di Alessia Truzzolillo
CATANZARO Da 800 euro a 5000 euro al mese. Tutto è partito, nel 2016, dalla richiesta di un prestito di 1000 euro per il pagamento di un assegno, somma restituita dopo tre giorni. Poteva finire tutto lì ma gli usurai avevano fiutato l’odore della preda in difficoltà economica e avevano cominciato a proporre investimenti ai quali la vittima non era riuscita a sottrarsi, anche per il timore che gli aguzzini incutevano. Una vittima che per molto tempo aveva sottaciuto la propria condizione economica anche alla famiglia.
Prestito dopo prestito il tasso di interesse era aumentato e una gioielliera di Guardavalle si è trovata ben presto nella soffocante morsa dell’usura e dell’estorsione ad opera di due coniugi, Francesco Galati, 43enne, conosciuto come “il fascista”, e la moglie, Giuseppina Taverniti, 40enne. La coppia venerdì è stata tratta in arresto dai carabinieri di Soverato con l’accusa di usura, estorsione e tentata estorsione aggravate dal metodo mafioso.
L’uomo è stato condotto in carcere mentre la donna è finita ai domiciliari. Indagato per tentata estorsione è anche Angelo Gagliardi che in concorso con Galati e Taverniti avrebbe partecipato alle richieste estorsive per rilevare un mulino, attività del marito della gioielliera.
Il gip Gaia Sorrentino non rinviene gravità indiziaria nei confronti di Gagliardi, per il quale non accoglie la richiesta di misura cautelare, affermando che «gli elementi indiziari non raggiungono la soglia della gravità, per affermare che il Gagliardi, il quale non ha direttamente assistito alle richieste del Galati, abbia scientemente contribuito a intimidire ulteriormente i destinatari del messaggio minaccioso, materialmente veicolato dal solo Galati». Questo perché Gagliardi, durante gli incontri di Galati con il marito della gioielliera, è sempre rimasto sulla soglia del negozio per volontà di Galati. Una specie di “scorta” che obbedisce senza chiedere e senza sapere. La Dda di Catanzaro contesta ai reati il metodo mafioso, vista la forza di intimidazione la condizione di assoggettamento e di omertà che deriva dal vincolo associativo e perché gli indagati sono riconducibili alla cosca Gallace.
IL CAPPIO Davanti ai carabinieri si snoda il racconto di una trappola, un cappio che si stringe intorno al collo: «Nel maggio del 2016 – racconta la gioielliera –, trovandomi in difficoltà economiche, mi rivolgevo alla signora Taverniti Giuseppina moglie di Galati Francesco in quanto cliente abituale della mia gioielleria. Nella circostanza, chiedevo alla signora Taverniti un prestito di 1000 euro per il pagamento di un assegno, che mi consegnava dopo qualche giorno all’interno della mia gioielleria. La predetta somma la restituivo alla Taverniti dopo 3 giorni dalla consegna. Dopo qualche giorno dalla consegna, la signora Taverniti Giuseppina, approfittando della mia difficoltà economica, si ripresentava presso la mia gioielleria per degli acquisti e nella circostanza si proponeva di voler “investire” una somma contante di 20.000 euro in oro. Io ho acconsentito l’investimento in riferimento all’acquisto vero dell’oro. Tuttavia, nel momento in cui il giorno seguente si presentava il Galati Francesco, marito della Taverniti Giuseppina, presso la gioielleria, consegnandomi la somma di 19.200,00 euro, ho capito che era un prestito effettuato d’iniziativa dallo stesso Galati e dalla moglie, atteso che mi spiegava che gli 800 euro mancanti erano parte degli interessi. Nella circostanza, in virtù delle mie precarie condizioni economiche, ho acconsentito e, a quel punto il Galati mi spiegava come funzionava “il prestito”, precisando che il tasso di interessi usuale è del 10% circa, ma a me, in virtù della nostra “conoscenza”, avrebbe applicalo un interesse dell’8%. Così, conoscendo il soggetto ed i suoi trascorsi giudiziari, ho avuto paura di rispondergli di no». Ma la donna non riusciva sempre a onorare il debito, era in difficoltà economiche e così si era ritrovata costretta a chiedere nuovi prestiti. Il tasso di interesse criminale era aumentato esponenzialmente mentre una voragine nera si apriva sotto i piedi dell’intera famiglia. Inoltre, l’attività di indagine dei carabinieri ha messo in luce come spesso Giuseppina Taverniti si recasse nella gioielleria, scegliesse dei gioielli senza pagarli pretendendo comunque lo scontrino. L’attività di videosorveglianza messa in atto dai militari di Soverato ha captato le conversazioni di Giuseppina Taverniti e di Francesco Galati, sia nella gioielleria che nel mulino, e il loro interessamento nel rilevare l’attività del marito della gioielliera.
I GIOIELLI VENDUTI AL COMPRO ORO Per onorare i propri debiti – e sotto la minaccia che gli usurai avrebbero tagliato la testa al figlio – la donna è stata anche costretta a versare al Compro Oro di Catanzaro alcuni gioielli che la clientela aveva depositato in gioielleria, vista l’impellente necessità di liquidità.
A venire meno, col tempo, è stata la serenità di un’intera famiglia, compreso il figlio il quale, incaricato di consegnare il denaro da versare mensilmente, è stato raggiunto da uno schiaffo da parte di Galati il giorno in cui la somma che aveva portato non corrispondeva a quella pattuita. L’incubo ha preso piede nel 2016. Gli investigatori hanno calcolato che dal mese di giugno 2018 fino al marzo 2019 la gioielliera era riuscita a provvedere ai pagamenti per una somma contante di complessivi 46.000 euro. Quando la vittima ha cominciato a non reggere più il peso di quelle 5000 euro mensili – «non avevo più soldi per comprare da mangiare» – i due coniugi hanno minacciato di portare via l’attività del marito.
LA DENUNCIA Il 12 maggio 2019 la commerciante cede e denuncia tutto ai carabinieri. Il giorno prima si era presentato al mulino Angelo Gagliardi chiedendo di parlare con il figlio dei due commercianti. Doveva riferirgli di incontrare Galati. Ma il padre aveva opposto un netto rifiuto affermando di non voler coinvolgere il figlio in quella brutta storia. A quel punto Gagliardi era andato via per ritornare insieme a Galati il quale aveva dato al commerciante un termine di 15 giorni per avere una perizia sul valore del mulino. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La donna non ha retto quel peso, davanti ai carabinieri ha raccontato tutto e a conclusione delle dichiarazioni, ha riferito di «trovarsi in una condizione fisica, economica e psicologica tale da non potere provvedere elle normali attività e bisogni quotidiani, così da avere chiuso anche la gioielleria. Ciò dopo che i suoi parenti l’avevano trovata priva di sensi all’interno del negozio, in seguito a un malore». (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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