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Boss scarcerati, Saffioti: «Un messaggio di debolezza dello Stato»

Intervista all’imprenditore e testimone di giustizia. «Il Governo ha rimediato, ma avrebbe dovuto pensarci prima. Il carcere italiano non “rieduca” come dovrebbe». Dopo il lockdown, molti imprendit…

Pubblicato il: 17/05/2020 – 8:47
Boss scarcerati, Saffioti: «Un messaggio di debolezza dello Stato»

di Giorgio Curcio
LAMEZIA TERME
«Il carcere dovrebbe servire a rieducare ma nel nostro Paese non ci sono ancora queste condizioni. E’ un discorso ampio, forse troppo lungo, ma più in generale è il messaggio dato al Paese che rischia di far danni». Schietto e diretto, come sempre. Com’è abituato a fare da tutta una vita Gaetano Saffioti, imprenditore calabrese originario di Palmi, testimone di giustizia e sotto scorta da quando, all’inizio degli anni duemila, ha deciso di denunciare ai magistrati le continue pressioni dei clan locali subite dalla sua azienda. Nell’intervista rilasciata al Corriere della Calabria Saffioti tenta di dipingere il quadro attuale del nostro Paese, attraversato da settimane di polemiche roventi scaturite dalla scarcerazione di circa 400 boss mafiosi per i rischi di contagio Covid all’interno delle carceri (qui l’approfondimento) e il successivo decreto del Governo voluto dal ministro della Giustizia Bonafede che ha imposto ai magistrati di sorveglianza la «rivalutazione dei provvedimenti già emessi». Un tentativo quasi disperato di rimediare ad una falla che ha indignato e sorpreso cittadini e addetti ai lavori, dal Procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, al Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho. «La certezza della pena di cui si parla tanto – ci spiega Saffioti – non è intesa come un atto di vendetta nei confronti di chi sbaglia, ma un tentativo di mandare un messaggio chiaro. Se esci di galera dopo qualche giorno o te la cavi con poco, il rischio è che si mandi un cattivo messaggio soprattutto ai giovani e alla potenziale “manovalanza” della criminalità organizzata. Lo dico da tempo, la vendetta non serve perché questa gente fa pena. Perciò bisognerebbe trovare altre strade, come accade nell’educazione familiare: capire che ci sono delle regole da rispettare e la responsabilità degli atti che si compiono». «Il Governo ha rimediato – racconta ancora Saffioti – ma è ovvio che avrebbe dovuto pensarci prima. In molti hanno parlato anche del rischio evasioni ma io la escludo: gli ‘ndranghetisti non sono stupidi. La ‘ndrangheta sa che certi atti vanno concordati e se qualcuno avesse fatto il furbo avrebbero inasprito le misure. Nella loro mentalità alcune cose di decidono in comunità e non singolarmente e loro non voglio creare precedenti pericolosi».
PERCORSI DIFFERENTI Secondo il testimone di giustizia sarebbe importante “differenziare” il percorso carcerario: «Chi sbaglia per la prima volta, ad esempio, non dovrebbe stare nello stesso carcere dei vecchi boss, con il rischio che un giovane venga “battezzato”. Andrebbe invece indirizzato verso altre strade. Per i recidivi, invece, la pena andrebbe aumentata ma non per vendetta, per mandare un messaggio chiaro a tutti». «Non dico – racconta ancora al Corriere della Calabria – che gli ‘ndranghetisti in carcere debbano stare ai lavori forzati, ma che scontino almeno la pena stabilita. 20 anni? che siano tali, senza sconti di pena e permessi. Sembrano piccoli dettagli, quasi insignificanti, ma invece forniscono l’immagine di un Paese debole e che scende a patti con i mafiosi».
I PENTITI E qui per Gaetano Saffioti, entrano in gioco i “pentiti”: «Riconosco ovviamente l’importanza delle loro dichiarazioni, sia chiaro, ma occorre fare attenzione. Questi soggetti non sono veramente pentiti, sono dei mercenari che “parlano” con la magistratura solo per il loro tornaconto, certi di ricevere uno sconto di pena e alla fine non raccontano neanche tutto, solo quello che gli conviene. Se sono davvero pentiti che scontino tutta la loro pena, fino in fondo, e anche qualche anno in più».
CORONAVIRUS E ‘NDRANGHETA Durante questa prima fase della pandemia e il lockdown, è stato il procuratore Gratteri ad accendere i riflettori sul possibile (e ulteriore) inserimento delle cosche nel tessuto imprenditoriale, facendo leva su una crisi economica che rischia di assumere proporzioni bibliche. Anche su questo punto Saffioti ha le idee chiare: «A sfruttare le debolezze degli imprenditori non è solo la ‘ndrangheta ma anche gli strozzini e chi ha ingenti somme di denaro a disposizione. Ma quando chiedi aiuto ad uno strozzino sai già a cosa vai incontro, sai quali saranno le conseguenze. Non salvi certo la tua impresa in difficoltà, tutt’altro. In questo modo la stai comunque condannando alla chiusura e alla morte, alimentando però il tessuto criminale».
«In questo periodo di emergenza da Covid – ci racconta ancora Saffioti – la ‘ndrangheta non deve sorprendere. Loro approfittano di tutto e fare affari in questo momento è un motivo in più per continuare. Loro non si fermano e a differenza dello Stato si sono evoluti, sono cresciuti e migliorati. Non sono statici, sono invece camaleontici, innovativi, si adeguano ai cambiamenti e studiano come poter fare per ottenere sempre di più». «Da tempo – dice – non sono più loro a cercare gli imprenditori ma il contrario. E lo stesso avviene con la politica e la massoneria deviata. Queste cose ormai si sanno ma quando lo dicevo io trent’anni fa nessuno mi credeva».
IL RUOLO CHIAVE DELLA SOCIETÀ La criminalità organizzata da una parte, dunque, dall’altra il tessuto economico e sociale sotto pressione ma che Saffioti non assolve del tutto: «E’ qui che sta il male – spiega – perché la criminalità e la ‘ndrangheta esistono solo perché molte persone, con le proprie debolezze, permettono loro di sopravvivere. Non ci sarebbe ad esempio spaccio di droga se nessuno ne facesse uso; non ci sarebbe corruzione se non ci fosse il corruttore o il corrotto. Se non c’è cambiamento di cultura tutto resterà uguale». Un cambiamento atteso, dunque, seguendo anche gli esempi: «La mia storia – ci racconta ancora Saffioti – dovrebbe servire a chi viene dopo di noi a farne tesoro, a ragionarci sopra e sulla scorta di queste esperienze bisognerebbe seguire le coordinate giuste. Se lo facessero sono sicuro che la ‘ndrangheta sparirebbe in un giorno, senza neanche bisogno dell’intervento dello Stato che pensa solo alla repressione. E’ inutile mettere gente in galera se quelli che restano in libertà vanno da loro a chiedere favori, appalti, per trovare auto e immobili. Il grosso problema è proprio questo».
‘NDRANGHETA E COSCIENZA CIVILE Associazionismo, eventi, manifestazioni. E poi lo scossone legato all’inchiesta “Rinascita”: decine di arresti e una “coscienza civile” che pare svegliarsi: «Si fanno tante manifestazioni adesso – ci spiega Saffioti – e come diceva Borsellino, “è importante parlare delle mafie”. Ma ora sono sicuro che direbbe “basta parlare, dovete fare”. Bisognerebbe praticarla la legalità, entrare in questa mentalità. I problemi esistono perché ci sono le soluzioni, ma non piacciono e allora la cosa più facile è lamentarsi». «Nel mio piccolo – racconta – ho dimostrato che si può e si deve fare, senza aiuti dello Stato, neanche un centesimo e quelli che mi hanno offerto li ho rifiutati.
LA RIPARTENZA Il testimone di giustizia, Gaetano Saffioti, al Corriere della Calabria espone i suoi punti di vista, anche quando parla della ripresa economica o dell’attuale sistema imprenditoriale, in Italia e in Calabria: «Non serve assistenza, bisogna creare qualcosa di solido e strutturato, è lì che si fonda la crescita. Ci sono ad esempio ingenti fondi a cui lo Stato potrebbe attingere e non lo fa come i beni economici e i soldi sequestrati alla mafie. Perché no li danno magari anche in prestito, a tassi agevolati? Il sistema assistenziale, senza generalizzare ovviamente, è un messaggio devastante per il Paese. Quante volte gli imprenditori hanno avuto periodi di crisi? Perché dopo due mesi di fermo si ha tutta questa necessità di attingere a fondi ingenti? Lo Stato anziché dare soldi potrebbe pensare a delle agevolazioni. Gli ostacoli si superano».
PRESENTE E FUTURO Saffioti da quasi vent’anni vive sotto scorta. Le sue testimonianze hanno permesso agli inquirenti di infliggere durissimi colpi alle cosche come quella dei Bellocco, Romeo o Piromalli. «Ogni scelta – ci racconta – comporta dei sacrifici ed è lì che la maggior parte preferisce lamentarsi piuttosto che rimboccarsi le maniche. Se noi avremo una sana imprenditoria, non ci sarà più ‘ndrangheta e corruzione ma ci sarà benessere. Se l’imprenditoria è malata, non ci sarà nulla di tutto questo». (redazione@corrierecal.it)

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