di Francesco Donnici
REGGIO CALABRIA Concorso esterno in associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta, intestazione fittizia, aggravati dal metodo mafioso. Ma anche corruzione, reati ambientali e abuso d’ufficio da parte di una serie di pubblici ufficiali che si prestavano al sistema in cambio di «un pezzo di pane». Queste sono le principali ipotesi di reato contestate nell’ambito dell’operazione “Rupes”, coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, che coinvolge 19 persone raggiunte in mattinata dalla notifica di altrettanti avvisi di concluse indagini. Tra queste una serie di imprenditori “collusi” con soggetti vicini alle cosche “Condello”, “Libri”, “Tegano”, “Paviglianiti” di San Lorenzo e “Iamonte”. Le risultanze investigative hanno inoltre permesso di raffinare la conoscenza della geografia dei clan sul territorio reggino accertando l’egemonia dei Condello sul quartiere di Gallico, nella zona nord di Reggio. Al fine di garantirsi il «controllo sul territorio» portavano avanti una serie di attività «anche mediante accordi tra le diverse cosche». Tra queste ci sono le estorsioni, come ad esempio quella messa in atto da Carmelo Giuseppe Cartisano ai danni dei titolari della farmacia Romeo, «dissuasi» dal far proseguire i lavori di ristrutturazione del loro edificio ad altra ditta già ingaggiata in sostituzione di quella di Antonio D’Agostino, inadempiente. Ma i clan miravano in generale all’acquisizione «diretta o indiretta della gestione e controllo di attività economiche nei più svariati settori» mantenuta in modo tale da «condizionare il regolare svolgimento» delle stesse. E tra questi, spicca ancora una volta il condizionamento operato nel settore degli appalti pubblici e privati, garantito attraverso una fitta rete basata sulla corruzione di pubblici ufficiali.
IL RUOLO DI VITO LO CICERO In particolare, negli atti dell’indagine spicca la figura di Vito Lo Cicero, legale rappresentante e amministratore della “Impianti e Costruzioni srl” indagato per concorso esterno in associazione mafiosa in quanto, secondo gli inquirenti, «contribuiva concretamente, senza farne formalmente parte, al rafforzamento alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa unitaria denominata ‘ndrangheta» operante sulla provincia di Reggio Calabria. Secondo quanto affermato dalla Dda reggina: «L’apporto fornito dal Lo Cicero alla conservazione e al mantenimento dell’organizzazione criminale, nonché al perseguimento delle relative finalità delittuose consisteva nello stringere un solido e proficuo “pactum sceleris” con i soggetti al vertice delle più potenti articolazioni del territorio operanti nel mandamento di Reggio Calabria città».
I SUBAPPALTI A IMPRESE NON AUTORIZZATE La procura si riferisce in tal senso alla potente cosca “Chirico-Condello” che col tempo ha costruito la sua egemonia a partire dal quartiere di Gallico «ottenendo appalti da parte della pubblica amministrazione, poi subappaltati a soggetti privi dei requisiti necessari all’ottenimento degli stessi». Possono essere richiamate in tal senso le procedure ristrette per lavori di manutenzione straordinaria dell’arenile del lungomare-lido comunale del Comune di Reggio Calabria e del lungomare di Gallico dove vengono individuati come migliori offerenti rispettivamente nelle due procedure indette con medesimo bando, proprio la società di Lo Cicero insieme alla “Ffc Costruzioni Srl” di Francesca Cutrupi, incensurata all’epoca dei fatti, quindi nella possibilità di aggiudicarsi la gara. Gli stessi – scrivono gli inquirenti – dopo aver intascato approssimativamente somme intorno ai 40mila euro – avrebbero svolto solo una piccola parte dei lavori per poi subappaltarli «alle imprese degli altri partecipi, così consentendo di lavorare anche a società prive dei requisiti per poter contrattare con la pubblica amministrazione» essendo queste ricollegabili a soggetti appartenenti o vicini ad alcune tra le maggiori cosche di ‘ndrangheta del Reggino.
IL RAPPORTO TRA LOCICERO E CARTISANO Sempre in occasione della vicenda relativa all’appalto pubblico per la sistemazione del litorale del quartiere Gallico marina di Reggio Lo Cicero avrebbe stretto un accordo con Carmelo Giuseppe Cartisano, «appartenente alla cosca Chirico, federata ai Condello», che mirava ad accaparrarsi «la gestione di una parte dei lavori appaltati all’imprenditore». Tra Lo Cicero e Cartisano si era così creata una “sinergia” che permetteva all’imprenditore – scrivono gli inquirenti – di poter «contare su di lui per la risoluzione di ogni problematica di natura intimidatoria o estorsiva, nonché per l’introduzione ed il mantenimento di rapporti privilegiati con altri esponenti della ‘ndrangheta reggina di altri quartieri, quali i Serraino (nella persona di Alessandro)». Tra le altre, gli inquirenti richiamano episodi come il danneggiamento di un escavatore e la “protezione” mafiosa in un cantiere di Bova Marina, collocato in un diverso contesto territoriale di ‘ndrangheta.
IL PREZZO DEI “FAVORI” Locicero, in cambio, doveva subire «l’imposizione nella fornitura delle materie prime, quale il materiale da discarica “spacciato” per sabbia di torrente oggetto di lavori di spianamento di un piazzale». Inoltre gli era fatta imposizione «nella fornitura di automezzi per trasporto dei materiali inerti, del materiale estratto dal sedime minerario, della sabbia e delle pietre» anche «mediante l’utilizzo di autocarri riconducibili alla cosca Condello tra cui quelli di Pietro Morena, della M.C. sas; di Domenico Marciano & Co. e di Carmelo Natale Cartisano, cugino dello stesso Carmelo Giuseppe». Secondo la procura anche per quanto riguarda il cantiere di Bova marina, al Locicero era stara inoltre imposta «l’assunzione di risorse umane (in particolare, un operaio-autista) non prestanti effettivamente attività lavorativa presso di lui; una cava sita in località Saline Joniche del Comune di Montebello Jonico e formalmente intestata alla ditta individuale Edil Calabra di Scaramuzzino Maria (ma in realtà riconducibile al marito, Fortunato Stellitano ed al socio Giovanni Mangiola) da cui estrarre la pietra necessaria per la realizzazione della barriera frangiflutti del litorale di Gallico Marina» seppure «sprovvista dei mezzi meccanici per l’estrazione della materia prima». A questi si aggiunge anche «l’imposizione dell’acquisto della vernice per pitturare i pali d’illuminazione collocati sul lungomare di Gallico e per provvedere ai lavori di rifacimento della facciata di un immobile ubicato in Scilla, presso la Decori e Colori di Lucia Chirico, figlia del defunto boss Domenico Chirico e coniugata con Pasquale Morabito, effettivo titolare». E ancora, documenta la procura, come Locicero si fosse messo «a disposizione, aprendo anche le porte della propria casa» per favorire «l’incontro tra il consigliere uscente (e ricandidato) del Comune di Scilla, Santo Perina e Bruno Palamara, affiliato della cosca Nasone Gaietti, per chiedere a quest’ultimo sostegno elettorale». Proprio Perina, descrive la Dda, verrà poi effettivamente eletto con 205 voti.
I PUBBLICI UFFICIALI IMPLICATI Sono diverse le figure di riferimento dei clan nella pubblica amministrazione. In primis, Domenico Macrì, funzionario pubblico all’urbanistica del Comune di Reggio. Proprio Cartisano lo aveva presentato a Lo Cicero intermediando affinché lo stesso si «mettesse a disposizione dell’imprenditore facendosi nominare come responsabile unico del procedimento relativo ai lavori di sistemazione del lungomare di Gallico». Secondo la procura, Macrì, abusando della sua qualità di pubblico ufficiale, in cambio di «promesse di utilità, non solo non si asteneva, ma si ingeriva al fine di assecondare tutte le richieste ricevute» e, ad esempio, «pur essendo a conoscenza dell’impiego di rifiuti, ometteva di verificare l’idoneità delle terre di riporto utilizzate dal Lo Cicero per il livellamento del terreno». Il corrispettivo richiesto consisteva in un «pezzo di pane» che secondo gli inquirenti si traduce nei fatti in «somme di denaro non precisate» oltre che «l’assunzione di una propria amica presso un supermercato amministrato da Giuseppe Chrico».Altra figura è quella di Riccardo Napolitano, funzionario del provveditorato alle opere pubbliche di Scilla e della Calabria che «in cambio di utilità diverse dal denaro» avrebbe compiuto «atti contrari ai propri doveri» consistenti nell’interessamento all’iter delle pratiche riguardanti proprio Lo Cicero, «nonché fornendo allo stesso informazioni e documenti riservati riguardanti l’attività dell’ufficio». Inoltre, Napolitano nel maggio del 2010 veniva nominato «grazie anche all’interessamento di Vito Lo Cicero – e con l’intercessione del fratello William Sergio Liborio – Direttore dei Lavori di un cantiere per la realizzazione di opere pubbliche a Vibo Valentia», in sostituzione della precedente «sgradita» Direttrice. Inoltre Napolitano si sarebbe adoperato per «fare approvare una perizia di variante relativa ad un appalto non meglio identificato e la stessa perizia di variante del cantiere di Vibo Valentia» e «preparava la contabilità “aggiustando” i numeri e facendoli “quagliare”», ossia facendoli risultare come dai desiderata di Vito Lo Cicero. Poi c’è Giovanni Pontari, nella sua qualità di “capo struttura del Dipartimento Agricoltura, Foreste e forestazione della Regione Calabria” anch’egli attivatosi nei confronti di Lo Cicero affinché venisse nominata responsabile unico del procedimento relativo all’appalto del lungomare di Gallico «una persona a lui gradita» e venissero «pagate le fatture emesse dall’”amico”» in cambio di «interventi in suo favore» realizzati proprio dall’impresa di Lo Cicero, come ad esempio «la promessa di piantare due palme; riparare un tratto di manto stradale; realizzare e montare un cancello scorrevole». Il tutto davanti alla sua abitazione. (redazione@corrierecal.it)
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