CATANZARO «La Chiesa di Calabria ribadisce la necessità dell’affermazione dei principi della dignità della persona umana e della sacralità del lavoro per liberare tanti uomini e donne dalla loro condizione di sostanziale schiavitù, condannando ogni forma di sfruttamento come attentato alla dignità dell’uomo, che, in quanto peccato sociale, grida vendetta al Cielo!. Lo afferma la Conferenza episcopale calabra. La crisi dovuta alla pandemia, colpendo l’economia reale del Paese, ha fatto riesplodere – spiega la Cec – nodi cruciali e problematiche che si trascinano da anni. Tra questi sono emerse in modo particolare alcune problematiche relative alla situazione dei braccianti agricoli, tra cui molti migranti, sfruttati, calpestati nella loro dignità, vittime soprattutto del fenomeno del caporalato. Come vescovi calabresi intendiamo ancora una volta alzare la nostra voce ed esprimere la ferma condanna di tutte le situazioni di sfruttamento nella filiera agroalimentare e soprattutto del fenomeno del caporalato. Un male antico e sempre presente, magari sotto forme diverse nel tempo e spesso ignorato pur di non prendere la giusta posizione, la corretta scelta tra il bene e il male. Oltretutto il caporalato è nelle mani delle organizzazioni criminali, le quali utilizzano metodi mafiosi per il controllo del territorio. La nostra condanna del fenomeno è forte e netta». I vescovi calabresi aggiungono: «In diverse circostanze abbiamo definito la mafia l’antivangelo, perché nega la libertà e la verità che ci sono state consegnate dal mistero pasquale della risurrezione di Cristo Gesù. Un’autentica opera di conversione e di liberazione dei territori dalle mafie passa, quindi, pure dal superamento della piaga del caporalato, che rappresenta senza dubbio una delle vie di adorazione del male, di cui ha parlato papa Francesco nella nota omelia a Cassano all’Jonio del 2014. In particolare, con riferimento ai migranti, l’aver dato spazio ad essi nel recente Decreto Rilancio, adottato dal Governo pochi giorni fa, segna un passo avanti nella definizione della problematica, sotto il profilo della tutela della salute e della lotta all’illegalità. Limitazioni delle misure a determinate categorie, procedure non sempre semplificate e la breve durata dei permessi rendono evidenti la necessità di una svolta ancor più radicale, come testimonia del resto anche lo sciopero degli invisibili, indetto nei campi della Piana di Gioia Tauro. Resta la fiduciosa speranza che il cammino intrapreso possa essere irreversibile, sostenuto in chiave locale dai segnali di attenzione lanciati anche dalla Regione, attraverso l’attivazione di progetti dedicati alla definizione dell’emergenza sanitaria e di quella abitativa».
«Nella consapevolezza inscalfibile che molto vi sia da fare per giungere ad una piena tutela dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori, la Chiesa di Calabria – conclude la Cec – ribadisce la necessità dell’affermazione dei principi della dignità della persona umana e della sacralità del lavoro per liberare tanti uomini e donne dalla loro condizione di sostanziale schiavitù, condannando ogni forma di sfruttamento come attentato alla dignità dell’uomo, che, in quanto peccato sociale, grida vendetta al Cielo».
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