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«Nessuno tocchi le risorse per il Sud»

di Antonio Viscomi*

Pubblicato il: 07/05/2020 – 13:03
«Nessuno tocchi le risorse per il Sud»

«Grazie Ministro Provenzano per le sue parole e per il suo impegno, di lunga data, a favore del Mezzogiorno e del suo “riscatto”, parola, questa, che Lei, meridionale come chi parla, conosce bene e certo apprezza non solo per la capacità evocativa di un universo segnato da attese, spesso deluse, e da conquiste, troppe volte tradite, ma anche, e forse soprattutto, perché in grado di rappresentare, con un solo tratto, un Mezzogiorno che ancora oggi è pietra di inciampo per molti, risorsa e al contempo ancora questione.
E’ bene ripeterlo ancora una volta in quest’Aula: la questione-meridionale non è la questione-dei-meridionali ma chiama in causa la stessa costruzione dell’identità nazionale e sfida la nostra capacità di costruire comunità attive, responsabili, sostenibili, più eque e solidali. Lei stesso, Ministro, nella Premessa al Piano per il Sud, ha riconosciuto che sviluppo e coesione “riguardano … tutti coloro che sono impegnati nella battaglia per rendere l’Italia un paese più giusto e avanzato”; e concludeva dicendo: “Possiamo aprire una nuova pagina. Dobbiamo scriverla insieme.”
E dobbiamo però scriverla oggi, Ministro, in questi giorni dolorosamente segnati da un virus subdolo ed infido, da una “tempesta inaspettata e furiosa” (come l’ha definita il Papa) che ha frantumato storie personali e professionali, mettendo in evidenza debolezze, incertezze e contraddizioni del nostro paese, del nostro essere una “nazione”, per usare le parole scritte ieri da Isaia Sales “forte e fragile, unita e divisa allo stesso tempo”.
Contraddizioni, ad esempio, come quella evidenziata recentemente dai dati dell’Istat che confermano un pesante differenziale territoriale sulla effettività della didattica a distanza: 470.000 ragazzi meridionali, quasi un quinto, è privo di un computer o di un tablet a casa; la percentuale delle famiglie meridionali senza un computer in casa supera il 41%, con punte del 46 e del 44% in Calabria e Sicilia e solo nel 14% dei casi ogni componente familiare utilizza un diverso computer. E tutto ciò senza parlare delle reti e della connettività, o per altro verso delle aule e molte volte anche delle stesse strade per andare a scuola. Cioè di tutte quelle che si usa chiamare infrastrutture pesanti e pensanti. E senza neppure considerare altri settori della vita collettiva dei quali però oggi comprendiamo, e paghiamo a caro prezzo, errori di programmazione e di valutazione nei modelli di sviluppo: la sanità, in primo luogo.
Il rischio di “far parti eguali tra diseguali”, signor Ministro, ritorna ancora prepotente quando si parla di Mezzogiorno.
La qual cosa però non rappresenta soltanto una plateale violazione della nostra Costituzione, dello spirito e dei valori fondativi del nostro stare insieme che in quelle norme sono inscritti; piuttosto è una sorta di miopia che impedisce di mettere bene a fuoco come il paese, la sua struttura economica, il suo sistema produttivo siano molto più interconnessi e interdipendenti di quanto una rozza vulgata vorrebbe credere e far credere. Per questo è interesse comune che il Mezzogiorno sia messo in grado di realizzare le sue potenzialità, di crescere, di svilupparsi, di produrre ricchezza e di valorizzare la sua posizione geoeconomica e, direi, anche geopolitica al centro del Mediterraneo, in cui ciascuno abbia l’opportunità di realizzare al meglio le proprie capacità ed il proprio progetto di vita.
E’ dunque a partire da qui che devono essere costruite le politiche pubbliche che coinvolgono cittadini, imprese e territori del Mezzogiorno. “Se riparte il Sud riparte l’Italia”, ha detto il presidente Conte a Gioia Tauro; vero, ma proprio per questo credo sia di comune interesse che le “narrazioni tossiche sul Sud”, come le ha definite lo stesso Presidente siano definitivamente e coraggiosamente accantonate.
A partire da quella che descrive il Mezzogiorno come realtà omogenea e negativa in modo omogeneo, quando invece quella che conosciamo è una realtà plurale, complessa, variegata, dove accanto a situazioni di degrado economico e sociale ve ne sono altre di grande eccellenza, capaci di performance in linea o addirittura migliori di quelle del Nord, che innovano, producono, curano, sanno essere competitive, che non si presentano con il cappello in mano ma che pretendono dalle istituzioni il rispetto e il riconoscimento che merita chi ha dimostrato che cambiare è possibile e che nulla di ineluttabile è presente nella condizione meridionale. Almeno in quest’Aula dovremmo avere ben chiaro che Sud è termine che può e deve essere declinato solo al plurale.
Per arrivare all’altra narrazione, anch’essa diffusa, che vuole un Sud predatore di risorse produttive da metabolizzare in assistenzialismo diffuso. I fatti, diceva qualcuno, sono ostinati, ed anche la narrazione più suggestiva quando non conforme ai fatti, è una narrazione non vera, cioè: una bugia.
Ed è un fatto che secondo i dati dei conti pubblici territoriali negli ultimi dieci anni la quota di risorse ordinarie in conto capitale destinate al Mezzogiorno è stata in media intorno al 26%, cioè ben otto punti percentuali in meno rispetto alla percentuale di popolazione residente in quei territori. Il che si è tradotto in un oggettivo trasferimento dalle regioni meridionali a quelle del Centro-Nord di circa 4 miliardi all’anno di risorse ordinarie in conto capitale per una perdita complessiva di oltre 40 miliardi nel decennio. Onestamente, Ministro, è difficile negare che l’arretramento infrastrutturale del Mezzogiorno, che spiega anche il mancato recupero del divario di crescita con le restanti aree del Paese, sia effetto inevitabile del taglio delle risorse per la spesa in conto capitale.
E’ in questo contesto che trova ragione e senso la clausola che riserva al Sud la quota del 34% degli investimenti ordinari delle amministrazioni centrali. Norma – sia chiaro – che presenta alcuni lati deboli, già segnalati a suo tempo dall’UPB: il limitato perimetro di interesse, mancando ancora gran parte delle grandi imprese pubbliche nazionali; l’assenza di un sistema sanzionatorio; l’esigenza comunque di continuare ad investire sul rafforzamento delle amministrazioni per assicurare una capacità di spesa trasparente ed efficace.
E si tratta di osservazioni e proposte che vale la pena rivalutare oggi con attenzione, affinché non risulti poi privo di effettività l’obiettivo di vincolare ex ante le risorse disponibili o non si riduca surrettiziamente e silenziosamente anche il perimetro delle amministrazioni e quindi degli investimenti considerati. Anzi, occorre estendere la clausola del 34% alla spesa pubblica complessiva e non solo a quella delle amministrazioni centrali dello Stato, comprendendo quindi tutte le società partecipate pubbliche che erogano beni e servizi pubblici primari o essenziali, ed non soltanto Anas ed RFI.
Sia 34% sempre e dovunque, Ministro: perché questo orizzonte non può certo essere messo ora in discussione. Neppure in ragione dell’epidemia, che anzi le risorse da investire al Sud in opere pubbliche servono anche per rilanciare il sistema economico produttivo e le stesse imprese del nord. Lo dice uno studio della Banca d’Italia secondo cui un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1% del suo PIL per un decennio, ossia 4 miliardi annui, avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana. Al Sud il moltiplicatore degli investimenti pubblici potrebbe raggiungere un valore di circa 2 nel medio-lungo termine. L’economia del Centro Nord ne beneficerebbe per via della maggiore domanda nel Mezzogiorno e dell’integrazione commerciale e produttiva tra le due aree. Tant’è che le simulazioni indicano che il PIL di quest’area potrebbe aumentare fino allo 0,3 per cento.
Ma investire oggi e assicurare il 34% della spesa in conto capitale non può far dimenticare i danni fatti nel passato e i rischi che ancora si corrono nel presente.
Per questo è necessario verificare l’effettivo riparto di risorse ordinarie per gli investimenti pubblici tra Nord e Sud degli ultimi venti anni e individuare – cosa che il federalismo fiscale, ad oggi, non è stato in grado di fare – gli indici di perequazione infrastrutturale. E neppure può far dimenticare la necessità di definire i livelli essenziali delle prestazioni al fine di garantire le risorse necessarie per raggiungerli, su base regionale, anche in termini di personale qualificato e dipendenti pubblici, quindi individuando un criterio di perequazione da estendere anche alla spesa corrente, attualmente calcolata prevalentemente in base al criterio della spesa storica con un effetto penalizzante, anche per il futuro, delle regioni del Sud. Si tratta di questioni di vitale importanza per i cittadini: basti pensare alla sanità, all’infanzia e all’istruzione, al trasporto pubblico locale, per non parlare di diritto all’abitazione e delle politiche per il lavoro. Infine, occorre riaffermare la necessità non solo di mantenere il vincolo di destinazione territoriale delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) congiuntamente a quelle degli altri Fondi strutturali, destinati a promuovere le politiche per lo sviluppo della coesione sociale e territoriale e la rimozione degli squilibri economici e infrastrutturali tra le regioni, ma anche di considerare tali risorse sempre e comunque come aggiuntive rispetto a qualsiasi altro strumento di finanziamento ordinario e/o non derogando così al criterio dell’addizionalità previsto per i fondi strutturali dell’Unione Europea.
Insomma, Ministro, per debellare una condizione di sottosviluppo ultradecennale occorre una strategia complessiva e coerente volta ad ampliare la base produttiva e a rendere competitivo il contesto economico locale. La spinta deve essere forte, duratura e basata su un’ampia gamma di strumenti. Gli interventi devono agire sia sull’offerta, rafforzando la competitività del settore produttivo e l’efficienza delle amministrazioni pubbliche, sia sulla domanda, sostenendo i redditi familiari. Assume centralità il rilancio degli investimenti pubblici, l’impulso alla ricerca e all’innovazione tecnologica e un deciso intervento a favore dell’accumulazione di capitale fisico e umano. Solo così può nascere quel lavoro buono di cui Lei parlava, quel lavoro vero, produttivo, creativo, legale per tutti e dovunque; capace di recuperare le energie e le competenze delle donne particolarmente vulnerate dal mercato del lavoro meridionale, oggi come già ieri prima dell’emergenza.
Concludo, Ministro, con una brevissima considerazione. Nell’interesse di tutti e non solo dei cittadini che abitano nelle regioni meridionali è necessario affermare politiche pubbliche capaci di coniugare sussidiarietà istituzionale e responsabilità collettiva, solidarietà sociale ed efficienza economica, impegno individuale ed affiancamento pubblico. Di fronte al recupero nostalgico dell’appartenenza, delle identità localistiche, degli interessi particolari, della sicurezza e dei confini, abbiamo bisogno di riprendere e rafforzare lo spirito dei patti con le regioni del Sud che abbiamo sperimentato negli ultimi anni, impregnati di leale collaborazione, razionalizzazione delle risorse e soprattutto espressivi di un comune progetto di sviluppo e di una visione, perché di una visione abbiamo bisogno.
E ne abbiamo ancora più bisogno ora. Una cosa è certa, infatti: questa crisi ha dimostrato in modo evidente che nessuno è un’isola e che abbiamo una sola possibilità di venirne fuori: capire che siamo una comunità e che il comportamento di ciascuno si riflette su tutti. Questo è il momento per recuperare spirito di comunità e di coesione sociale, per rafforzare il senso di responsabilità, ma anche per sfrondare le nostre vite personali e pubbliche dalle sovrastrutture del superfluo e per rimettere l’essenziale al centro, per sprigionare infine energie creative e leadership, locali e globali, illuminate. Insomma per tirare fuori il meglio da noi stessi e dalle nostre comunità. Un invito, insomma, a cambiare sguardo sulle cose del mondo, e a ricostruirlo riscoprendo l’essenziale. Il Sud è pronto, Ministro; ancora una volta l’abbiamo dimostrato in questi giorni di emergenza nazionale».

*Deputato Partito Democratico

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