L’ordinanza della presidente Jole Santelli, quella assorta agli onori della cronaca per avere riaperto anzitempo bar, pub, ristoranti e pizzerie, è stata annullata dal Tar della Calabria con una sentenza (n. 841) depositata lo scorso 9 maggio.
Le ovvie ricadute
Un decisum che assumerà un certo peso, sia sul piano politico che su quello giurisprudenziale. Ciò perché costituirà: per un verso, un ammonimento per i presidenti di Regione e Provincia autonoma a non contrapporre la loro potestas a quella esercitata dal Governo; per l’altro, un precedente cui gli altri giudici amministrativi chiamati a decidere in analoga materia dovranno verosimilmente attenersi ovvero tenerne comunque conto. Un’attenzione particolare sarà rivolta alla decisione che assumerà la Consulta chiamata a valutare, su ricorso dell’Esecutivo nazionale, la conformità ai principi costituzionali della legge appena approvata dalla Provincia autonoma di Bolzano intesa a favorire l’apertura di tutte le attività produttive ivi operanti.
Una decisione impeccabile, ma …..
La sentenza calabrese, seppure emessa con la procedura prevista per forma semplificata, si compone di un nutrito numero di pagine (22) ed è enunciativa di motivazioni apprezzabili, nella maggior parte condivisibili. Tuttavia, nella parte (punto 10) in cui tratta le «questioni pregiudiziali e preliminari» riporta una affermazione che sollecita una considerazione non di poco conto.
Con il ritenere «innegabile che il provvedimento emanato dal Presidente della Regione Calabria abbia natura di ordinanza contingibile e urgente in materia di igiene e sanità, nel quadro della disciplina dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978» il Tar dà per scontato quanto è consolidato nella opinione generale. Ovverosia, che tutte le diverse ordinanze emanate dai diversi presidenti delle Regioni in materia di contenimento epidemico rappresentino provvedimenti emergenziali, tali da essere configurati come atti monocratici da adottarsi nei casi di estrema necessità e urgenza, così configurati a mente dell’att. 32 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale.
Ordinanze adottate quasi tutte au contraire rispetto al precetto che le prevede
Un assunto, quello maturato dal giudice amministrativo calabrese nella acritica scia del comune convincimento, che non mi trova d’accordo. Ciò in relazione alle ordinanze dei presidenti delle Regioni tendenti a dilatare – così come faceva quella annullata dal Tar calabrese – le cautele fissate negli undici DPCM adottati dal presidente Conte. Un convincimento basato, nel caso della maggior parte delle ordinanze esaminate, sulla inesistenza degli ineludibili requisiti sanciti dall’art. 32 della legge 23 dicembre 1978 n, 833, consistenti nella improrogabile esigenza di restringere l’esercizio delle attività dei cittadini e delle imprese per conseguire una maggiore tutela sociale nei confronti del Covid-19. Un obiettivo che è l’esatto contrario, quello rilevato nelle dette ordinanze regionali, atteso il loro più che evidente effetto è rappresentato dal desiderio, ove mai, di allargare le maglie dei divieti posti dal Governo con i successivi DPCM, adottati a mente dell’art. 3 del D.L. 6/2020, convertito nella legge 5 marzo 2020 n. 13, abrogato dal successivo D.L. 19/2020 che ne ha novellato la disciplina agli artt. 2 e 3. Un contenuto che ha fatto venire meno, ex se, il requisito della contingibilità e urgenza pretese per tutelare preventivamente il diffondersi, nei casi di specie, del coronavirus. E ancora. Che ha avuto modo di proporsi come provvedimento potenzialmente suscettibile di produrre l’esatto contrario, nell’autorizzare comportamenti sociali che potrebbero favorire la ripresa della diffusione epidemica. Insomma, un uso e abuso di ordinanze presidenziali regionali, che potrebbero rendersi direttamente produttive di danni ingiusti alle persone e alle cose certamente risarcibili
Del resto, nella suddetta fonte legislativa (D.L. 19/2020), all’art. 3, è previsto il ricorso straordinario a tali strumenti amministrativi dei Presidenti delle Regioni solo quale atto necessario e urgente – nelle more dell’adozione dei previsti DPCM cui il legislatore ha «delegato» una funzione normativa – per imporre indispensabili comportamenti sociali ulteriormente restrittivi. Non già per favorire misure di alleggerimento delle tutele disposte dal Governo per evitare la diffusione del Covid-19.
Nella maggior parte delle ordinanze adottate dai Presidenti delle Regioni, quali provvedimenti dettati – per l’appunto – dalla straordinaria urgenza, non si riscontrano affatto i casi eccezionali di particolare gravità per la salute pubblica, tali da derogare all’ordinamento giuridico comunque formatosi. Dispongono, infatti, tutt’altro.
*docente Unical
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