Il terremoto di magnitudo 5,8 tra la Grecia e l’Italia, a breve distanza dalle coste siciliane, calabresi e pugliesi, deve farci riflettere sulla urgente necessità di aggiornare prima che i nostri piani, la nostra cultura di protezione civile. Perché, in realtà, in caso di tsunami basterebbe una sola ora perché l’onda prodotta raggiungesse le nostre coste.
Non è certo la scoperta dell’acqua calda. Noi, un’onda di tsunami di una decina di metri di altezza l’abbiamo già avuta. Fu in occasione del terremoto della notte del 24 aprile 1836, la notte dei Fuochi di San Marco. Quella per cui ricordiamo l’evento con i fuochi a Rossano e la processione di San Francesco a Corigliano. In quell’occasione, le testimonianze narrano di onde altissime che investirono la spiaggia è di barche lanciate dal mare alla terraferma.
Allora le nostre coste erano profondamente diverse da come sono oggi. Intanto la spiaggia è arretrata di alcune decine di metri. Lunghi cordoni di dune, stagni costieri e torrenti che spagliavano liberi alle foci connotavano il nostro paesaggio costiero. Nessuna abitazione. Nessuna strada e quindi nessuna persona a rischio.
Oggi il quadro di quel paesaggio è radicalmente mutato. Anche laddove le cronache del 1836 raccontano di zampilli di sabbia, tra Sant’Angelo e il torrente Colagnati, si è edificato. Strade e lidi punteggiano l’intero litorale di Corigliano Rossano. Dunque il rischio sismico ha subito un enorme incremento. Per la presenza di persone e beni materiali che nel 1836 non c’erano.
E noi non possiamo continuare a fare finta di niente. Chiudere gli occhi e sperare che nulla avvenga non è la migliore strategia di difesa. Ci vuole altro. Ci vuole intanto che ci si convinca che con questi fenomeni occorra conviverci. Imparare a diminuirne gli effetti negativi, prevenire i danni potenziali, educarci a comportamenti virtuosi. Ci vuole insomma una strategia. Cominciamo ad elaborarli. Perché ancora non c’è…
*geologo
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