pari bruttu – che tanto libera, forse, non è – una donna così può spaventare, può dare fastidio». Anche per questo è importante avere verità e giustizia: «Cose simili non sarebbero ipotizzabili nemmeno nel Medioevo. Nel 2020 non si può continuare a vivere nella paura di fare delle scelte, di prendere decisioni. Paura di che cosa? Di chi?»
«TUTTA LA CALABRIA VUOLE RISCATTARSI» Da “Rimpiazzo” a “Rinascita”, le inchieste antimafia dell’anno passato hanno provocato una vera e propria scossa sul territorio del Vibonese. In molti hanno letto nella risposta delle persone, la voglia di riscatto di un territorio a lungo stretto nella morsa della ‘ndrangheta. «Non solo Vibo, ma tutta la Calabria ha voglia di riscattarsi. – dice Federica con voce ferma – I rappresentanti di una Calabria bella, perbene, lontana da alcuni schemi mafiosi, sentono il bisogno di dirlo, di distinguersi». E ogni inchiesta, riaccende sempre un lumicino di speranza: «Quando leggi di queste operazioni pensi sempre che qualcuno possa parlare, che possa scoprirsi qualcosa anche sulla scomparsa di mia madre. Questa cosa non cambierà mai finché non si arriverà alla verità».
«GRAZIE MAMMA, TI VOGLIO BENE» Oggi Federica studia Giurisprudenza a Roma e da grande sogna di fare il Magistrato. Sogna, ad esempio, di poter tornare dopo gli studi nella sua Calabria e dare il suo apporto diretto affinché le cose possano cambiare. Un sogno che ha radici profonde: «Ricordo un episodio particolare all’asilo. Nel periodo di Natale venivano distribuiti questi panettoni piccolini per tutti i bambini e avevo visto un bambino che ne aveva presi due. Dissi alla maestra che non mi sembrava giusto. Crescendo in un territorio complesso come quello di Rosarno, i nostri genitori c’hanno sempre tenuto a ricordarci cosa fosse la giustizia, il vivere bene a contatto con gli altri».
Ma ci sono ricordi anche più recenti: «Con mamma guardavamo sempre una serie tv, i Ris, e mi affascinava tantissimo questo mondo, i carabinieri. Fu proprio mia mamma a propormi di fare il concorso per entrare in Nunziatella». E la data di quel concorso era segnata sul calendario al 10 maggio 2016. «Erano passati solo 4 giorni dalla scomparsa di mamma, ma sono andata comunque per provare, glielo dovevo. Anche se non lo passai, mai ho abbandonato quell’idea di riuscire a cambiare le cose per quanto posso, anche in piccolo: far riflettere una persona per me è già una vittoria».
E se oggi proprio Maria Chindamo si trovasse al leggere queste parole, non potrebbe che essere fiera di quello che i suoi figli stanno diventando. «Io e i miei fratelli – dice Federica – ci sentiamo un po’ una proiezione dei nostri genitori che continuano a vivere attraverso di noi. Di solito è la madre che porta il bimbo nel grembo per 9 mesi, invece stiamo portando i nostri genitori dentro di noi. E lo faremo finché vivremo. Ci sarebbero talmente tanti pensieri che vorrei farle arrivare, ma forse il più semplice che racchiude tutto è: grazie, ti voglio bene». (redazione@corrierecal.it)
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