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«Sanità con finanziamento (già) differenziato»

di Corrado Edoardo Mollica*

Pubblicato il: 13/05/2020 – 10:19
«Sanità con finanziamento (già) differenziato»

L’emergenza coronavirus riporta prepotentemente il tema del finanziamento della sanità in Italia che, impostato sul federalismo fiscale, è (già) differenziato e territorialmente iniquo.
Il Servizio sanitario nazionale (Ssn), istituito con la L.833/78 per una sanità come bene universalmente fruibile e bene pubblico essenziale, è passato nel corso degli anni da un finanziamento basato, esclusivamente, sul bilancio dello Stato, ad una organizzazione e gestione federale della sanità, a pieno titolo il banco di prova del federalismo fiscale (dal Decreto Lgs.n.56/2000 all’epocale riforma del titolo V della Costituzione del 2001, fino alla Legge. n.42/2009 (Calderoli)) con un finanziamento basato (principalmente) sui tributi propri delle Regioni (Irap e addizionale regionale Irpef), entrate proprie degli enti e sul bilancio dello Stato, quale misura perequativa, con la compartecipazione all’Iva, accise sui carburanti e il Fondo sanitario nazionale (Fsn).
Pertanto è stabilito per legge uno squilibrio di base, da una parte le Regioni, i cui residenti (contribuenti privati e società) hanno una più alta capacità reddituale, che con le entrate regionali (tributi propri) acquisiscono ingenti risorse per il (proprio) servizio sanitario regionale e dall’altra parte le Regioni con minori entrate proprie.
Il fabbisogno sanitario è finanziato, anche, dal Fsn, a cui accedono tutte le Regioni, proprio per riequilibrare le differenze di gettito regionale.
E invece (pure) la ripartizione del Fondo sanitario nazionale è territorialmente iniqua, per precise scelte politico-legislative sulla determinazione dei criteri per il riparto, come la quota d’incidenza della spesa storica, (dalla Relazione della Corte dei Conti al Parlamento sull’attuazione del federalismo fiscale “L’insieme di tali fattori crea una situazione sperequata, a svantaggio delle zone più deboli del Paese, che deve essere corretta attraverso un efficiente impiego del sistema perequativo”).
I dati rivelano che, dal 2012 al 2017 (con una unica “cassa” pubblica), Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto per la sanità quasi un miliardo di euro in più di risorse dal bilancio nazionale rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.
Una disuguaglianza che aumenta negli anni se, rispetto al 2012, nel 2017 al Nord d’Italia arrivano 1,629 miliardi in più di risorse pubbliche e al Sud (soltanto) 685 milioni, dalla relazione della Corte dei Conti “Nel 2017 con qualche lieve variazione rispetto agli anni dal 2012 al 2016, il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è assorbito dalle Regioni del Nord, il 20% dalle Regioni del Centro, il 23% da quelle del Sud, il 15% dalle Autonomie speciali».
Se nel corso degli anni una certa “narrazione” ha “indotto” i meridionali d’Italia a pensare di avere (finanche) più risorse pubbliche rispetto al Nord d’Italia ma male utilizzate per gli “sprechi”, il coronavirus ha messo in risalto che la “normalità” in Italia è una sanità regionale con un (già) differenziato finanziamento, basato sul federalismo fiscale, tra Nord e Sud d’Italia, e che i cosiddetti “sprechi” sono fenomeni presenti a tutte le latitudini ma non si è mai visto in nessun Stato che per questi comportamenti, singoli o di gruppo, tutti i cittadini e il territorio dove risiedono hanno o possono subire una riduzione delle risorse pubbliche a favore di altri territori, come, fosse mai stato costituzionalmente previsto in Italia, non è mai avvenuto nel Nord d’Italia, nonostante la cronaca.
Minori finanziamenti pubblici alla sanità nel Sud d’Italia (p.es. nel 2017 spesa pubblica pro-capite € 1.729 in Campania e € 1.896 in Veneto), hanno comportato per tutti i cittadini residenti vedersi erogare servizi meno efficienti (in media, 12,1 dipendenti nella Sanità ogni mille abitanti nel Nord d’Italia contro i 9,2 al Sud, p.es. in Veneto, quasi un milione di abitanti in meno, sono impiegati nel settore sanitario 16mila dipendenti in più della Campania), meno strutture (1 posto di terapia intensiva ogni 11.000 abitanti al Nord d’Italia e 1 ogni 14.000 abitanti nel Sud – 791 posti letto al Nord d’Italia e 363 posti al Sud su 100.000 abitanti), attrezzature, strumentazioni e macchinari inferiori sia in numero che per qualità con, di conseguenza, il fenomeno della mobilità sanitaria verso il Nord d’Italia, determinando un ulteriore guadagno per il Settentrione (nel 2017 oltre 4,6 miliardi di euro) (Relazione della Corte dei Conti al Parlamento sull’attuazione del federalismo fiscale).
Inevitabilmente i recenti (desolanti) dati dell’Istat, sulle diseguaglianze regionali nella speranza di vita, certificano che in media l’aspettativa di vita alla nascita può arrivare a + 4 anni per le donne e + 6,1 anni per gli uomini nella Provincia autonoma di Bolzano (con le maggiori risorse pubbliche) rispetto alla Campania, e, inoltre, emerge che in Italia per la salute le differenze dovute a variabili socio-economiche sono superate da quelle territoriali.
L’emergenza sanitaria ha, anche, mostrato le evidenti criticità del modello Sanità nelle, inondate di risorse pubbliche, regioni del Nord d’Italia, in particolare la Lombardia, gli evidenti pericoli di un Servizio Sanitario (Nazionale?) che diviso in venti sistemi regionali indipendenti con venti strategie sanitarie diverse può portare al caos, e che, in uno Stato non federale, le decisioni prese per un territorio comportano, automaticamente, conseguenze per tutti i cittadini della nazione.
In Italia (non in attuazione dell’art. 32 della Costituzione “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”) la pandemia da coronavirus fa riscoprire che per legge il diritto alla salute non è a prescindere dalla residenza e dalla capacità fiscale, che il Servizio sanitario è Nazionale ma, per legge, i cittadini di alcune Regioni hanno più risorse pubbliche e che in Italia un principio cardine dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): l’equità nel finanziamento del sistema (Fair financing), non si applica, sempre per legge.
La questione è che in Italia tutti i cittadini devono avere, proprio quale interesse a stare nella stessa cornice istituzionale, un Servizio sanitario nazionale, strutture e servizi pubblici, con pari finanziamento senza distinzione sociale, economico/tributaria e territoriale.
*Osservatorio sul Federalismo fiscale – Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

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