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«Lamorgese e il vero impegno dello Stato contro i clan»

di Mimmo Nunnari*

Pubblicato il: 20/05/2020 – 9:02
«Lamorgese e il vero impegno dello Stato contro i clan»

Dice il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese nell’intervista di Alessandra Ziniti su “la Repubblica”: «Rischio mafie, lo Stato aiuterà le imprese; cambiamo i decreti Salvini». Bene! Quante buone notizie in poche, pochissime, semplici, parole. Intanto si capisce che l’Italia finalmente ha un capo al Viminale dopo l’era – se si può dire – “lussuriosa” del Papeete, del mojito, dello sci acquatico, degli inni nazionali cantati col bicchiere di rhum in mano, il tanga di devote fanciulle patriote e il Requiem Aeternum recitato da sorella Barbara d’Urso. La seconda buona notizia è che il ministro cita il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz che invita a “non sprecare questa crisi” e a imparare la lezione impartita al mondo intero dal Coronavirus sul valore centrale della scienza, della sanità pubblica e sul valore delle azioni collettive. Rischiamo che ci venga un colpo abituati, com’eravamo, ad altre più rustiche citazioni: “Prima gli italiani”, “Alle leggi sbagliate non bisogna obbedire, ma disobbedire, finché non vengano cambiate”, eccetera eccetera.
Ma è il discorso sulla mafia, che nell’intervista più c’interessa e soprattutto quella promessa del ministro Lamorgese di aiutare le imprese e di salvaguardare l’economia legale. Lo Stato c’è, dice il ministro, ed è bene sentirlo dire in territori dove storicamente la mafia sottrae sovranità allo Stato e offre il suo “welfare” quando lo Stato è assente o lontano. Qui, però, occorre fare chiarezza e andare oltre le promesse e i buoni propositi. La mafia, è causa dei mali del Sud, ma è anche effetto del malessere personale e sociale diffuso, dell’abbandono del territorio, dei mancati investimenti, delle risorse sottratte al Sud, per essere dirottate al Nord, come sta ancora per accadere in un silenzio assordante di politica, partiti, Parlamento. Servono nuove strategie per aggredire il fenomeno mafioso. Non si può combattere la mafia soltanto con scioglimenti dei consigli comunali poi sostituti con commissioni che fanno rimpiangere – salvo rare eccezioni – il peggio che c’era prima o con misure interdittive che in alcuni casi sembrano persecuzioni. «Non può essere sconfitta la mafia solo con una politica repressiva (lo dicono gli stessi magistrati antimafia) che pure è necessaria e va potenziata e qualificata. Occorrono linee d’intervento mirate, per ricostruire il tessuto connettivo di una presenza dello Stato su cui costruire ogni strategia di sviluppo, evitando di porre in modo disgiunto i due termini della questione: lotta alla mafia e promozione dello sviluppo, che si reggono soltanto – dice il meridionalista e storico Sergio Zoppi – in quanto fra di loro uniti e quasi complementari».
Non possiamo aspettare immobili nel dilemma prima sviluppo e poi lotta alla mafia o al contrario prima lotta alla mafia e poi sviluppo. Questo è l’alibi per non fare nulla e stare con le mani in mano o girarci i pollici guardando l’orizzonte. Il Coronavirus è l’occasione di ripensare l’Italia con una visione del tutto diversa del passato. Anche in tema di lotta alle mafie e di contestuale sviluppo. Dobbiamo correggere la rotta e buttare la zavorra puzzolente, del Nord e del Sud, perché le fragilità sono sempre collettive, e pericolose, anche quando non sembra.
*giornalista, già vicedirettore della TGR Rai

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