di Roberto De Santo
LAMEZIA TERME «Il blocco delle attività produttive, unito alla chiusura volontaria di altre (pari in totale a circa il 66%) causato dalla pandemia, è intervenuto su di un tessuto economico già fortemente in crisi. Il lockdown ha fermato così circa 8,5 milioni di lavoratori dipendenti che in questi due mesi hanno smesso di lavorare. E in Calabria la percentuale di persone che in questa fase non hanno lavorato è molto alta: pari quasi al 70% degli attivi. Con queste condizioni è certa la crisi sociale che ha coinvolto intere comunità e famiglie, ritrovatesi all’improvviso in uno stato di indigenza». Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi consulenti del lavoro, dipinge così la situazione che coinvolge imprese e lavoratori calabresi.
Un quadro tetro, quello dipinto da uno dei massimi esperti nazionali del settore e reggino doc, che raffigura cittadini e imprenditori che, travolti dal blocco delle attività produttive imposte dalla pandemia, si sono trovati a fare i conti soprattutto con la mancanza di liquidità. Con conseguenze che, per la particolare struttura economica calabrese, si ripercuoteranno in maniera pesante più di altri territori da un verso in termini di calo dei consumi e dall’altro sul rischio di non poter neppure riavviare le attività produttive.
Il principale frutto avvelenato rilasciato dalla diffusione del coronavirus sull’economia locale rimane la mancanza di liquidità che sarebbe dovuta essere risolta dai provvedimenti messi in campo dal Governo Conte. Facendo leva sul sistema creditizio per fluidificare e rendere rapida l’immissione di denaro nelle tasche di imprenditori, lavoratori e cittadini. Ma che in realtà si è rivelata una sorta di imbuto per quanti invocavano misure immediate per poter sostenere le proprie famiglie e tenere a galla le aziende. Anche e soprattutto in Calabria.
Stando ai dati forniti dai Consulenti del lavoro nell’indagine “Il ruolo delle banche nelle misure a sostegno di imprese e lavoratori”, in Calabria hanno usufruito dell’anticipazione bancaria per la cassa integrazione in deroga solo il 3,2% dei lavoratori con un’attesa media fra domanda e prima erogazione di 72 giorni. Per quanto riguarda invece i prestiti fino a 25 mila euro garantiti dallo Stato al 100%, soltanto il 31,5% delle aziende hanno presentato domanda. E solo al 4,2% è stato effettivamente erogato il finanziamento (che resta pur sempre un prestito). In quel report dell’osservatorio dei Consulenti del lavoro, emergono appunto tutte le “strozzature” dei meccanismi messi in piedi fino al varo del “Decreto Rilancio” dall’esecutivo Conte per restituire liquidità agli italiani e conseguentemente anche ai calabresi.
Le misure intraprese dal Governo con i primi decreti sono state sufficienti per affrontare il problema della mancanza di liquidità?
«Non del tutto. In particolare non ha pagato la scelta di affrontare con strumenti ordinari (i vari tipi di ammortizzatori sociali) una pandemia straordinaria. Troppo lunghi i tempi previsti dalle procedure ordinarie per essere adatti alle esigenze di imprenditori e lavoratori. Sarebbe bastato creare un unico ammortizzatore sociale emergenziale, così come proposto dai Consulenti del Lavoro, e appostare su di esso tutti i fondi oggi dispersi sulle varie gestioni. Si sarebbero evitate in questo modo le più disparate procedure previste a livello nazionale e regionale. In questo modo tutto sarebbe stato più semplice ed immediato, anche i pagamenti».
Cosa non ha funzionato?
«Basti pensare al flop dell’operazione di prestiti garantiti dallo Stato (per intenderci quelli fino a 25mila euro) e a quello dell’anticipazione della cassa integrazione, che ancora oggi diversi milioni di lavoratori non hanno ricevuto. Perché ciò si realizzi ci vorrebbe la convinta adesione del sistema bancario, che invece ha posto in essere procedure burocratiche – peraltro con richieste di documenti non previsti – lunghe e farraginose con il risultato di erogare pochissimi fondi a lavoratori e imprenditori».
Qual è il rischio maggiore che intravede per aziende e per lavoratori se non si corre rapidamente ai ripari?
«I problemi saranno molteplici e differenziati per settore. In generale, senza liquidità gli imprenditori non potranno pagare i fornitori, i lavoratori e le imposte allo Stato. Quindi, il rischio maggiore è quello di innestare una spirale negativa che ci esponga ad una recessione economica molto pericolosa che lo Stato potrebbe evitare. Ma non solo. È sempre più attuale esporre così gli imprenditori al rischio di restare vittime della criminalità organizzata. Più lo Stato crea difficoltà nell’approvvigionarsi di risorse finanziarie, più aumenta l’appeal di chi concede denaro molto “facilmente” ma a un prezzo esosissimo, che può costare la libertà e anche la vita».
Il “Decreto Rilancio” contiene nuove e diverse misure. Riescono a sopperire alle lacune create dagli altri decreti in materia economica?
«Già il ritardo con cui è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale non promette per niente bene. Contiene norme delicatissime che vanno dal finanziamento della proroga degli ammortizzatori sociali agli incentivi per autonomi e imprese, da vari bonus alla sospensione di incassi e pagamenti. Eppure, i contrasti presenti all’interno della maggioranza hanno comportato l’incredibile ritardo nella pubblicazione, con conseguente posticipazione nell’avvio delle procedure di erogazione di tutti gli indennizzi previsti».
C’è poi una specificità dell’economia meridionale e calabrese, in particolare: la bassa capitalizzazione e le difficoltà di accesso al credito. Occorrerebbe fare qualcosa di mirato per queste realtà già in sofferenza per ritardi strutturali?
«Vale quanto detto sopra. Se il sistema bancario non si sbilancia verso l’impresa neanche quando ha la garanzia dello Stato, è difficile pensare di poter ripartire. Anche se sono convinto che finanziare i debiti aziendali, maturati nei mesi di lockdown, con altri debiti contratti con la banca non sia saggio. Per questo abbiamo da subito auspicato un intervento centrale a fondo perduto. Vedremo cosa succederà».
C’è qualche iniziativa che potrebbe essere adottata anche dalla Regione per rilanciare l’economia calabrese?
«Beh in effetti la Regione Calabria è proprio andata nella giusta direzione, prevedendo alcuni bandi con contributi a fondo perduto, sia per la contabilità che per i dipendenti in forza. E se l’esempio arriva da una Regione, che certo non primeggia nelle graduatorie economiche italiane, allora si può sperare che anche altri Enti territoriali diano seguito a queste iniziative virtuose». (r.desanto@corrierecal.it)
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