Sarà un “mercoledì delle ceneri”, per i consiglieri regionali chiamati a revocare la norma “senza pudore” nell’aula del “mercatino dei vitalizi”. Il mercoledì, prima della Pasqua di Resurrezione, è il giorno in cui la Chiesa cattolica celebra il rito del pentimento collettivo, con lo spargimento di un pizzico di cenere sul capo dei pentiti; cioè, di chi si pente dei propri peccati, e ci piacerebbe vederli così, col capo cosparso di cenere, i “colpevoli”, della maggioranza, e anche i cherubini ingenui dell’opposizione, che non sapevano quel che facevano. Se poi ricordassero pure l’ammonimento ”«Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris» («Ricordati uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai»), il pentimento sarebbe perfetto. Tutto, in questa vicenda emblematica del punto di sprofondo dove il Consiglio regionale è giunto, è accaduto in soli sette giorni, tra approvazione della “norma vergogna”, ripensamento o pentimento di convenienza suggerito dall’ondata di sdegno abbattutasi sul Palazzo intitolato al malcapitato ‘fra Tommaso Campanella. Si rivolterà nella tomba il filosofo e monaco ribelle desideroso di giustizia e uguaglianza che sognava la “Città del Sole” ed è finito suo malgrado a prestare il suo nome glorioso nella “cittadella delle nebbie” dove la politica più che nutrire le speranze di riscatto dei calabresi le spegne. Il Consiglio regionale da prestigiosa istituzione con protagonisti del livello politico e morale di Antonio Guarasci e Mario Casalinuovo, primo presidente della Giunta e primo presidente dell’Assemblea (ma sono tante le personalità che dovrebbero essere ricordate di quel periodo, con senso di gratitudine per il loro servizio) è oggi l’emblema del fallimento del regionalismo ma anche la testimonianza drammatica del degrado progressivo della classe politica calabrese di destra e di sinistra, di maggioranza e opposizione. In questi casi si dice salvo rare eccezioni, ma lo diciamo solo per educazione e per non generalizzare. Questo Consiglio regionale, nato in cattività, dopo la rivolta di Reggio del 1970, non serve più a nessuno. Non serve alla presidente della Giunta Santelli che si giocherà la credibilità in cinque anni cruciali e decisivi per il futuro della Calabria e non serve ai calabresi. E’ un Consiglio regionale che in continuità con precedenti legislature non sembra essere in grado di recepire l’urgenza dei bisogni della Calabria. Se in cima alla lista delle cose da fare si mette un provvedimento ambiguo di vitalizi e vantaggi alla persona del consigliere, è detto tutto. Questo Consiglio, è una palla di ferro al piede di chi vuole rinascere e da secoli porta già la palla di ferro al piede: il popolo calabrese.
*Giornalista, scrittore e Docente Universitario
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