ROMA Almeno fino al 2008 boss della mafia, sottoposti al carcere duro, hanno comunicato, via lettera, non soltanto con propri familiari, ma anche con capi dello stesso rango, detenuti anche loro al 41 bis in altri istituti penitenziari. A scoprirlo è stato l’avvocato Fabio Repici che, intervenendo a un video dibattito sui 28 anni dalla strage di Capaci, ha reso nota l’esistenza di questi scambi epistolari, attualmente al vaglio del gup di Reggio Calabria nel procedimento che chiama in causa l’ex pm di Barcellona Pozzo di Gotto Olindo Canali, accusato di corruzione in atti giudiziari per favorire Cosa nostra.
«Queste missive sono la prova che il 41 bis è l’esatto contrario di ciò per cui era stato concepito» afferma all’Agi Repici, che nel processo Canali è parte civile per conto di Sonia Alfano, figlia del giornalista. «Queste lettere – insiste il penalista – ci fanno capire che siamo alla frutta, e che sarebbe il caso che la Dna e il Dap indagassero davvero a fondo per capire se quanto accaduto nel 2008 si è ripetuto negli anni successivi».
Sono cinque i documenti portati alla luce da Repici e riguardano le comunicazioni all’epoca tra Giuseppe Gullotti, il capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto (detenuto a Cuneo), Giuseppe Graviano, capomafia di Brancaccio (detenuto a Milano Opera), i boss di ‘ndrangheta Francesco Sergi e Domenico Paviglianiti (rinchiusi ad Ascoli Piceno), tutti al 41 bis, e il capomafia di Buccinasco Domenico Papalia (detenuto a Carinola).
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