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«Scuola Digitale e studenti senza diritti»

Di Demetrio Naccari Carlizzi e Agata Quattrone

Pubblicato il: 08/05/2020 – 15:39
«Scuola Digitale e studenti senza diritti»

Fa riflettere molto amaramente l’intervista apparsa ieri su Open.online in cui Carmen Aiello, docente di un Istituto Comprensivo di Catanzaro, ha illustrato speranze e difficoltà della didattica a distanza ma soprattutto i diritti negati di alcuni bambini che non possono seguire le lezioni perché non hanno strumenti digitali adeguati. Il pudore dei piccoli studenti, che mascherano la deprivazione tecnologica e il disagio di alcuni genitori, che preferiscono non richiedere aiuto perché avvertono lo stigma della povertà, sono una denuncia assordante sulla improvvisazione delle politiche pubbliche adottate dal Governo e sulla ormai dilagante regionalizzazione dei diritti sociali nel nostro Paese. Non curarsi in maniera organica e strutturata della digitalizzazione in questi anni ha creato oggi, sotto emergenza Covid-19, esclusione e divari inaccettabili in quella che è la principale infrastruttura sociale del Paese.
Dimentichiamo per un attimo la leggerezza con cui il Ministero ha mandato allo sbaraglio istituti scolastici e docenti che, senza linee guida, hanno dovuto arrangiarsi da sé, con enormi sforzi e grande professionalità. Dalla scelta delle piattaforme (Whatsapp, Zoom, Meet e Classroom etc.) all’ assenza di digitalizzazione della didattica a distanza dove ognuno avrà sperimentato e si è arrangiato per la stampa delle schede, la scansione e l’upload sulle piattaforme.
Analizziamo invece le dichiarazioni della Ministra Azzolina che ha dichiarato che degli 85 mln di euro previsti nel decreto legge ‘Cura Italia’ del Governo “70 milioni saranno utilizzabili per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso gratuito, dispositivi digitali per la fruizione della didattica a distanza….distribuiti fra le scuole tenendo conto del numero totale di alunni dell’istituto (per il 30% del totale dell’importo), ma anche dell’indicatore Ocse ESCS (per il 70% del totale dell’importo), che consente di individuare le aree dove ci sono famiglie più bisognose e dove, soprattutto, sono meno diffuse le dotazioni digitali.….Abbiamo scelto un criterio che ci consentirà di raggiungere meglio le zone del Paese e le famiglie dove c’è maggiore necessità”. È un vero peccato costatare come, per fare un esempio a noi vicino, la Calabria abbia ottenuto soltanto il 4% delle risorse mentre la Lombardia il 14%. Ciò fa riflettere sull’efficacia dei criteri utilizzati (in particolare il secondo) dal Ministero per raggiungere “i meno abbienti”. Infatti l’indicatore Ocse ESCS (Economic, Social and Cultural Status) “definisce lo status sociale, economico e culturale delle famiglie degli studenti che partecipano alle prove Invalsi…..misura l’influenza del background, aiuta a comprendere meglio il contributo del sistema educativo ai risultati degli allievi” (Invalsiopen.it sito ufficiale). L’utilizzo di tale indicatore è quindi assolutamente singolare ed inappropriato se l’obiettivo era quello di dotare di un minimo di strumenti digitali (device e banda ultra larga) chi non era in possesso o non poteva dotarsene. Semplicemente perché l’ESCS è un macroindice che si compone di tre indicatori: 1) status occupazionale dei genitori; 2) livello di istruzione dei genitori; 3) possesso di alcuni beni materiali come variabili di prossimità di un contesto economico culturale favorevole all’apprendimento. Il citato sito ci informa che i dati vengono raccolti “attraverso il questionario studente somministrato ai ragazzi durante lo svolgimento delle prove Invalsi, ulteriori dati vengono invece forniti dalle segreterie scolastiche”!
Una mera raccolta di questionari, quindi, invece che la deliberazione di einaudiana memoria che si basa sull’aureo principio “conoscere per deliberare”.
Ma verificando l’esempio di calcolo offerto dal sito il macroindice Ocse ESCS appare subito in tutta la sua inappropriatezza per il caso specifico. Infatti, gli indicatori che lo compongono sembrano combinarsi con un peso differenziato. Il primo, l’indicatore PARED (livello di istruzione dei genitori) ha un peso decisivo rispetto agli altri due. L’indicatore HISEI (condizione occupazionale dei genitori) sembra avere, come l’indicatore HOMEPOS (possesso dei beni materiali), un peso marginale. Oltretutto quest’ultimo sul piano della dotazione digitale (internet e computer) vale appena 2/6 nel calcolo delle dotazioni poiché si tiene conto del possesso di enciclopedie (riferimento arcaico), scrivanie, una camera personale e un posto tranquillo per studiare. Quindi, per fare un esempio estremo ma indicativo, la famiglia di due genitori imprenditori milanesi, diplomati e che abitano in un appartamento medio grande in centro a Milano, in via della Spiga, cablato a fibra ottica verrebbe privilegiata rispetto ad una famiglia di laureati disoccupati calabresi che vivono in un appartamento grande in quel di Trunca (frazione di Reggio Calabria) non rifinito e dove non arriva nemmeno l’ADSL.
L’errore chiaramente non sta nell’ESCS che infatti è, come afferma il sito Invalsi, “l’indice socio-economico e culturale (che) ci permette di misurare il contributo della scuola al miglioramento dei ragazzi” bensì nel suo utilizzo nel caso in questione. Che senso ha avuto utilizzarlo come criterio di riparto dei fondi se il target dovevano essere le famiglie bisognose per la didattica a distanza? Infatti, usando il buon senso fai-da-te e la competenza, molti Dirigenti Scolastici hanno usato il criterio ISEE per distribuire i tablet acquistati con le risorse mal distribuite dal Governo. Due criteri, quello del Ministro e quello delle scuole basati su indicatori profondamente diversi. Qualcuno potrebbe maliziosamente ritenere voluto il mancato utilizzo dell’ISEE o dell’indice di povertà o di uno dei criteri Istat. Secondo l’Istat infatti al Sud 4 famiglie su 10 non hanno computer a casa. I risultati sarebbero stati certamente diversi. Se ne deduce che la rilevazione dei reali fabbisogni per garantire il livello essenziale del diritto all’istruzione, tutelato nella Costituzione, viene fatto su un indicatore distonico e fuorviante. Non è un caso che l’assessore all’istruzione di Reggio Calabria, Anna Nucera, citando i dati dell’Ufficio Scolastico (Gazzetta del Sud del 7 maggio) faccia emergere come soltanto il 70% degli studenti degli Istituti Comprensivi reggini partecipi alla didattica a distanza e la metà di questo rimanente 30% non possa farlo in quanto sprovvista degli strumenti digitali. Alla luce di queste evidenze è opportuno chiedere alla Ministra Azzolina un urgente intervento e, per i prossimi provvedimenti, maggiore attenzione alla costruzione delle soluzioni risparmiandoci spiegazioni celebrative.
Abbiamo ormai capito che nei fatti i servizi e i diritti, anche di rango costituzionale, sono diventati geografici, grazie alla sapiente manipolazione dei criteri di riparto delle risorse nazionali che invece dovrebbero garantire i livelli essenziali delle prestazioni. Sollecitiamo i nostri parlamentari, a cominciare da quelli di maggioranza, nel ricordo di Aldo Moro (cui tanti istituti come quello di Catanzaro sono intitolati), a difendere i diritti dei ragazzi meridionali indigenti che hanno diritto ad internet, per istruirsi ed avere un futuro.

*P4C-Prepare for Change

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