CATANZARO Si trovava al lavoro nel carcere di Bologna, Nicola Gratteri, il 23 maggio 1992, quando Giovani Falcone fu vittima dell’attentato che gli tolse la vita e che spazzò via anche l’esistenza di sua moglie e degli uomini della scorta. Il magistrato calabrese di quella tragica giornata ricorda il rumore sulle grate delle sbarre del carcere mentre la notizia si diffondeva tra i detenuti, il bisbigliare della polizia penitenziaria. Un’onda d’urto crescente che investì anche il giovane magistrato che si trovava in servizio a mille chilometri di distanza dalla terribile esplosione sull’autostrada siciliana.
Ospite di Massimo Grammellini su Rai3, il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri ricorda Giovanni Falcone a 28 anni dalla sua morte, «un uomo – lo descrive Gratteri – capace di anticipare gli eventi di 20 anni».
Giovanni Falcone seguiva il principio del follow the money, segui il denaro, per tracciare i movimenti economici di Cosa Nostra. «Oggi bisogna seguire i paradisi fiscali», spiega Gratteri che in prima linea combatte la ‘ndrangheta, l’organizzazione criminale più potente e ricca al mondo capace di lucrare, anche in tempo di coronavirus, sulle sofferenze dei più deboli che «si presenta con la busta della spesa, che consegna 100 – 200 euro». «Un benefattore del quale i cittadini si ricorderanno al momento di votare», spiega Gratteri.
«E poi c’è l’usura. Perché le mafie che fanno usura non la fanno per arricchirsi: l’obbiettivo finale dell’usuraio mafioso è quello di rilevare l’attività commerciale per poi farne riciclaggio. Inizialmente hanno interessi molto bassi – dice il capo della Dda di Catanzaro –, più bassi di quelli di una banca, per poi pian piano soffocare gli imprenditori. Le elitè delle mafie, che sono rappresentate dal 3/ 4% degli associati, sono davvero ricche». I soldi, tanti, sono celati sottoterra, in bidoni, vengono contati con macchinette come quelle in uso alle banche. Sono soldi destinati ai paradisi fiscali. «Il ricavato di attività illecite come la vendita di 2000 chili di cocaina arrivati dalla Colombia vengono portati in paradisi fiscali, depositati in banca». Il resto del percorso, racconta Gratteri, è portare i soldi in una banca negli Stati uniti, per esempio, e chiedere un credito di 5 milioni di euro. Credito che viene concesso subito. «Dobbiamo stare molto attenti ai paradisi fiscali quando parliamo di grosso riciclaggio», spiega Gratteri.
Lo Stato come può difendersi? «Quando si parla di denaro da dare ai disoccupati io ho sempre proposto ai sindaci di dare i nominativi dei beneficiari alle Prefetture. Le Prefetture in 24 ore sanno indicare chi è davvero povero e ha bisogno e chi è un evasore totale. Problema che si è verificato anche col reddito di cittadinanza».
Ma perché un boss miliardario – chiede Gramellini – fa la domanda per il reddito di cittadinanza?
«L’ingordigia non ha limite» – risponde, secco, Gratteri.
La giornalista Concita De Gregorio riprende il caso di una famiglia che si è indebitata con gli usurai per permettere al figlio di fare didattica a distanza. Per pochi euro, con tassi altissimi ovunque è facile che la disperazione sociale si diffonda se non c’è welfare da parte dello Stato, o comunque se il welfare viene gestito male.
«E’ vero, c’è disperazione e c’è povertà – dice Gratteri – ma oggi noi abbiamo un modo diverso di definire il povero. Quando io ero ragazzo, povero era chi mangiava una volta al giorno, la mia famiglia mangiava tre volte e stavamo bene. Nonostante questo, i miei pantaloni passavano a mio fratello più piccolo, così come le scarpe. Oggi povero è chi non ha un telefono da 700 euro».
Questi ragazzi sono cresciuti nel tempo dell’abbondanza ed è difficile cambiare le cose, dice la De Gregorio, le nostre nonne si prodigavano perché i figli mangiassero, le nostre mamme perché studiassimo e noi perché i figli abbiano la felicità, come se l’abbondanza fosse un dono di natura.
«Siamo stati pessimi genitori – dice Gratteri – ma questo può essere un periodo di riflessione e crescita per cominciare a vedere la realtà che è diversa da quella patinata che abbiamo fatto vedere ai nostri figli».
Alcuni boss sono tornati in carcere, dopo le scarcerazioni da coronavirus.
«Sono sempre andato contro corrente con queste scarcerazioni – spiega Gratteri – ho sempre detto, fin da tre mesi fa, che si rischia di più a stare a piazza Duomo che a Milano Opera o a San Vittore. In effetti c’erano 30 infettati da coronavirus rispetto a 62mila detenuti. Oggi sono usciti 8000 detenuti. Basterebbe costruire quattro carceri nuove con i prefabbricati. Investendo nei lavori il Genio militare si potrebbero costruire in sei mesi. Sono stato criticato moltissimo su questa battuta ma io sfido a portare avanti questi progetti e costruire in sei mesi un carcere con i prefabbricati».
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