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Il Consiglio di Stato conferma lo scioglimento del Comune di Scilla, Ciccone: «Legge iniqua, mi candido»

Respinto l’appello contro la decisione del Tar. Sull’incandidabilità l’ex sindaco ha vinto in Tribunale e Corte d’Appello: «Basta un sospetto per sciogliere un’amministrazione»

Pubblicato il: 16/05/2020 – 8:06
Il Consiglio di Stato conferma lo scioglimento del Comune di Scilla, Ciccone: «Legge iniqua, mi candido»

di Fabio Papalia
SCILLA «La legge è iniqua, basta un sospetto per sciogliere un’amministrazione e mettere alla berlina un sindaco». Ci aveva quasi sperato, Pasqualino Ciccone, dopo avere incassato una vittoria in Tribunale e in Corte d’Appello, chiamati a decidere sulla sua incandidabilità a seguito dello scioglimento del Comune di Scilla, sperava di riuscire a vincere anche l’ultimo ricorso, invece il Consiglio di Stato, Franco Frattini presidente, con sentenza pubblicata due giorni fa, ha confermato la sentenza del Tar Lazio che ha ritenuto la legittimità dello scioglimento del Consiglio comunale.
Ciccone è stato eletto sindaco (già in passato era stato primo cittadino) alle elezioni del 31 maggio 2015 con la lista civica “Noi per Scilla”, appoggiata dal Partito Democratico. Dopo due anni, nel giugno 2017, arrivò la commissione d’accesso mandata dal prefetto di Reggio Calabria a seguito di accertamenti svolti dalla locale Compagnia dei Carabinieri, in cui sarebbero emersi possibili legami tra gli esponenti dell’amministrazione locale e soggetti riconducibili alla criminalità organizzata. Dagli esiti della commissione d’accesso è emersa l’esistenza di collegamenti diretti e indiretti degli organi elettivi con le consorterie radicate nel territorio e forme di condizionamento dei primi. Sulla base della relazione del prefetto, del gennaio 2018, il 21 marzo 2018 il Consiglio dei ministri ha deliberato lo scioglimento del Consiglio comunale. Sindaco, vicesindaco e alcuni tra assessori e consiglieri hanno fatto ricorso al Tar del Lazio contro lo scioglimento. Il Tar con sentenza del 28 maggio 2018 ha respinto il ricorso. Nel frattempo il 28 dicembre dello stesso anno il Tribunale di Reggio Calabria ha rigettato la domanda di incandidabilità a carico di Ciccone.
Anche la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 22 ottobre 2019, ha rigettato il reclamo proposto dal ministero dell’Interno sulla sua incandidabilità, confermando così quanto già stabilito dal Tribunale di Reggio Calabria. «E poiché sono stato ritenuto l’unico responsabile dello scioglimento tanto che solo nei miei confronti era stata chiesta l’incandidabilità, è ovvio – scriveva quel giorno su facebook Ciccone – che questa pronuncia di assoluta mancanza di colpa a me imputabile e di assoluta estraneità ad ogni forma di collegamento con la criminalità organizzata mi riempie di gioia».
LE FREQUENTAZIONI DEL SINDACO Sperava in una gioia anche dal Consiglio di Stato e invece la sentenza è stata una doccia fredda. I giudici erano chiamati a pronunciarsi dai ricorrenti su tre distinti motivi. Nel primo si contestava che il Tar avesse erroneamente valutato «la sussistenza degli elementi giustificativi della misura contestata, con particolare riferimento ai rapporti e alle frequentazioni del sindaco con la criminalità organizzata».
«Inammissibile per mancanza di decisività», così viene depennato un eventuale errore di attribuzione di un soprannome in una intercettazione ambientale, perché per i giudici del Consiglio di Stato «si può pienamente prescindere” in quanto “marginale» nella motivazione del Tar e «nulla toglie o aggiunge alla gravità del quadro indiziario che connota e fonda lo scioglimento del Consiglio comunale di Scilla».
Non convince i giudici del Consiglio di Stato neanche la restante parte, sulle frequentazioni del sindaco che, sostenevano gli appellanti, «sarebbe stato visto colloquiare in 27 anni “solo” con 6 persone controindicate”. «Non si può condividere la lettura riduttivistica propugnata dagli appellanti, quasi sia normale e, per così dire, irrilevante ai fini antimafia che un soggetto, esponente della politica locale» – e definito «figura carismatica della politica” nella relazione della Commissione d’accesso – “venga trovato in compagnia di diversi soggetti legati alla criminalità organizzata e, con uno in particolare, per ben quattro volte».
Ma c’è di più, il Consiglio di Stato suppone che quella tesi possa avere una spiegazione diametralmente opposta e afferma che: «L’argomento suggestivo, secondo cui la frequenza di tali incontri dovrebbe essere contestualizzata e “spalmata” su un lasso temporale alquanto esteso (27 anni), può e deve essere rovesciato perché, diversamente da quanto assumono gli appellanti secondo una tesi la cui fallacia è evidente, se un soggetto in tale arco temporale così lungo è stato trovato, si badi, nel corso di solo casuali, sporadici, controlli, per sei volte in compagnia di ben quattro diversi soggetti controindicati, vien fatto di supporre che un’attività di monitoraggio e controllo ben più costante e mirata avrebbe potuto disvelare una serie di frequentazioni assai più estesa in un contesto locale assai ristretto, dove ben difficilmente si può ignorare la caratura criminale di certuni interlocutori o conoscenti e accompagnarsi ad essi implica, spesso, una precisa scelta o comunque l’assenza di una necessaria presa di distanza o, peggio, la volontà del “politico locale” di ostentare frequentazioni e “coperture” che lo potrebbero forse “rafforzare” agli occhi di certa parte dell’opinione pubblica, sensibile, soggetta o costretta alla “influenza” delle cosche locali. Tra l’altro – aggiunge – in un’occasione il sindaco è stato trovato in compagnia di un elemento di vertice dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta».
GLI ERRORI NELLA RELAZIONE Nel secondo punto del ricorso venivano contestati diversi elementi posti a fondamento della valutazione prefettizia e della relazione del Ministero. Si tratta del campo di calcio, che non sarebbe stato affidato a un’associazione sportiva tra i cui dirigenti c’era un personaggio legato da vincoli di parentela con esponenti di spicco della criminalità organizzata, bensì era stato concesso in comodato d’uso gratuito alla parrocchia fin dal 2010 e che l’associazione sportiva era stata creata dopo l’accesso ispettivo; e ancora il piano spiaggia, che per la Prefettura dopo 2 anni era ancora in alto mare, mentre secondo l’amministrazione sciolta le attività finalizzate alla sua redazione erano a buon punto; quanto al contesto territoriale portando ad esempio un Comune attiguo in cui la commissione d’accesso aveva portato all’archiviazione si sosteneva che «il pericolo infiltrativo della mafia in tale zona non è così forte», infine quanto ai sottoscrittori di lista ritenuti controindicati si contestava l’esiguità del dato numerico, quelli controindicati erano 9 su 109, per potersi parlare di un elemento significativo di contiguità mafiosa.
LE BACCHETTATE DEI GIUDICI Il Consiglio di Stato non ha condiviso nessuno di questi motivi, e li ha smontati punto per punto. «L’affidamento al circolo parrocchiale è solo formale, hanno scritto in sentenza i giudici – mentre di fatto il campo sportivo è utilizzato anche da un’associazione sportiva controllata da soggetti che, per frequentazioni o parentele, sono affiliati o riconducibili ad esponenti di spicco della locale criminalità organizzata, elemento, questo, che l’amministrazione comunale non poteva e non doveva certo ignorare».
Un piano spiaggia scritto sulla sabbia secondo i giudici, se «a distanza di oltre due anni dalle elezioni il piano spiaggia, di così strategica importanza in un centro balneare come Scilla, era ben lungi dall’essere approvato». Anche l’archiviazione per il comune attiguo è «del tutto irrilevante per ritenere il contesto territoriale esente dalle infiltrazioni mafiose, capillari sul territorio, come è risultato dalle stesse operazioni di polizia giudiziaria rammentate dagli stessi appellanti”, così come è stato giudicato che «la sottoscrizione di una piccola lista in Comuni con pochi abitanti da parte di diversi soggetti controindicati, se non può costituire ex se prova di condizionamento mafioso, non è certo irrilevante».
LE CRITICHE AL TAR Nel terzo punto, infine, l’amministrazione sciolta criticava la valutazione del Tar su quattro elementi: l’affidamento di lavori pubblici a imprese solo successivamente risultate infiltrate ma che erano in regola al momento degli affidamenti diretti, tutti sotto soglia o per importi irrisori; il contrasto all’abusivismo edilizio, nonostante la carenza di vigili urbani, senza alcun atteggiamento di lassismo o di compiacenza; concessioni demaniali a soggetti controindicati, non di rilascio si sarebbe trattato ma di proroghe di talune concessioni scadute a soggetti non pregiudicati; infine la riscossione dei tributi locali, respingendo le accuse di inerzia e malamministrazione.
I “NO” DEL CONSIGLIO DI STATO Anche in questo caso nessun argomento convince il Consiglio di Stato, che quanto ai lavori pubblici osserva che non vale a ridurre la portata del fatto anche il caso in cui l’interdittiva sia stata adottata nel marzo 2017 «atteso che si tratta di provvedimento che, per sua natura, si fonda sull’analisi di fatti, circostanze, frequentazioni e interessenze in affari che si svolgono nell’arco di parecchi anni, spesso di decenni, e che è ragionevole ritenere siano noti alla collettività, specie in realtà molto piccole come quella di Scilla». «Ripetuti affidamenti diretti, in economia o in somma urgenza – scrivono i giudici – costituiscono un dato anomalo, atteso che affidamenti di valore esiguo, qualora ripetuti, lasciano ipotizzare che tale modalità sia stata scelta per favorire l’impresa che fa capo alla famiglia i cui componenti sono e sono stati a vario titolo interessati da indagini e segnalazioni e alcuni condannati anche per reati di associazione mafiosa». «L’amministrazione comunale – sostengono i giudici non può sostenere di non conoscere – la situazione infiltrativa di molte delle società successivamente interdette».
LA SENTENZA «Dal quadro sin qui delineato – conclude il Consiglio di Stato confermando lo scioglimento – è emerso come, in taluni strategici settori (l’affidamento dei lavori pubblici, il rilascio delle concessioni demaniali, la riscossione dei tributi), la disciolta amministrazione abbia tenuto una condotta inefficiente, disattenta e opaca, che oggettivamente e incontestabilmente ha consentito, anche al di là della volontà più o meno compiacente, eventualmente, dei singoli amministratori, di favorire uomini e interessi riconducibili ai potenti clan della ‘ndrangheta locale, che controlla il comprensorio di Scilla».
L’AMAREZZA DI CICCONE «Per cultura politica siamo abituati ad accettare le sentenze, non possiamo che accettarle. Se invece entriamo nel merito delle cose avremmo tanto da dire». Contattato dal Corriere della Calabria, Pasqualino Ciccone è un fiume in piena e valuta ulteriori azioni giudiziarie: «Ho aspettato che finisse l’iter delle cause ma penso seriamente di fare denuncia, se ci sono le condizioni». «Ci sono delle cose che sono state dette dalla commissione d’accesso – aggiunge – che abbiamo smontato punto per punto» e le riepiloga ancora una volta con dovizia di particolari.
«Sei incontri occasionali in piazza San Rocco, che è il centro del paese. Siccome ero funzionario dell’Agenzia delle Entrate appena scendevo dall’auto chiunque mi domandava sulle cartelle esattoriali. Sei incontri occasionali – ripete – e tutti in piazza San Rocco. Ma le dirò di più, incontri avvenuti soltanto ed esclusivamente quando non ero ancora sindaco in carica, dal 90 fino al 2014, io sono stato sindaco da maggio 2015. Non sono frequentazioni, sono incontri occasionali in piazza San Rocco, come può capitare a chiunque». Da un lato prova «amarezza totale nei confronti di uno Stato che gestisce in modo asettico e senza anima» dall’altro si consola con le vittorie sulla incandidabilità, ma anche lì la partita non è ancora finita, probabilmente si arriverà in Cassazione: «Se mi fanno candidare mi candido sicuramente, certo non con la stessa fantasia e la stessa voglia di prima, i risultati che avevamo conseguito noi in due anni non li ha mai ottenuto nessuno».
Ciccone rammenta le accuse di inerzia che gli sono state mosse sui tributi, il piano spiaggia, l’abusivismo, e sollecita al confronto con l’amministrazione dei commissari: «noi siamo stati in carica due anni e poi ci hanno sciolti, anche i commissari adesso amministrano da due anni, cosa hanno fatto loro su quegli stessi temi?». (redazione@corrierecal.it)

 
 

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