E’ trascorso un anno da quando Paolo Pollichieni non c’è più.
Un anno di vuoto nella vita di noi amici che abbiamo avuto il piacere e il privilegio di condividere con lui un pezzo più o meno lungo della nostra esistenza terrena.
Nel caso mio e di Franco, un tratto lunghissimo.
Con Paolo eravamo cresciuti assieme. Abbiamo condiviso amicizia, gioie, dolori, piccoli momenti della quotidianità e intensi fasi della vita pubblica.
Eravamo giovani quando scelse Franco come persona da avere accanto nel sacramento della cresima, e la profonda amicizia suggellata dalla sacralità li accompagnò per tutta la vita: quella di di mio marito, stroncata da mano mafiosa nel 2005; e quella di Paolo, ucciso da un male incurabile capace di compiere ciò che non era riuscito a forze oscure e criminali.
Non voglio tediarvi con un racconto che oggi avrebbe un sapore nostalgico.
Voglio ricordare ciò che invece, fino alla fine, contraddistinse il rapporto di Paolo Pollichieni con gli altri. Cioè la schiettezza ai confini della ruvidità, alle volte, ma anche tanta giovialità, generosità e allegria.
Il salotto di casa Pollichieni, a Roma, è stato per tanti anni un punto di riferimento per tutti noi e per un pezzo di società – calabrese e non solo – presente nella Capitale.
Un luogo aperto nel quale ci si confrontava su tutto, dalle questioni più semplici legate alla convivialità fino al grandi temi di impegno sociale, civile, culturale.
Da quel punto di osservazione, le vicende calabresi venivano viste con occhi più oggettivi, che rendevano più semplice e chiara l’analisi di fatti che invece, spesso, nella nostra regione venivano interpretati attraverso le lenti dell’autoreferenzialità; ma anche con la passione e l’orgoglio di chi non ha mai tradito le proprie origini e le proprie radici. Come quelle della sua amata Locri.
Fino alla fine, la vena scanzonata e ironica non gli è mai venuta meno. Anche “per tenere su il morale della truppa”, di Giovanna, di Pietro, di Luciano. Quello spirito “alto” non è venuto meno neanche quando Paolo, da persona intelligentissima qual era, aveva capito che il tempo rimasto era ormai poco.
Non voglio perdermi in troppe parole; non servirebbero a nulla e non colmerebbero il vuoto rimasto dentro tutti noi. Voglio però esprimere una speranza: che la testimonianza di vita e l’insegnamento di Paolo Pollichieni, giornalista innamorato della Calabria, non vengano dispersi ma contribuiscano a costruire una coscienza civile forte, strutturalmente radicata con i valori della lotta alla ‘ndrangheta e al malaffare, di cui la nostra terra ha profondo bisogno.
Il resto rimarrà nei ricordi che ciascuno di noi porterà con sé, come quelle fragorose risate che grazie a Paolo hanno riempito la nostra vita.
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