di Fabio Papalia
REGGIO CALABRIA Con una condanna e 10 assoluzioni si conclude il processo di primo grado, celebrato con rito ordinario, a carico dell’imprenditore che aveva creato il parco commerciale più grande della Calabria. Il collegio del Tribunale di Palmi, Anna Laura Ascioti presidente, Francesco Jacinto e Pina Porchi giudici, ha condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa Alfonso Annunziata, assolto invece dall’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla commercializzazione di merce contraffatta. Il pm della Dda Roberto Di Palma aveva invocato una condanna di 17 anni.
Assolti da tutte le accuse tutti gli altri imputati: Fioravante Annunziata, Domenica Epifanio, Rosa Anna Annunziata, Valeria Annunziata, Marzia Annunziata e Carmelo Ambesi, Claudio Pontoriero, Roberta Bravetti, Rosina Zinnà e Andrea Bravetti, perché il fatto non sussiste.
Con la condanna, il tribunale ha applicato ad Alfonso Annunziata anche le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante la pena, nonché la sanzione accessoria della revoca delle prestazioni previdenziali e assistenziali percepite. A pena espiata e previa verifica della pericolosità sociale Annunziata sarà anche sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di 3 anni. Infine Annunziata dovrà risarcire le parti civili, Regione Calabria e Comune di Gioia Tauro, rispettivamente di 50 mila e 90 mila euro.
I BENI CONFISCATI Infine con la sentenza letta oggi il tribunale ha ordinato la confisca di tutti i beni di Alfonso Annunziata: “Ditta individuale Annunziata Alfonso” con sede a Gioia Tauro; tutte le quote sociali e intero patrimonio della “Annunziata Srl” con sede legale a Gioia Tauro (capannone e terreni), tutte le quote sociali e l’intero patrimonio di “Annunziata Group Srl” con sede legale a Gioia Tauro; rapporti bancari, polizza assicurativa, somme di denaro pari a 587 mila euro e 109.823,45 euro rinvenute rispettivamente nell’abitazione e nell’ufficio di Alfonso Annunziata. I beni degli altri imputati, invece, sono stati dissequestrati.
OPERAZIONE BUCEFALO Il processo è scaturito dall’operazione Bucefalo, condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Dda di Reggio Calabria nel maggio 2018, con l’arresto di Annunziata, successivamente scarcerato lo scorso anno. Secondo l’accusa l’imprenditore di origini campane, ma stabilitosi in Gioia Tauro sin dalla fine degli anni ’80, sarebbe intraneo alla ‘ndrangheta e, in particolare, alla potente cosca “Piromalli”.
Le indagini erano risalite di un trentennio per ricostruire i rapporti tra la cosca e l’imprenditore che affondano le radici fin dagli albori dell’attività commerciale di Alfonso Annunziata, il cui iniziale ruolo di vittima – e tale ha continuato a professarsi nel processo – estorto dalla ‘ndrangheta, si sarebbe poi trasformato nel tempo in un rapporto “simbiotico”, dal quale sarebbero scaturiti vantaggi per l’imprenditore e per la cosca.
RAPPORTI CON LA COSCA PIROMALLI Dalla viva voce di Annunziata, intercettato dai finanzieri mentre raccontava vecchi episodi ai propri congiunti e al suo commercialista, gli inquirenti avevano aperto uno squarcio sui suoi primi rapporti con l’allora capocosca latitante Giuseppe Piromalli cl. 21. E’ a metà degli anni ‘80 che l’imprenditore campano abbandonò il commercio ambulante di abbigliamento nei mercati rionali e aprì un negozio nel cuore di Gioia Tauro. Dopo i primi attentati che lo costrinsero ad allontanarsi da Gioia e a farvi rientro solo dopo avere chiesto il permesso al capocosca iniziò la scalata imprenditoriale, che in poco tempo lo vide arrivare in cima, unico proprietario, del più grande centro commerciale della Calabria, tra i primi del Sud Italia.
LA ROTTURA TRA I PIROMALLI E I MOLÈ Con un certosino lavoro su mappe catastali e documenti polverosi, gli investigatori hanno dimostrato che già il primo terreno, sul quale è stato costruito l’originario capannone del Centro Commerciale “Annunziata”, era stato in realtà acquistato nel 1993 dall’allora capocosca Giuseppe Piromalli cl. 45, ma intestato all’imprenditore gioiese e che la costruzione dei capannoni era appannaggio di imprese legate o autorizzate dalla cosca di ‘ndrangheta dei Piromalli. I contrasti per accaparrarsi la costruzione di quei capannoni sarebbero stati tra i motivi dell’omicidio di Rocco Molè, nel febbraio 2008, che ha segnato il “divorzio” tra le due cosche che fino a quel momento erano unite da “cent’anni di storia”. (redazione@corrierecal.it)
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