REGGIO CALABRIA Un titolo inopportuno per un approccio sbagliato alla Calabria. Tutt’altro: un contributo culturale sul fenomeno della ‘ndrangheta, senza l’intento di criminalizzare la regione. Il giornalista Mimmo Nunnari e l’ex prefetto di Reggio Calabria dialogano sulle colonne del Corriere della Calabria. Lo spunto è il libro pubblicato dal dirigente del ministero dell’Interno. Questi le loro opinioni.
di Mimmo Nunnari
L’ex prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari ha scritto un libro che ha per titolo “Prefetto in terra di ‘ndrangheta”. Bisogna ammettere che Sua Eccellenza (sono abituato a chiamare così i prefetti) non ha molta fantasia, perché Calabria “terra di ‘ndrangheta” è un’espressione ormai inflazionata dalla narrativa mediatica nazionale e dalle peggiori cronache.
Comunque è un titolo “infelice”. Certo non potevamo pretendere che il prefetto avesse la stessa eleganza letteraria di Corrado Alvaro quando scrive: «Ho sentito dire da molti stranieri che [la Calabria] è una delle terre più belle d’Italia. Io non lo so, perché l’amo». Ma questo è un altro discorso. Di sicuro c’è che “terra di ‘ndrangheta” è la terra che il prefetto ci ha lasciato dopo anni di impegno nelle prefetture di Vibo Valentia e Reggio Calabria.
Nel titolo del libro, la parola “’ndrangheta” funziona come termine qualificativo; indica cioè le “qualità” del territorio [la Calabria]. Immagino che se un giorno il prefetto sarà rappresentante del Governo in Campania scriverà “Prefetto in terra di camorra”, se in Sicilia “Prefetto in terra di Cosa Nostra” e se in Puglia (sua regione) “Prefetto in terra di Sacra Corona Unita”.
Non leggerò questo libro e non lo consiglio, perché già il titolo è esplicativo e nuoce, soprattutto, ai rappresentanti del Governo che non riescono a dare risposte a cittadini che vorrebbero capire perche sono considerati dallo Stato di serie “inferiore”. Dire “terra di ‘ndrangheta”, dopo un secolo e mezzo dall’Unità nazionale significa che lo Stato ha un problema; e cioè che l’Autorità statale non sa, non riesce, o non vuole far fronte pienamente ai propri compiti; lasciando ad un manipolo di rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura il compito di “sopravvivere”. Nel senso che uno Stato che “non libera” un territorio dal male assoluto che l’affligge è solo “occhiuto”, ma non “governante”; lascia i cittadini col senso di colpa di appartenere a terre “appestate”, senza che abbiano stessi diritti e opportunità dei cittadini di altri territori, diciamo più fortunati, o meglio governati. Li lascia abbandonati in “terre da sacrificare” per consentire lo sviluppo e il benessere di altre aree del Paese.
È come se un alunno delle elementari al primo giorno di scuola viene messo in punizione dietro la lavagna e poi cresce con un senso di colpa senza sapere qual è la sua colpa. Ecco: con quel titolo il prefetto ha messo in punizione la Calabria che non ha colpe per essere dominata dalla criminalità organizzata. Con le parole bisogna stare attenti e maneggiarle bene: Calabria “terra di ‘ndrangheta” è un impiego lessicale offensivo e rischia di rafforzare (non sono le intenzioni del prefetto) l’alibi di una Calabria mafiosa per non fare, non agire, non ricomporre la frattura nord sud, calpestare l’orgoglio e la correttezza civile di cittadini (la stragrande maggioranza) che della ndrangheta sono vittime. No signor prefetto, la Calabria non è “Terra di ndrangheta” come c’è scritto nel titolo del suo libro. E’ una regione dove c’è la ndrangheta e lo Stato, i prefetti, lo sanno.
di Michele Di Bari
Gentile Direttore, innanzitutto La ringrazio anticipatamente per l’ospitalità, ove lo ritenga, di riportare sul Suo giornale on line “Il Corriere della Calabria“ un mio pensiero sul contributo di Mimmo Nunnari “Prefetti, ‘ndrangheta e
Stato“.
Intanto, sono grato per la schiettezza e per la lucida analisi del dott. Mimmo Nunnari che critica aspramente il titolo della mia pubblicazione.
Nel merito, per spirito di verità, posso soltanto affermare che il mio vuole essere un contributo culturale sul fenomeno della ‘ndrangheta, lungi dall’intento di criminalizzare una terra che ho amato fin dal primo giorno in cui arrivai in Calabria ben otto anni fa.
Anzi, il mio è un orizzonte su cui si situa uno sconfinato atto di amore verso una comunità e una terra meravigliosa che produce un’immagine positiva per gli sforzi e per l’impegno che profonde.
Il titolo del libro, quand’anche non apprezzato è frutto, come noto, di una ponderazione tra l’autore e i curatori, che, in effetti, potrebbe prestarsi ad un equivoco in chi non ha avuto la pazienza di leggerlo.
I contenuti della pubblicazione, che si fregia tra l’altro della prefazione del Procuratore Nicola Gratteri, vogliono essere un approfondimento storico del fenomeno ‘ndranghestista con elementi conoscitivi inquadrabili nella realtà del meridione d’Italia e dell’amata regione Calabria.
Ancora grazie.
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