ROMA La Regione poteva bloccare Grassettopoli. E, nel farlo, non è andata oltre le proprie prerogative né ha invaso il campo del Comune di Caraffa, che avrebbe voluto la nascita di un maxi insediamento abitativo – per molti una colata di cemento – tra le colline del Catanzarese.
La parola fine arriva dal Consiglio di Stato. Che, nel merito, accoglie il ricorso della Regione contro la sentenza del Tar che aveva ridato speranza all’amministrazione comunale. Per Tribunale amministrativo regionale «spettava al solo Comune di Caraffa la determinazione di bilanciare i vari interessi in conflitto, fermo restando che l’esecuzione delle opere a valle dell’approvazione del Piano Integrato è assoggettata alla disciplina posta a tutela dell’ambiente». I giudici di Catanzaro avevano inoltre evidenziato che «alla regione Calabria, una volta adottato il parere motivato che metteva in evidenza numerose criticità ambientali del progetto, suggerendone la rilocalizzazione, non era consentito, sulla base dei medesimi elementi fattuali presi in considerazione nel parere motivato e in ragione delle criticità già messe in evidenza, intervenire nuovamente nella procedura mediante l’adozione del decreto del Dirigente Generale del Dipartimento Ambiente e Territorio della Regione Calabria del 17 maggio 2018, n. 4772, concludendo, in contrasto con le determinazioni del Comune di Caraffa, nel senso dell’incompatibilità ambientale del progetto».
Per il Consiglio di Stato (che aveva già fermato il progetto) l’appello proposto dalla Regione Calabria è fondato sotto ogni aspetto. Il Tar, nell’accogliere il ricorso del Comune, aveva osservato che, dopo aver espresso il parere con il quale bocciava l’intervento, «all’amministrazione regionale non era consentito, sulla base dei medesimi elementi fattuali presi in considerazione nel parere motivato e in ragione delle criticità già messe in evidenza, intervenire nuovamente nella procedura, concludendo, in contrasto con le determinazioni del Comune di Caraffa, nel senso dell’incompatibilità ambientale del progetto. Facendo così – sono sempre motivazioni del Tar –, l’amministrazione regionale [ha] ecceduto rispetto alle finzioni attribuitele dalla legge e ha esercitato poteri di surroga dell’amministrazione comunale». Per la Regione «in in questo modo il Tar avrebbe quanto meno implicitamente negato la natura vincolante del parere motivato e precluso alla autorità competente di esercitare il monitoraggio sulle attuazione delle misure previste nello stesso parere». Motivo anch’esso fondato per i giudici di secondo grado. «Preso atto che il Comune di Caraffa non intendeva procedere alla diversa localizzazione dell’intervento – si legge nella sentenza –, come richiesto dal parere motivato, la Regione Calabria ha correttamente agito nell’esercizio del potere di monitoraggio delle misure di mitigazione prescritte (…), tanto più che tale potere non è in alcun modo tipizzato dalla direttiva europea e dalla normativa nazionale di recepimento e può pertanto manifestarsi anche nelle forme proprie dell’autotutela. Peraltro, a fronte degli ulteriori elementi istruttori esibiti dal Comune per confutare la necessità della scelta localizzativa indicata dal parere motivato, nessuna norma di legge precludeva alla Regione di rideterminarsi nuovamente: risponde invece ai principi generali sulla autotutela amministrativa la possibilità per l’organo di riesaminare il problema amministrativo mediante l’adozione di un provvedimento espresso di conferma o di revoca, soprattutto in presenza di elementi istruttori integrativi sopravvenuti e comunque di un piano approvato prima ed in assenza della Vas, proprio al fine di evitare il possibile vulnus all’interesse ambientale».
In sostanza, il provvedimento della Regione non è «una indebita
surroga del potere della autorità procedente, quanto piuttosto una modalità di esercizio del potere di controllo connesso all’attività di monitoraggio, avendo la Regione accertato, prima della attuazione del piano, la mancata applicazione delle misure mitigative imposte nel 2017, confermando, mediante provvedimento espresso, la necessità della rilocalizzazione al fine di evitare pregiudizi all’interesse ambientale in presenza di un piano approvato in assenza della preventiva Vas». La Cittadella, in sostanza, ha semplicemente esercitato i propri poteri, tra i quale c’è quello «di controllo correlato al monitoraggio da svolgere fino alla fase di attuazione del piano».
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