di Alessia Truzzolillo
SALERNO E’ l’interrogatorio del “ravvedimento” e della conversione quello che l’ex presidente della seconda sezione della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, rende ai magistrati di Salerno il 17 aprile 2020. Petrini in seguito alle ritrattazioni che esporrà in questo interrogatorio, sommate ad altre dichiarazioni che non combaciavano con i riscontri effettuati dalla Guardia di finanza di Crotone, il 29 aprile è stato ricondotto in carcere con l’accusa di inquinamento probatorio. L’interrogatorio rispetto al quale si era ravveduto, quello reso il 25 febbraio 2020, era uno dei più scottanti, durante il quale il giudice aveva puntato il dito, si legge tra uno stralcio omissato e l’altro, contro un proprio collega in paricolare, il giudice Fabrizio Cosentino (il quale non risulta indagato), reo di essersi fatto avvicinare dall’avvocato Luigi Gullo in merito al processo sull’omicidio di Luca Bruni e dall’avvocato Salvatore Staiano in merito alla richiesta di ricusazione di un presidente della sezione penale del Tribunale di Catanzaro. In mezzo a queste dichiarazioni c’è il racconto di un incontro tra Petrini e l’avvocato Marcello Manna, legale e sindaco della città di Rende. C’è da specificare che nessuno degli avvocati citati risulta indagato.
Il 17 aprile Petrini ritratta gran parte delle sue dichiarazioni e afferma testualmente, allontanando ogni sospetto dal giudice Cosentino, che nel corso del processo sull’omicidio Bruni “Non rappresentai ai componenti del collegio la proposta corruttiva che mi era stata fatta […] Escludo che il dottor Cosentino fosse parte dell’accordo corruttivo. Prendo atto di aver reso dichiarazioni contrarie il 25 febbraio 2020. Mi sento di escludere tale circostanza e comunque, ribadisco che egli nulla seppe della proposta che mi era stata rivolta dall’avvocato Manna e che non fu invitato in alcun modo a partecipare alla spartizione della somma che avevo ricevuto. Non ho mai informato il dottor Cosentino di proposte o dazioni corruttive in mio favore né, per quanto mi risulta, egli ha mai ricevuto proposte o offerte di analogo tenore”, fa mettere nero su bianco Petrini nelle carte che sono state messe agli atti del processo che lo vedrà imputato a fine giugno. Dichiarazioni che necessitano, naturalmente, dei dovuti riscontri.
Petrini ritira anche ogni dichiarazione in merito al giudice Domenico Commodaro, che insieme a Cosentino formava il collegio che lui presiedeva: “Anche per quanto riguarda il dottor Commodaro, posso escludere di averlo mai messo a parte di accordi corruttivi intervenuti tra me e terze persone, né ho mai impropriamente sollecitato lo stesso al fine di condizionare o indirizzare l’esito di procedimenti penali”.
E’ bene, comunque, procedere con ordine.
LE ACCUSE DEL 25 FEBBRAIO Il 25 febbraio scorso Marco Petrini racconta che il collega Cosentino, “iscritto alla stessa loggia”, sarebbe stato partecipe di un accordo corruttivo in merito al processo sull’omicidio di Luca Bruni, reggente di una cosca cosentina fatto fuori nel 2012 dalle ‘ndrine rivali. Mandanti dell’omicidio erano accusati di essere Roberto Porcaro, assolto in primo grado, e Francesco Patitucci, condannato a 30 anni. In secondo grado Patitucci, il 4 dicembre 2019, è stato assolto. Presidente del collegio che giudicò il procedimento era Marco Petrini, a latere vi era Cosentino. A difendere Patitucci vi erano gli avvocati Marcello Manna e Luigi Gullo. Il 25 aprile si parla di un incontro con Manna (quasi totalmente omissato) e delle proposte corruttive di Gullo il quale avrebbe gestito le eventuali dazioni di denaro. Dazioni che avrebbero riguardato anche il giudice Cosentino. La domanda del procuratore aggiunto Luca Masini è precisa: “L’assoluzione di Patitucci quindi vi vedeva già tutti e due (intendendo Petrini e Cosentino, ndr) consapevoli del fatto che c’era un accordo corruttivo per questo fatto, no?”. La risposta è secca: “Sì”.
Non solo. Il giudice Cosentino – stando alle dichiarazioni del 25 febbraio – avrebbe ricevuto una promessa di denaro dall’avvocato Salvatore Staiano che chiedeva la ricusazione di un Presidente di sezione del Tribunale penale di Catanzaro. La ricusazione è stata accolta dal collegio (del quale facevano parte Cosentino e Antonio Saraco) e, in seguito al ricorso per Cassazione del Procuratore generale, la Suprema Corte sconfessò tale decisione con successivo “clamore nell’ambiente giudiziario”, dice Petrini. Ma perché, domandano i pm, Cosentino avrebbe dovuto fare tali pericolose confidenze a Petrini che avrebbe potuto denunciarlo? La risposta è introdotta dalle parole del pm Masini: “… la confidenza gli viene fatta da Cosentino perché Cosentino è al corrente di quello che ci racconterà…”
“Sì. Che ho avuto soldi in passato dall’ avvocato Staiano”, risponde Petrini.
LA NUOVA PROSPETTIVA DEL 17 APRILE Il 17 aprile la musica cambia decisamente: “Non ho mai informato il dottor Cosentino di proposte o dazioni corruttive in mio favore né, per quanto mi risulta, egli ha mai ricevuto proposte o offerte di analogo tenore”.
Anche per quanto riguarda la vicenda della ricusazione del giudice la prospettiva, il 17 aprile, cambia: “Per quanto riguarda il dottor Cosentino voglio dire che, in una circostanza, egli mi fece presente che lui e il dottor Saraco, entrambi componenti di un collegio che io non presiedevo, erano stati avvicinati dell’avvocato Staiano a proposito di una istanza di ricusazione proposta nei confronti di un giudice del Tribunale di Catanzaro, che ora non ricordo se fosse Battaglia o Bravin. Il Cosentino, tuttavia, non mi fece presente alcun tipo di proposta illecita ricevuta dallo Staiano ma si limitò a farmi presente la insistenza di questi, sottoponendomi altresì la questione giuridica sottesa all’istanza. Questa fu poi accolta, anche se il relativo provvedimento fu successivamente annullato in Cassazione. Circa i rapporti del dottor Cosentino con l’avvocato Staiano, posso dire che questi erano normali e ispirati a logiche di assoluta correttezza”.
I RAPPORTI CON MANNA Per quanto riguarda i rapporti con l’avvocato Marcello Manna, Petrini afferma di essere stato lui a proporre all’avvocato Manna “di darmi una somma di denaro”. Il primo contato sarebbe avvenuto prima del processo contro Patitucci. “Il fatto avvenne a fine 2018-2019 allorquando, come presidente della sezione Misure di Prevenzione della Corte di Appello, mi trovavo a trattare un procedimento che riguardava tale Antonio loele + terzi interessati. Si trattava di un soggetto già condannato per bancarotta, nei confronti del quale era stata avanzata una proposta di misura di prevenzione patrimoniale che si era conclusa con la confisca di alcun beni in primo grado. In occasione della trattazione dell’appello il Manna venne a parlarmi rappresentandomi che la questione era molto delicata e sollecitando la mia attenzione. Io gli risposi che sarei stato disponibile ad accogliere l’appello dietro versamento di ima somma di denaro. Il Manna non ebbe reazioni particolari alla mia proposta e si dichiarò disposto ad accontentarmi. Nella circostanza egli dichiarò che avrebbe potuto versarmi la somma di euro 2.500”. Spontanea è la domanda dei magistrati di Salerno: come faceva Petrini a sapere che Manna avrebbe accettato la proposta corruttiva e non lo avrebbe denunciato?
“Rispondo in proposito – dice Petrini – che non avevo notizia del fatto che in precedenza Manna avesse mai versato somme di denaro a giudici per ottenere provvedimenti di favore e che semplicemente “ci provai” sperando che le cose andassero bene. Fatto è che, di fronte a tale mia proposta, egli disse che avrebbe potuto darmi 2.500 euro e che non ebbe necessità, a tal fine, di consultarsi con il suo assistito. Il collegio giudicante era composto, nella circostanza, dai colleghi Cosentino e Commodaro. Ero io il relatore della procedura. Non rappresentai ai componenti del collegio la proposta corruttiva che mi era stata fatta. Io ero il relatore e, tra l’altro, nel caso di specie, c’era un principio di diritto che avremmo potuto applicare. Durante la camera di consiglio non mi furono sollevate obiezioni e l’appello fu cosi accolto”. Sul pagamento l’ex giudice afferma: “Venni retribuito successivamente alla adozione della decisione. La somma di denaro mi venne consegnata qualche giorno prima della dazione che si riferiva al processo Patitucci. Preciso, circa una ventina di giorni prima”. E per quanto riguarda la decisione del processo Patitucci, Petrini afferma che questa “trovava il suo fondamento nello svolgimento dell’istruttoria dibattimentale, durante la quale uno dei collaboratori di giustizia si era reso protagonista di una progressione dichiarativa, oltre che nell’affermazione dei principi giurisprudenziali in tema di chiamata in correità. Tra l’altro, vi era una sentenza definitiva che, per il medesimo omicidio, condannava altre persone”.
L’INCONTRO CON SANTORO “La prima volta che mi è capitato di ricevere somme di denaro come corrispettivo dello svolgimento delle mie funzioni è stata nel 2010 o forse nel 2012, allorquando il dottor Santoro (Emilio Santoro coimputato insieme a Petrini, ndr), che era mio amico fin dal 2008/2010”. Fu Santoro, racconta Petrini, che “venne a casa di mia madre a Castrovillari e si limitò a chiedermi la disponibilità ad indirizzare un processo in cambio di somme di denaro. Io gli risposi che avrei visto cosa si poteva fare”. Si trattava, in particolare, di una causa civile che un altro imputato, Vincenzo Arcuri, persona conosciuta dal Santoro, aveva con un ente pubblico, forse un Comune o un Consorzio di Bonifica. Petrini specifica che Santoro “rappresentava gli interessi di un gruppo di persone che, all’epoca della prima proposta corruttiva, non mi erano ancora note e che poi, successivamente, ho capito individuarsi nello stesso Arcuri, in Giuseppe Tursi Prato, nell’avvocato Francesco Saraco, nel dottor Claudio Schiavone (tutti implicati nell’indagine della Procura di Salerno, ndr)”. Per prima cosa Santoro consegnò a Petrini due assegni da 5000 euro sottoscritti da Arcuri. In seguito Petrini ebbe modo di conoscere la rete di persone che orbitava intorno a Santoro il quale di queste persone si faceva portavoce presso il giudice. “Il Santoro mi parlò del legame che aveva con il Tursi Prato (ex parlamentare ed ex consigliere regionale, ndr) indicandolo come “fratello massone’’. Non so, per la verità, se analogo legame di affiliazione massonica egli intrattenesse anche con Arcuri e con Saraco”.
UNDICIMILA EURO PER NON FARE NIENTE Petrini, si evince dal racconto, prometteva di interessarsi alle cause, accettava il denaro ma poteva anche accadere che se la cosa non lo riguardasse personalmente, se ne disinteressasse. “Per quanto riguarda la vicenda di Arcuri posso dire con assoluta certezza che mi disinteressai completamente dell’ulteriore sviluppo del processo e che non andai a parlare con nessun magistrato. Addirittura, posso escludere di aver preso cognizione dello stesso esito del procedimento civile e tutt’ora non so come finì”. E non aveva paura che il “cliente” insoddisfatto potesse rivoltarsi contro di lui? “Non posso fare altro che ribadire quanto ho appena affermato aggiungendo, comunque, che probabilmente Santoro e Arcuri avrebbero avuto comunque una convenienza a darmi questa somma di denaro in quanto, a prescindere dall’esito del ricorso, detto pagamento mi avrebbe legato a loro indissolubilmente anche per l’avvenire”, è la risposta di Petrini. Insomma, di Arcuri Petrini non si sarebbe mai occupato pur avendo ricevuto da lui cospicue somme di denaro: “In conclusione, posso dire di aver ricevuto da Arcuri somme per un importo complessivo non inferiore a undicimilacinquecento euro in più occasioni, senza mai fare alcunché per meritare tale erogazione di denaro”.
Il 17 aprile Petrini afferma di avere ritrattato perché “gli ultimi due interrogatori sono avvenuti mentre mi trovavo in stato di profonda prostrazione. Solo a partire dal 2 marzo, quando è partito un percorso spirituale e di purificazione interiore, ho potuto riflettere e mi sono riproposto di attendere un successivo interrogatorio per correggere talune delle mie dichiarazioni precedenti. Attendevo pertanto tale occasione per spiegare alcune circostanze su cui in precedenza avevo reso dichiarazioni. Resta ferma la mia volontà di collaborare sinceramente”.
Il 29 aprile il giudice Petrini è stato arrestato per inquinamento probatorio (qui tutti i particolari). Il Tribunale del Riesame il 29 maggio gli ha concesso la pena dei domiciliari che il giudice sconterà in un monastero a Decollatura, a pochi chilometri da quel palazzo di Corte d’Appello nel quale è scoppiata la bomba dell’inchiesta sulla corruzione giudiziaria. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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