di Pablo Petrasso
CATANZARO «Emerge chiaramente l’illegittimità dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria». È tranciante il passaggio con il quale i giudici del Tar (Francesco Tallaro estensore, Giancarlo Pennetti presidente) decidono di accogliere il ricorso del governo contro le riaperture decise dalla presidente Jole Santelli e annullano l’ordinanza che le ha disposte. L’illegittimità è chiara perché «spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus Covid-19, mentre alle Regioni è dato intervenire» solo per alcuni aspetti. Il coordinamento spetta a Palazzo Chigi, mentre la Cittadella ha esondato dai proprio compiti.
«ISTRUTTORIA INSUFFICIENTE» Non vale neppure che la Regione fondi la propria deroga alla sospensione dell’attività di ristorazione «con il mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus Covid-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia». Questo perché «è ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate». È per questo che le restrizioni vengono rimosse «gradualmente», in modo «che si possa misurare, di volta in volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle variazioni nella misura delle interazioni sociali». Precauzione, dunque, innanzitutto: prima di agire bisogna avere un quadro il più possibile chiaro. «È chiaro – scrivono i giudici – che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non sussiste».
«NESSUNA CONSULTAZIONE» La bocciatura dell’ordinanza continua anche con l’analisi del terzo motivo di ricorso del governo. La Regione avrebbe dunque violato anche il «principio di leale collaborazione». Nel caso in specie, infatti, «non risulta che l’emanazione dell’ordinanza oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo. Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione». L’atto, dunque, va annullato «nella parte in cui, al suo punto 6, dispone che, a partire dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto» e compensa tra le parti le spese di lite.
«IL TAR HA COMPETENZA» Innanzitutto, la controversia non ha un «tono costituzionale, dunque il Tar di Catanzaro si considera «dotato di giurisdizione sul ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri» contro l’ordinanza Santelli, che dispone la parziale riapertura di bar, ristoranti e agriturismi. È caduta così la prima causa di opposizione all’atto con il quale il governo ha chiesto lo stop dell’ordinanza firmata dalla presidente della giunta regionale. Questo perché «si tratta di esercizio di potere amministrativo, sul quale il sindacato giurisdizionale è naturalmente attribuito al giudice della funzione pubblica, cioè il giudice amministrativo».
Di più: l’ordinanza poteva essere impugnata «in virtù delle funzioni ad essa attribuite con riferimento al rapporto tra il Governo e le Autonomie di cui la Repubblica si compone». In sintesi, spiegano i giudici del Tar, «la Presidenza del Consiglio dei Ministri costituisce il fulcro del necessario coordinamento dell’attività amministrativa posta in essere dallo Stato e dalle Autonomie di cui la Repubblica si compone. In altri termini, in capo ad essa si sintetizzano i vari interessi alla cura dei quali le amministrazioni pubbliche, statali, regionali e locali, sono preposte». Deve essere la Presidenza del Consiglio dei ministri ad «assicurare l’esercizio coerente e coordinato dei poteri amministrativi; cosicché è logica conseguenza ritenere che ad essa sia assegnato dall’ordinamento anche il potere di agire giudizialmente, in alternativa all’esercizio delle funzioni di controllo e sostitutive previsti dalla Costituzione, laddove l’esercizio dei poteri amministrativi avvenga in maniera disarmonica o addirittura antitetica». E l’ordinanza della Regione andava certamente in senso contrario rispetto alle disposizioni del governo.
La Regione, da parte sua, sosteneva che il provvedimento non fosse in contrasto con il Dpcm firmato dal premier Conte il 26 aprile scorso perché avrebbe costituito una «mera specificazione» delle prescrizioni contenute nel decreto (e per questa ragione non ci sarebbe stato interesse ad agire da parte del governo). Non è così per i giudici amministrativi, per i quali «il provvedimento impugnato ammette una nuova e diversa eccezione alla sospensione delle attività dei servizi di ristorazione. Dunque, l’ordinanza impugnata ha un contenuto parzialmente difforme dal Dpcm, rispetto al quale si pone in posizione di antinomia».
I MOTIVI DEL RICORSO Il Tar fa una premessa: il suo operato è meramente tecnico, non vuole cioè sostituirsi alle amministrazioni né stabilire quale contenuto debbano avere i provvedimenti amministrativi. L’unico scopo è quello di «verificare la conformità del provvedimento oggetto di attenzione al modello legale».
LA LIBERTÀ D’IMPRESA E LA SICUREZZA PUBBLICA I magistrati ritengono che «non ci siano gli estremi per sospendere il giudizio e sollevare d’innanzi alla Corte costituzionale questione di legittimità del decreto legge» numero 19 del 2020 che fissa i paletti per l’effettuazione delle attività di ristorazione mentre è in corso l’emergenza Coronavirus. Questi paletti «possono prevedere, tra l’altro, la limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti». Uno dei nodi della questione, in punta di diritto, verteva sulla possibilità del premier di limitare le libertà di iniziativa economica previste dalla Costituzione all’articolo 41. Contrasto superato, per i giudici, dalla circostanza che questa libertà «non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte anche con un atto di natura amministrativa». Anche alla luce di questa osservazione, «le questioni di legittimità costituzionale
del decreto legge n. 19 del 2020 sollevate appaiono manifestamente infondate, onde non occorre rimetterle alla Corte costituzionale». (p.petrasso@corrierecal.it)
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