REGGIO CALABRIA «Questi atti di violenza vanno fermamente esecrati, condannati e, auspico, tempestivamente perseguiti e puniti da parte dell’autorità giudiziaria e dell’amministrazione penitenziaria. A fronte, per vero, dell’alto senso di responsabilità ed autocontrollo fino ad oggi tenuto dall’intera popolazione detenuta presso il carcere di Arghillà gli episodi di violenza posti in essere da un singolo detenuto non possono e non devono riverberarsi negativamente sul resto delle persone ristrette». Lo afferma in una nota il Garante regionale dei Diritti delle persone detenute Agostino Siviglia commentando l’accaduto della mattinata di questo 9 maggio (qui la notizia). «Ciò detto, tuttavia prosegue – non può non denunciarsi, ancora una volta, in particolare, la grave e persistente carenza di assistenza sanitaria e infermieristica presso il carcere di Arghillà, dovuta al mancato reclutamento delle 8 unità di infermieri previsti ed al mancato, concreto, incremento orario della specialistica psichiatrica e psicologica previsto per lo stesso istituto penitenziario. In effetti, nonostante un primo provvedimento dell’8 aprile ultimo scorso, da parte del Commissario regionale alla sanità, gen. Saverio Cotticelli che prevedeva l’assunzione di 8 unità di infermieri da destinare al carcere di Arghillà, ne sono stati assunti soltanto due e per di più un’infermiera è stata già trasferita ad altra sede ed un’altra infermiera presterà servizio solo per un mese. Inoltre, nonostante un ulteriore provvedimento dello scorso 28 aprile, sempre a firma del Commissario Cotticelli, che prevedeva l’incremento orario per lo psichiatra e lo psicologo che lavorano in carcere ad Arghillà, peraltro per un totale di 18 ore e non di 36 ore, come richiesto anche da questo Garante, e nonostante ci sia già una delibera in tal senso da parte della terna commissariale dell’Asp di Reggio Calabria, ancora, concretamente l’incremento orario non è stato effettuato. Insomma, si continua a non adempiere compiutamente a quanto richiesto e necessario, nonostante l’adozione dei formali provvedimenti amministrativi ed il perdurare della grave emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus che, evidentemente, esaspera maggiormente tutti coloro che quotidianamente svolgono il proprio servizio in carcere, con dovere e scrupolo, mettendo a rischio la propria salute e la stessa incolumità fisica. A questo si aggiunga che, peraltro, né i medici o i sanitari o gli agenti di polizia penitenziaria o i funzionari o i cappellani che lavorano in carcere ad Arghillà sono mai stati sottoposti a tampone per verificare un possibile contagio, nonostante le formali richieste effettuate in tal senso. In definitiva, tutte le gravi carenze relative al diritto alla salute in carcere sono scaricate sul senso del dovere e sulla autonoma professionalità del Direttore dell’istituto penitenziario e di tutto il personale penitenziario, educativo e sanitario che presta il proprio quotidiano servizio in trincea, senza le dovute e doverose tutele, finanche per la regolare corresponsione degli straordinari agli infermieri. Mi auguro davvero che, a questo punto, chi di dovere la smetta di tergiversare e si assuma la responsabilità dei propri compiti e delle proprie funzioni: non è ammissibile lasciare un solo medico a prestare il proprio servizio notturno in carcere per quasi 300 detenuti. La violenza – conclude Siviglia – va sempre esecrata e condannata, ma lo Stato di diritto va garantito e salvaguardato, ancor più nei confronti di chi lo Stato lo serve e di che lo Stato ha in custodia».
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