di Michele Presta
COSENZA Prima le udienze davanti al giudice del fallimento, quelle del 17 luglio del 2018 e del 12 settembre 2019, adesso l’indagine “Clinica Malata” della Procura di Paola guidata da Pierpaolo Bruni. Non c’è pace per quella che tutti conoscono come la “Tricarico”, istituto medico di Belvedere, finito sotto la lente degli uomini del nucleo di polizia economica tributaria della guardia di finanza di Cosenza agli ordini del colonnello Michele Merulli. Il lavoro dei finanzieri confluito nel fascicolo d’indagine ha permesso di chiedere al gip del Tribunale tirrenico l’arresto, poi convalidato, di Pasquale Tricarico Rosano, Ciro Tricarico Rosano e Fabrizio Tricarico Rosano. Tutti e tre, insieme ad una quarta persona, sono ritenuti responsabili di una serie di illeciti finanziari tali da giustificare anche un sequestro per 7milioni di euro.
L’AFFITTO “SIMULATO” E IL DEBITO “LIEVITATO” Le Fiamme gialle e la Procura tirrenica per sostenere le ipotesi di bancarotta fraudolenta distruttiva aggravata consistenti nella distrazione di beni, utili e flussi finanziari si sono concentrati nello specifico sui rapporti tra l’“Istituto Ninetta Rosano” e la società “Casa di cura Tricarico Rosano”. Le due società, nella sentenza del fallimento, vengono considerate come “società di fatto” dove le persone finite sott’indagine operavano come soci occulti. È la società fittizia, infatti, che il giudice civile ritiene «rappresentativa di una unica realtà imprenditoriale, con condivisioni di utili e perdite, confusione di beni e servizi, creazione di un fondo patrimoniale». Una commistione di amministratori, sedi e relazioni che il gip ritiene quasi da manuale giuridico per descrivere cosa tipicamente si intenda per una società di fatto. Il tutto poi è reso ancora più solido dalle relazioni familiari che intercorrono tra gli indagati. «La società Casa di cura Tricarico Rosano – è scritto nell’ordinanza – rappresenta una prosecuzione dell’Istituto Ninetta Rosano. Attraverso una operazione di “restyling” attuata grazie al contratto d’affitto di azienda stipulato nel 2011, la famiglia Tricarico ha potuto prolungare artificiosamente con evidente pregiudizio dei creditori l’attività di gestione economica e finanziaria diretta della struttura sanitaria e dell’accreditamento regionale della stressa, svincolandolo dalla consistente situazione debitoria».
Le due società cercano di muoversi in simbiosi per l’attuazione di un piano di rientro dal debito. Ma la ristrutturazione debitoria messa in piedi dalla famiglia Tricarico, secondo il gip, presenta delle incongruenze, soprattutto relativamente al contratto d’affitto d’azienda che con il passaggio alla società Tricarico Rosano è fissato in 1 milione e mezzo di euro a fronte dei 2 e mezzo previsti. Uno “sconto” che, si legge negli atti di indagine, «è privo di giustificazione se si considera che gli introiti potenziali dell’Istituto Ninetta Rosano per il periodo 2011-2017 risultano insufficienti neanche a far fronte agli oneri finanziari generati dallo stesso periodo, in netto contrasto con una idea di risanamento posta alla base del contratto d’affitto». E infatti, come annota il giudice, in quel periodo i debiti passano da 56 milioni di euro a 97 milioni di euro. Tutto questo mentre la Clinica Tricarico Rosano, secondo i conteggi della finanza «chiude i propri bilanci con utili per oltre 7 milioni di euro nonostante una poco attenta politica di contenimento dei costi, caratterizzata, dall’elargizione di compensi esorbitanti ai componenti della famiglia Tricarico per quasi 7 milioni di euro complessivamente». Che il contratto sia simulato, per il giudice del Tribunale di Paola, è riscontrabile anche dalla modalità con cui è avvenuta la procedura di concessione in affitto dell’azienda, «senza alcuna selezione competitiva dell’aggiudicatario che potesse garantire una locazione più vantaggiosa per l’affittante».
LE SPESE UNIVERSITARIE E LE ALTRE OPERAZIONI Che la società che gestiva la clinica di Belvedere fosse usata come un “bancomat” per scopi personali, i finanzieri lo desumono anche quando analizzando i flussi di cassa per gli anni 2014-2015 scoprono che 16mila e 500 euro furono destinati all’iscrizione universitaria di Fabrizio Tricarico Rosano e non a caso il giudice annota nell’ordinanza di custodia cautelare che lo stesso «ha dichiarato di aver percepito dalla società dal 2011 al 2016 emolumenti per complessivi euro 2.727.618». Questo è uno degli esempi di distrazione dei fondi della società, ma la finanza appunta anche quelli dello stesso Fabrizio che insieme a Ciro e Pasquale riceveva «oltre a redditi da lavoro indipendente anche consistenti emolumenti e compensi per lavoro autonomo che risultano essere “prima facie” privi di giustificazione causale». Ma non ci sono solo gli extra. Dalle casse della società sono usciti anche i soldi per l’acquisto di imbarcazioni di lusso. Migliaia di euro che dalla struttura che affaccia sul mar Tirreno sono finiti su conti di studi legali inglesi per l’acquisto di imbarcazioni in leasing. È una captazione telefonica di Pasquale Tricarico Rosano che fa capire agli investigatori come si muove il giro. «A me mi pagavano lo stipendio. Poi mi davano 25mila euro al mese più mio fratello mi dava 15mila euro che io versavo per pagare la cosa… la barca di mio fratello! Il leasing». «Perché tu?» dice la voce dall’altro capo del telefono. «Il leasing lo pagavo io… mi dava l’assegno della clinica non il suo». L’intercettazione rappresenterebbe dunque la conferma che Pasquale Tricarico Rosano, facesse da intermediario nei confronti del fratello Ciro. «I pagamenti dei canoni di leasing di cui parlava – è riportato negli atti d’inchiesta – sono relativi alla descritta operazione consistita nel creare società commerciali estere che hanno la finalità di prendere in leasing grosse imbarcazioni». (m.presta@corrierecal.it)
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