REGGIO CALABRIA «La gestione del ‘decreto Reggio’ smuoveva interessi enormi. Cifre imponenti che finivano a imprese non tutte prive da problematiche mafiose. Ecco perché Giuseppe Scopelliti volle guidare la partita in prima persona nel momento in cui si candidò alla presidenza della Regione, tanto da estromettere dalla gestione anche il sindaco pro-tempore Giuseppe Raffa perché questi si rifiutava di firmare atti e documenti che gli venivano sottoposti da consulenti del comune fedeli allo stesso». A dirlo è stato l’ex sottosegretario alle Riforme della Regione Calabria, Alberto Sarra, che ha risposto alle domande del Procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Lombardo, nel processo ‘Ghota’ in corso in Tribunale ai Reggio Calabria.
POTERI E INTERESSI Sarra ha parlato di «enormi poteri che si condensavano attorno al ‘decreto Reggio’, che impegnava una consistente struttura di consulenti e professionisti, un’occasione per preparare le elezioni comunali, quando fu indicato da Scopelliti come successore, e fu eletto, Demetrio Arena». Nel dibattimento in corso con il rito ordinario, con Alberto Sarra sono imputati, tra gli altri, l’ex senatore del Pdl Antonio Caridi, l’ex parlamentare Paolo Romeo, l’ex rettore del Santuario della Madonna di Polsi, don Pino Strangio, l’ex presidente della Provincia Giuseppe Raffa, l’avvocato Antonio Marra, la giornalista Teresa Munari, lo psichiatra Rocco Zoccali, l’ex dirigente del settore Lavori Pubblici del comune di Reggio Calabria, Marcello Cammera, e Francesco Chirico, ex dirigente della Regione Calabria, cognato dei boss di ‘ndrangheta Giorgio, Paolo, Giovanni e Orazio De Stefano.
LE ACCUSE Gli imputati sono accusati di turbativa d’asta, e di fare parte di «una struttura segreta legata alla massoneria che ponendosi al vertice della piramide ‘ndranghetista, interagiva sistematicamente e riservatamente con la politica, le istituzioni, mondo imprenditoriale e mondo bancario, condizionando ogni tipo di elezione nella provincia di Reggio Calabria». Nel troncone del processo con il rito abbreviato, il gup Pasquale Laganà aveva condannato a 20 anni di reclusione l’avv. Giorgio De Stefano, indicato come uno dei capi dell’omonima cosca, e a 15 anni Dimitri De Stefano, figlio del defunto boss Paolo De Stefano. Tre anni di reclusione vennero infitti anche all’ex sindaco di Villa San Giovanni, Antonio Messina.
x
x