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Confiscato il patrimonio del chirurgo al servizio dei clan reggini – VIDEO

I finanziari hanno posto i sigilli a beni per circa 25 milioni. Sono riconducibili a Francesco Cellini, già sottoposto a misure di prevenzione

Pubblicato il: 08/05/2020 – 9:00
Confiscato il patrimonio del chirurgo al servizio dei clan reggini – VIDEO

REGGIO CALABRIA Un patrimonio stimato in circa 25 milioni di euro è stato confiscato dalla Finanza a Reggio Calabria ad un medico chirurgo ritenuto vicino ai clan. Si tratta di Francesco Cellini, già sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. In particolare i militari del locale Comando Provinciale della Guardia di Finanza – con l’ausilio di personale del Servizio centrale investigazione criminalità Organizzata, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica – Direzione distrettuale antimafia, diretta dal Procuratore Capo Giovanni Bombardieri, hanno eseguito il provvedimento emesso dalla sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria – presieduta dalla Dott.ssa Ornella Pastore – su richiesta del Procuratore Aggiunto Calogero Gaetano Paci e del sostituto procuratore dottor Walter Ignazitto.
IL MEDICO AL SERVIZIO DEI CLAN La figura criminale di Francesco Cellini era, tra l’altro, emersa nell’ambito: dell’operazione “Sansone” – condotta dal Comando Provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria – nel corso della quale il medesimo, all’epoca medico responsabile e legale rappresentante della cooperativa Anphora che gestiva la clinica “Nova Salus”, di Villa San Giovanni (RC), era risultato in rapporti sinallagmatici con Pasquale Bertuca, capo dell’omonima cosca di ‘ndrangheta, al quale aveva dato la propria disponibilità al ricovero, presso la predetta struttura sanitaria, di soggetti mafiosi a questi vicini, al fine di consentire l’accesso a trattamenti penitenziari meno afflittivi della detenzione carceraria; dell’operazione “Meta” – condotta dal ROS dei Carabinieri – nel cui ambito erano emersi i rapporti del Cellini con il boss calabro-milanese Giulio Giuseppe Lampada e con il politico Alberto Sarra, unitamente ai quali progettava la costruzione – mai avvenuta – di una clinica nella frazione di Gallico, all’interno di una proprietà dello stesso Lampada; di diversi procedimenti penali scaturite da e contestazioni fiscali/tributarie originati dagli esiti di plurime attività di verifica ai fini delle Imposte Dirette, svolte dalla Guardia di Finanza reggina, tra il 2002 e il 2011, nei confronti della citata cooperativa “Anphora”, da cui è emerso che il Cellini ha, nel tempo, fatto sistematico ricorso a molteplici condotte di evasione fiscale accompagnate da falso in bilancio e dall’emissione di fatture per operazioni inesistenti, in totale spregio della normativa fiscale, tributaria e antiriciclaggio, finalizzate al reimpiego di proventi illecitamente acquisiti. In tale contesto, si inseriscono anche le dichiarazioni rese da più collaboratori di giustizia – ed in particolare quelle fornite da ultimo da Giuseppe Liuzzo -, che certificano collegamenti tra Francesco Cellini e la ‘ndrangheta risalenti già ai primi anni novanta, allorquando il medico avrebbe effettuato prestazioni sanitarie agli allora latitanti Pasquale Tegano e Giovanni Tegano, nonché a favore di Vincenzo Zappia attinto da colpi d’arma da fuoco durante un agguato.
LE INDAGINI Alla luce di tali risultanze, la locale Dda delegava l’esecuzione di apposite indagini finalizzate all’accertamento della pericolosità sociale del Cellini nonché alla ricostruzione del patrimonio da questi accumulato, al fine di accertarne l’eventuale genesi illecita.
Le investigazioni a carattere economico/patrimoniali svolte hanno consentito di ricostruire il complesso dei beni di cui il Cellini e il suo nucleo familiare sono risultati poter disporre, direttamente o indirettamente – nell’ultimo trentennio – accertando la sproporzione esistente tra il profilo reddituale e quello patrimoniale, motivo per il quale, nel 2018, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, su richiesta della citata DDA, disponeva la misura cautelare del sequestro sull’ingente patrimonio illecitamente accumulato dal medico, costituito, tra l’altro dalle società “Anphora S.c.a.r.l.” (che gestiva la nota clinica “Nova Salus”), “Nuova Anphora s.r.l.” e “Nuova Salus s.r.l. in liquidazione”, operanti in Villa San Giovanni (RC) nel settore sanitario-riabilitativo, affidandone la gestione ad amministratori giudiziari. Nel dettaglio, nel corso degli accertamenti, il Nucleo PEF/G.I.C.O. aveva appurato come il Cellini, esclusivo dominus occulto delle predette società – nelle cui compagini figuravano, invece, terzi soggetti conviventi, ovvero legati da vincoli parentali o fiduciari – aveva impresso alla gestione una stabile connotazione clientelare, strumentale e condizionata alle volontà degli esponenti apicali della ‘ndrangheta reggina, tale che le società sono state, poi, ricondotte dal citato Tribunale nel genus delle “imprese mafiose” poiché fortemente caratterizzato dalla contiguità ‘ndranghetistica del proposto. Attraverso accertamenti bancari sulle movimentazioni di decine di conti corrente, i Finanzieri hanno rilevato, nel corso degli anni, l’utilizzo illecito e promiscuo, da parte del Cellini, di cospicue risorse finanziarie prelevate dalle casse sociali per essere reimpiegate, a fini personali – quali, ad esempio, l’acquisto di immobili – ovvero per sottrarli ai creditori.
I RISCONTRI Con riferimento alla liceità dei redditi prodotti dal dottor Cellini e dal relativo nucleo familiare, il G.I.C.O. ha, altresì, appurato come – a partire dall’anno 2000 – i redditi erogati, a favore del medico, dal Servizio Sanitario Nazionale, erano stati percepiti in costanza di una condizione di incompatibilità, in violazione dei particolari vincoli stabiliti dalla normativa di categoria pertanto, ai fini della ricostruzione della capacità economico-patrimoniale, erano da considerarsi frutto di illecito.
GLI ACCERTAMENTI SUL PATRIMONIO Gli ulteriori approfondimenti patrimoniali accertavano, inoltre: la riconducibilità indiretta al Cellini di ulteriori cespiti intestati a terzi che, pur costituitisi in giudizio, non hanno dimostrato l’estraneità al complessivo illecito “programma” del proposto; atti di donazione ai familiari conviventi, di cespiti che – ritenuti frutto di sottrazione di risorse dalle casse delle citate società – il Tribunale ha dichiarato nulli poiché preordinati all’elusione della misura di prevenzione patrimoniale. Da ultimo, a seguito dell’operato sequestro, il Cellini, esautorato dalla gestione della citata clinica, nel tentativo di mantenerne comunque il controllo, intimidiva i dipendenti collaborativi con l’Amministrazione Giudiziaria al fine di boicottarne la gestione, venendo pertanto deferito e rinviato a giudizio per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso.
LA CONFISCA DEI BENI Con l’odierno provvedimento, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, condividendo l’intera ricostruzione economico-patrimoniale e le argomentazioni formulate dai predetti Reparti, anche in sede di controdeduzioni alle memorie e perizie tecniche rassegnate dai collegi difensivi, ha ora disposto nei confronti di Francesco Cellini l’applicazione: della misura patrimoniale della confisca del patrimonio a questi direttamente e indirettamente riconducibile, stimato in circa 25 milioni di euro e costituito dall’intero compendio aziendale (comprensivo delle quote e di n. 13 immobili) delle società “Anphora Cooperativa Sociale a r.l.” (compresa la nota Clinica “Nova Salus”), “Nuova Anphora s.r.l.” e “Nova Salus s.r.l. in liquidazione” con sede a Villa San Giovanni (RC); da 2 beni fabbricati siti in Villa San Giovanni (RC); da n.1 sito in Scilla (RC), nonché da rapporti bancari, polizze assicurative e disponibilità finanziarie; della misura di prevenzione personale della Sorveglianza Speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per anni quattro, atteso che il proposto, attraverso svariate condotte perpetratesi senza soluzione di continuità dal 1988, è risultato aver usufruito dell’appoggio, della protezione, della sovvenzione economica e della sponsorizzazione delle cosche Tegano, Bertuca e Serraino, senza tralasciare relazioni più o meno occulte con appartenenti alla zona grigia, sfruttando le sue conoscenze nella società civile e negli ambienti politici; del divieto per il proposto e i conviventi – in via anticipata, come previsto dalla normativa antimafia – di ottenere licenze o autorizzazioni, concessioni, erogazioni, abilitazioni, iscrizioni in pubblici registri, nonché in elenchi di fornitori di beni e servizi riguardanti la Pubblica Amministrazione, ovvero la sospensione della relativa efficacia.

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